Ricorre il settantesimo anniversario del suffragio femminile in Italia. Il 10 marzo 1946 le donne votano per la prima volta nelle elezioni amministrative, e il 2 giugno 1946 partecipano alle prime elezioni politiche, nel referendum istituzionale Repubblica-monarchia. Fra le numerose celebrazioni di questa ricorrenza epocale, non si può tralasciare di ricordare un’incredibile vicenda rimasta a lungo avvolta nell’oblio raccontata da Marco Severini nel libro “Dieci donne. Storia delle prime elettrici italiane”, e risalente esattamente a centodieci anni fa: il 25 luglio 1906 una clamorosa sentenza della Corte di appello di Ancona presieduta da Lodovico Mortara accorda a dieci donne marchigiane il diritto di voto politico. Qualche mese prima, il 26 febbraio 1906, la pedagogista e antropologa marchigiana Maria Montessori (vivace paladina dell’emancipazione femminile e tra le prime italiane a conseguire una laurea nel 1886) aveva lanciato sulla stampa un proclama in cui esortava le donne a iscriversi nelle liste elettorali politiche. Numerose le richieste pervenute, accolte solo da undici commissioni elettorali (Mantova, Caltanissetta, Imola, Palermo, Venezia, Cagliari, Ancona, Firenze, Brescia, Napoli e Torino), sebbene in seguito vengano respinte dalle relative Corti di appello. Ma c’è un’eccezione: il 28 maggio 1906 la Commissione elettorale provinciale di Ancona accoglie la richiesta di nove maestre di Senigallia (Carola Bacchi, Palmira Bagaioli, Giulia Berna, Adele Capobianchi, Giuseppina Graziola, Iginia Matteucci, Emilia Simoncioni, Enrica Tesei e Dina Tosoni) e una di Montemarciano (Luigia Mandolini-Matteucci): queste donne hanno compiuto il ventunesimo anno di età, godono per nascita dei diritti civili e politici del Regno e hanno conseguito la patente di maestre elementari, dunque possono votare. Il ricorso presentato dal procuratore del re presso il tribunale di Ancona viene bocciato con sentenza del 25 luglio 1906 dalla Corte di appello di Ancona, presieduta dal mantovano Lodovico Mortara, consigliere di Cassazione e già docente di procedura civile a Pisa e Napoli, uno dei maggiori giuristi italiani e futuro ministro della Giustizia. Una sentenza senza precedenti, che suscita vasta eco nella stampa e nell’opinione pubblica. Un’ulteriore sentenza della Corte di Cassazione del 4 dicembre 1906 la annulla e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma che, dopo accese discussioni anche in Parlamento, l’8 maggio 1907 accoglie infine il ricorso e ordina la cancellazione dalle liste politiche dei relativi Comuni di residenza delle dieci maestre marchigiane. Le quali purtroppo, essendovi rimaste iscritte per soli dieci mesi, non hanno modo di esercitare quel diritto (tra maggio 1906 e dicembre 1909 ritorna al potere Giovanni Giolitti col suo cosiddetto lungo ministero), ma imprimono una svolta imprevista e indelebile alla lotta per il suffragio e l’emancipazione femminile in Italia.