Tratto da Macerata tra storia e storie
di Fernando Pallocchini
Un Monumento ai Caduti è un segno di affetto e di ricordo verso chi ha donato la propria vita per difendere gli altri e a Villa Potenza ce n’era uno all’inizio della “lunga”, una semplice figuretta: troppo poco. A metà di via Peranzoni, proprio dove la strada fa una curva, c’era una minuscola cappella in stato di completo abbandono, utilizzata come rifugio da vagabondi di passaggio e dai carrettieri che dovevano ripararsi da piogge improvvise, il tetto era a forma di cupola realizzato in mattoni. Fu don Giuseppe che, alla fine dell’ultima guerra, volle restaurarla per farne un Monumento ai Caduti. Si organizzò una questua in campagna e in paese onde raccogliere i fondi necessari (quasi un milione), la cupolina fu rifatta in piombo. All’interno c’è l’elenco dei Caduti di Villa Potenza e dintorni, sia della prima che della seconda guerra mondiale; c’è anche un altare sopra al quale Peppe Molini ha posto una specie di scultura da lui ideata, non priva di originalità, simboleggiante le Forze Armate e una sua poesia.
Oggi via Peranzoni è transitata dalle auto, nonostante la bretella stradale che ha deviato il traffico, ma ai primi del ‘900, quando non era ancora asfaltata, ben altri mezzi la percorrevano e non ci riferiamo alle carrozze dei signori ma a più modesti, non per questo meno nobili, veicoli: “li carritti” e “li birocci”. I carretti, a Villa Potenza, erano di due tipi. Uno, leggero e con una stanga centrale, era spinto o tirato a mano dalle lavandaie che trasportavano panni e biancheria; l’altro, più robusto, con due stanghe in mezzo alle quali si attaccava un mulo o un cavallo, serviva ai carrettieri per trasportare la breccia cavata dal fiume. Il biroccio invece, più capiente, spesso dipinto e destinato a un utilizzo campagnolo, era attrezzato con un robusto timone ai lati del quale si attaccavano per mezzo del giogo una coppia di poderosi buoi. Via Peranzoni, magari non proprio con l’attuale tracciato, si può dire che sia una delle vie più antiche di Macerata (se non la più antica), antecedente più di mille anni la fondazione della nostra città. Conduceva infatti da Helvia Ricina a Pausola e Urbs Salvia e, prima ancora, probabilmente a insediamenti piceni. Una strada che allora si dipanava in un paesaggio boschivo ma che, almeno nell’ultimo secolo, ha perso il suo fascino perché intrisa di sudore, fatica. Non bisogna infatti dimenticare che è stata percorsa, quando era sassi e polvere, tutti i giorni dai cavatori di breccia e dalle lavandaie. Queste persone si alzavano di buon mattino e i primi, attrezzati di pala, carretto e somaro, andavano al fiume, caricavano il carro di breccia poi, passando per di qui, affrontavano l’erta dirigendosi alla volta di Macerata. Le donne invece la transitavano per andare a lavare i panni al fiume Potenza e per riportarli in città, spingendo i loro carretti su per la vecchia “lunga”. Un po’ prima di questi “villaroli” passò di qui un illustre personaggio: Napoleone Bonaparte! Erano le 15,30 del 14 febbraio 1797. Ai lati della via sorgono piccole case tutte abitate e ci sono negozi, anche di classe, che soddisfano ogni esigenza merceologica, un vero e proprio centro commerciale allungato. C’è una bella chiesa, disegnata dall’Aleandri, quello dello Sferisterio, che ha una storia tribolata. Nel 1600, quando qui c’era poca gente, i fedeli per andare a Messa dovevano raggiungere la parrocchia di Santo Stefano percorrendo, a piedi, tre miglia. Solo nel 1619 venne ampliata una piccola edicola (era di fronte a dov’è oggi la chiesa) con l’aggiunta di un altare e allargata di nuovo nel 1670 per far posto ai nuovi abitanti. Quando, agli inizi del 1800, la popolazione raggiunse le 700 anime si costruì una nuova chiesa, di fronte a quella piccolina, e nel 1835 si istituì la parrocchia del S.S.Sacramento. Ma le fondamenta del tempio, ad appena 13 anni dall’inaugurazione, cedettero e si dovette demolirlo per ricostruire secondo il progetto dell’Aleandri. Il campanile non c’era e fu eretto solo nel 1929.
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Foto di Cinzia Zanconi