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Una caduta da cavallo

Sapónetta era conosciuto da tutti a Montolmo perché, se di appassionati di cavalli ce n’erano in città, un fanatico come lui non esisteva in un raggio di cento miglia. Aveva fatto il soldato in cavalleria e, da quando tornò in congedo, non fece altro che star dietro ai cavalli da corsa; fece da stalliere quando a uno quando a un altro cavallà, perché lui era povero e non si poteva permettere di avere una bestia. Un sogno, questo, che si avverò soltanto negli ultimi anni della sua vita. grazie al contributo finanziario di alcuni generosi concittadini (ndr: se la memoria non c’inganna il cavallo si chiamava “Fleur de bambù” ed era un cavallo vincente). Si racconta che un certo impresario edile, che aveva una scuderia di cavalli da galoppo con i quali partecipava a tutte le corse che si tenevano nel circondario, incaricò Sapónetta di avere particolare cura di un morello acquistato da poco e che dimostrava di avere un caratteraccio. Sapónetta tranquillizzò il padrone, dicendo che ci avrebbe pensato lui a farlo ambientare e a domarlo a dovere. E ogni mattina, dopo averlo accudito, montava questo morello per fargli fare una sgroppata salutare in campagna. Il cavallo era un bell’animale davvero e Sapónetta ci faceva lu paccó, si pavoneggiava andando in giro in sella a esso. Una mattina, percorrendo una strada di campagna, un tacchino gli attraversò improvvisamente la strada: il cavallo si imbizzarrì, diede uno scarto violento e  Sapónetta, sbalzato di sella, andò a finire disteso in terra. Quando dolorante si rialzò, tastandosi e spolverandosi addosso, al contadino che al di là di una siepe si era fatto avanti con una forca in mano, Sapónetta assai mortificato disse: “ ‘Stu cavallu adè umbrusu mutuvè, e io statìo un bo’ divagatu…” (Questo cavallo è nervoso molto e io ero un po’ distratto). Ma il contadino, rabbuiato, gli chiese: “Dico, non è che si smondatu jó de fuga perché tu me vulìi frecà’ lu virru, no?” (Dico, non è che sei smontato giù rapido perché mi volevi rubare il tacchino?). Questo sospettoso atteggiamento del contadino lascia intendere tutta la diffidenza che, a quei tempi, si nutriva in campagna verso i cosiddetti artisti, cioè verso gli artigiani, categoria nella quale erano comprese tutte le classi subalterne non dedite all’agricoltura. Infatti fino alla metà del ‘900, nei paesi, o eri un artista o un contadì.

 

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