di Claudio Principi
Educazione a tavola
Si dice che un giorno di fiera venne a Montolmo un fattore di Macerata, per via che un colono del luogo, dipendente dalla sua amministrazione, doveva fare un importante acquisto di bestiame. Le trattative andarono piuttosto per le lunghe perché il contadino ci teneva a fare bene il suo affare, più che il fattore, e così andò a finire oltre l’ora di mezzogiorno prima di combinare.Il fattore, dal momento che si era fatto tardi, disse che sarebbe restato per andare a mangiare un boccone in trattoria; il contadino, euforico per l’affare concluso, si accodò ma precisando: “Fattó’ mmìa, non te priuccupà’, perché magnirìmo ‘nzémo, però, in quanto a ppagà’, paghirìmo a la romana: ‘gniunu lo sua” (Fattore mio, non ti preoccupare, perché mangeremo insieme, però, in quanto a pagare, pagheremo alla romana: ognuno il suo). Il fattore fece un cenno di assenso col capo e i due si portarono insieme nella trattoria dove, dopo aver mangiato ciascuno un bel piatto di maccheroni, ordinarono gli sgombri freschi arrostiti sulla graticola. Il cuciniere, poiché non c’era l’uso in quel modesto locale di cambiare i piatti, portò i due sgombri, che erano di diversa taglia, su un piatto solo che fungeva da piatto di servizio. Come quel piatto venne posato sulla tavola, subito il contadino vi si buttò e scelse il pesce più grosso, se lo portò sul suo piatto ancora sporco di sugo dei maccheroni e cominciò a spinarlo. Il fattore, che aveva seguito contrariato tutta quella scena, anche se non meravigliato dell’avidità e della cafoneria del contadino, gli fece osservare: “Bella ‘ducazió!” (Bella educazione!). Sinceramente sorpreso il commensale chiese: “Perché, ch’àgghjo fatto de male?” (Perché, che ho fatto di male?). Il fattore, indicando il pesce assai più piccolo rimasto per lui, disse: “M’hi lassato lu pesce più pìcculu, e non ge se combòrta ccuscì tra le persó’ che conosce la vòna creanza” (Mi hai lasciato il pesce più piccolo, e non ci si comporta così tra le persone di buona educazione). “Ma perché – chiese il contadino – tu ch’avrìsti fatto a póstu mìa?” (Ma perché, tu che avresti fatto al mio posto?). Rispose il fattore: “Io avrìa lassato a tte lu più grossu e mme sarìa pijato lu più ciucu” (Io avrei lasciato a te il più grosso e mi sarei preso il più piccolo). Replicò il contadino: “Embè? la cósa è gghjita pòrbio ccuscì. Se tu vulìi lu più cciucu, lu più cciucu èssulu e pìjutulu, che io me tengo lu gróssu che m’avristi dato tu!” (Ebbene, la cosa è andata proprio così. Se tu volevi il più piccolo eccolo lì e prenditelo, che io mi tengo il più grosso che tu mi avresti dato!).