Ricordi di un Casettà quinta puntata

Di Fernando Pallocchini

 p 4 Fiat 18BL

 

Il 18BL di Leopò

Delle sigle, oggi, se ne fa molto uso ma anche allora, 100 anni fa. Il “18BL” in questo caso, era attribuito a un camion della prima guerra mondiale. Ed è il caso di farne una breve descrizione. Massiccio, con ruote piene ricoperte con spessore di gomma, trazione a catena, corrente elettrica originata da un magnete, avviamento a manovella, serbatoio della benzina situato sopra la cabina di guida. Per riempire il serbatoio Leopò, munito di un contenitore, andava a riempirlo in un rifornimento sito all’inizio, a destra delle Casette. La “stazione di servizio” (diremmo noi oggi) era costituita da una pompa a mano che mandava il carburante in due ampolle di vetro poste in alto a indicare la quantità erogata. Aperto un rubinetto in basso veniva prelevato il necessario. Leopò si arrampicava e raggiungeva il serbatoio sopra la cabina. Nonostante tutto questo “museo viaggiante” assolveva il suo compito ogni anno, trasportando gli avventori della cantina di Velà all’Aspio, località termale-purgativa stimata per depurare le “scorie” accumulate nel tempo. Le panche, oggetto di normale mobilia, venivano disposte sul cassone e “l’autobus” era pronto. La cura durava una giornata. Al ritorno la comunità faceva sosta in ogni luogo dove un buon bicchiere potesse rinfrescare la gola. Praticamente i viaggiatori effettuavano coscienziosamente “cura e controcura”. Rientrati tutti al paesello natio, finivano sempre con il gettarsi nel gioco della morra. Gioco antico, che consisteva nel formulare un numero da due a dieci, mentre si tendeva la mano con dita aperte, che incrociava quella tesa dell’avversario. Un passatempo che dava luogo spesso a diverbi che finivano in liti anche pericolose. Naturalmente il perdente pagava lo scotto con una consueta e ricca bevuta. Si può facilmente immaginare cosa poteva generare quel vino rosso o bianco. Tornavano a casa tutti traballanti. E qui è doveroso fare una considerazione: erano tutti, o quasi, padri di famiglia, che rientravano a casa completamente brilli. Pensate a quelle mogli che, dopo aver accudito con fatica e con amore la casa e i figli, vedevano rientrare il marito o il padre ridotto in quello stato vergognoso. Diventava un sogno ottenere una carezza o un sorriso affettuoso.

Vignati, il mugnaio

Personaggio quasi sconosciuto ai più. In pieno conflitto della II guerra mondiale, periodo difficile per tutti, Vignati gestiva il suo molino, sito a nord dello Sferisterio, confinante con il rione Cocolla. In quel tempo tutti possedevano la tessera annonaria, che permetteva ogni giorno di avere quanto era prescritto tra cui il pane e gr.150 di farina burattata. Sufficiente, insufficiente? Mah, dipendeva molto dalle condizioni economiche delle famiglie che potevano attingere al mercato nero. Chi, invece, non aveva questa possibilità soffriva veramente la fame. Madri con figli piccoli ogni giorno angosciate chiedevano aiuto e spesso si presentavano a Vignati, uomo silenzioso, quasi timido ma dal buon cuore, che non chiudeva le porte ai bisognosi anche se era a sua volta molto controllato, per via del movimento in entrata e uscita delle partite di grano. Ciononostante riempiva il sacchetto di farina e consegnava. Seguiva: “Quanto debbo?” – “Niente!” rispondeva chiudendo gli occhi. La voce della sua coscienza superava ogni limite sconfinando nella forza della carità e nell’amore per il prossimo. Questo era Vignati, vero uomo.

 

Speranza, il norcino

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Speranza, commerciante in generi alimentari, sito a sinistra di piazza Mazzini, prima di salire la seconda rampa delle scalette per raggiungere la piazza centrale, era famoso per tutti i derivati delle carni di maiale. Svolgeva il suo lavoro al piano terra di un locale all’inizio di via Mozzi, prossimo alla sua bottega. Locale preso di mira più volte dagli appetiti incontenibili di alcuni gruppuscoli maceratesi. Avvenne di notte un fatto. A metà delle Casette, adiacente al fabbro Machella, vi era il garage del commerciante di stoffe detto “Ciausculu”, che sempre di buon mattino si recava nei vari mercati. Un giorno trovò la porta aperta, il camioncino con il quale esercitava era scomparso. Spaventato corse subito dai Carabinieri a denunciare l’accaduto. Il comandante maresciallo allertò subito i suoi collaboratori ordinando di arrestare tre uomini di nota conoscenza, già sospetti per questo genere di reati. A questo punto è necessario evidenziare che al solerte maresciallo, due giorni prima, Speranza aveva lamentato il furto di lardo dal suo posto di confezionamento. Intanto dalle indagini relative al furto del camioncino emersero delle impronte sulla strada polverosa che portavano verso il borgo san Giuliano. Il maresciallo, durante l’interrogatorio dei tre, fece notare loro che l’avevano preso “al largo”. Uno dei tre, difettoso di udito, rispose subito: “Noi del lardo non ne sappiamo niente!” Una confessione così palese e inaspettata il maresciallo non se l’aspettava, complice la parola largo per lardo. Galeotto fu l’udito…

continua

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