di Cesare Angeletti
Questo soprannome, dato ai maceratesi da quando nel 1938 Mario Affede scrisse la famosa poesia, ha una sua precisa origine ma pochi la conoscono. Prima gli abitanti del capoluogo avevano come soprannome “Pistacóppi” perche sui tetti della città c’erano tanti piccioni, che camminando sui coppi di cui i tetti erano e sono coperti, venivano appunto così chiamati. Poi la poesia divenne famosa e gli abitanti della città, che si davano un po’ di arie perché del capoluogo, furono chiamati con il nome della squisita susina, in dialetto “la vrugna”. Intorno Macerata c’erano “le curtinelle” (piccole corti), terreni coltivati da famigliole composte da marito e moglie con qualche bambino piccolo, la cui superficie non superava i due ettari. Oltre alle normali culture, questi contadini facevano l’orto, allevavano una vacca da latte, “la mungana” (mucca da mungere) e avevano piante da frutta; il tutto per fornire ai cittadini latte, ortaggi e frutta fresca. Fra gli alberi da frutta c’era una varietà di susine che era famosa in tutta la provincia per la sua bontà ma anche per la sua grossezza. Ovviamente anche gli ossi di tali frutti erano più grandi della norma e su di essi si sono scatenate storie e leggenda. La storia riporta che nel medioevo un gruppo di maceratesi si era specializzato a combattere usando come proiettili gli ossi di susina lanciati con la fionda, quella che si fa roteare, la frombola, usata dal biblico Davide contro Golia. In un libro è riportato che l’attacco di una compagnia di mercenari alla città fu rintuzzato e neutralizzato proprio da tali guerrieri con le suddette armi. L’osso, di forma oblunga, fatto seccare e sparato ad elevata velocità dai frombolieri era un proiettile veramente tremendo quando colpiva una parte del corpo non protetta dallo scudo o dalla corazza, e i nostri antichi concittadini erano abilissimi a mirare proprio alle parti non protette. Per la leggenda, non ho trovato riscontri storici ma solo narrazioni teoriche, Annibale non sarebbe mai venuto da queste parti, pur avendo girato tutte le Marche, perché in una battaglia aveva avuto un occhio offeso proprio da “un ossu de vrugna” lanciato da un fromboliere vrugnolò. Sarà vero? Boh! Altre due storie, anche esse voce di popolo tramandate verbalmente. Una è che la massicciata sotto la torre sia stata fatta con gli ossi di susina ben stagionati. L’altra dice, invece, che lo strato filtrante sotto la “Fonte majó” (Fonte maggiore), che sta all’inizio delle “fosse”, dietro la Porta Marina oggi detta Porta San Giuliano o Porta Duomo, sia stata fatta con un alto strato di tali ossi. È vero? Non è vero? Il caro amico e grande storico maceratese recentemente scomparso, Libero Paci, a una mia domanda di chiarimento, rispondeva che anche lui aveva sentito dire tali cose ma che niente, nei libri, ne dava conferma. Chissà se con i mezzi moderni si potrà, un giorno, fare un accertamento senza danneggiare i due monumenti? Sta di fatto, però, che l’esistenza “de li vrignulù” sia storicamente documentata perché i trattati di agraria riportano che tali alberi erano fra le culture fatte nel maceratese. È solo un vero peccato che di tali piante di susine oggi non ce ne siano più, non tanto per gli ossi, che nei tempi moderni non avrebbero alcun uso pratico, soppiantati dalla plastica, ma per il piacere di mangiare gli squisiti frutti usufruendo dei loro effetti benefici che, notoriamente, sono tali, come sapete, da stimolare i… bisogni delle persone. Un vecchio e saggio proverbio recita: “Il vero amico si vede nel momento del bisogno”… allora “li vrugnulù”, visto il loro noto effetto lassativo, per i maceratesi,che “nel bisogno” avessero avuto necessità di aiuto, sono stati sicuramente dei veri amici!