Di Fernando Pallocchini
Da adolescente facevo parte di un gruppo di giovinastri incoscienti, quattro o cinque ragazzi, tutti d’accordo a ritrovarci negli svaghi più diversi presso l’oratorio salesiano. Un martedì l’assistente salesiano ci chiamò informandoci che la domenica successiva non avremmo avuto un film da proiettare come da consuetudine. Rispondemmo subito che si sarebbe rimediato senza problemi, riproponendo un film muto che noi avremmo sonorizzato in cabina di proiezione. La fantasia non ci mancava. Quel vecchio film lo conoscevamo alla perfezione, compresa la sequenza delle immagini per cui un certo… Silvio Spaccesi disse: “Se remedia… questo film muto lo abbiamo già visto almeno venti volte… dalla cabina con i microfoni lo facciamo diventare sonoro!” Poi, presi dallo scrupolo di far bene, pensammo a una prova generale chiedendo, una sera, al portiere Mariani di farci entrare. Costui non solo ci negò l’ingresso, anzi, in modo perentorio, volle allontanarci in malo modo. Lo implorammo, arrivando a dire che lo avremmo aiutato a riporre dentro i vasi posti ai lati dell’ingresso. Fu irremovibile ma sottovalutò la nostre risorse, per la verità, assai combattive. Silvio: “Questa gliela facciamo pagare!” e passammo all’attacco. Fuori dall’ingresso del portone principale dell’Istituto salesiano c’erano, a destra e a sinistra, quei vasi di fiori da riporre ogni sera, alla chiusura del portone stesso, compito a cui doveva provvedere il portiere Mariani e per i quali era stato rifiutato il nostro aiuto. Aspettammo l’operazione per intervenire. Dal telefono pubblico del bar, posto al lato opposto della strada da cui era ben visibile la guardiola del portiere, al momento giusto chiamammo il Mariani: “Chi parla ?” – “Il Prefetto” (che sarebbe l’economo salesiano ) – “Dica, signor Prefetto” – “Hai provveduto a riporre i vasi ?” – “Sì, signor Prefetto” – “Bugiardo! ti sei dimenticato l’ultimo, sotto la mia scrivania, quello pieno di piscio!” Tremenda vendetta, che soltanto la nostra incoscienza poteva rendere così potente e, per noi, così divertente.
Naturalmente lo scherzo arrivò all’orecchio di don Ennio Pasterboni…“Raccontate, ve lo dovete confessare!” Raccontammo e lui scoppiò in una grossa risata.Senza aver fatto le prove, quindi, arrivò il pomeriggio della domenica e avvenne gratuitamente la proiezione del film muto. Intervenne il solito numero di oratoriani, l’assistente salesiano don Ennio Pasterbuoni e lo stesso Mariani. Nel film, un western, cavalli e cavalieri si sprecava-no e i pugni volavano da tutte le parti. Con le nocche delle dita fu imitato il galoppo dei cavalli e improvvisammo pure il dialogo dei cavalieri, tipo: “Cala jò da ‘ssu cavallu… te conoscio… tu sì de le Casette!”, Uno dei protagonisti, Tomme Micche (Tom Mix), a un certo momento esclamò: “Mi hai fatto male, adesso lo dico a Don Ennio!” con risata generale della platea. In una scena, poi, compare un altro attore con le chiavi in mano, in procinto di aprire la porta del Saloon: “Sbrigati Mariani ad aprì ‘ssa porta, ‘ché ce lo sai che sennò te costa cara!”. Tutti gli spettatori afferrarono a volo quella battuta, riferita allo scherzo telefonico dei vasi, e ci fu ilarità generale a non finire. Fu un successo e ci furono molte repliche. Non poteva essere diversamente, quei ragazzacci erano guidati da uno che avrebbe sviluppato con successo le sue doti filodrammatiche allora in erba: Silvio Spaccesi. Altra storia quella di Ginevra e Lola, due bellezze delle Casette, due figlie del popolo che a vent’anni esprimevano il meglio del loro fascino. Ginevra abitava al secondo piano della casa vicina al negozio di generi alimentari di Aurelia a metà Casette. Di bei lineamenti, occhi grandi, capelli lisci raccolti dietro la nuca, elegante nel vestire con andamento veramente femminile. Non sfuggiva a nessuno, compresi quei giovani in divisa che facevano parte del reggimento di fanteria della Caserma Corridoni. In libera uscita sì riunivano nei paraggi senza distinzione di grado, attratti da quella irresistibile calamita. Torceva il naso solo Aurelia, incline al bigottismo, tanto da ricorrere al colonnello Ciuffoni che, suo malgrado, per la prima volta, non ottenne obbedienza. Lola, ragazza di bell’aspetto ma meno appariscente, spartana, distinta solo dalla sua bocca a mo’ di ventosa . Abitava dalla parte opposta del marciapiede di Ginevra e gestiva un negozio di fruttivendola. Caso volle , una mattina cadde la prima neve: imbiancò la strada e sopraggiunse dalla parte dell’ospedale un’automobile “ Balilla a 3 marce” che, nel compiere la prima curva, cominciò a sbandare e a zig zag finì a fermarsi dinanzi alla vetrina di Lola. Guidava un aitante giovane di Corridonia che immediatamente fu soccorso dalla ragazza ai cui occhi parve il principe azzurro. Lo abbracciò e provò a rianimarlo dallo spavento esercitando la funzione “bocca a bocca”. Il principe azzurro dava segni di squilibrio e di soffocamento, ma presto aprì gli occhi e vide alla finestra Ginevra. Si realizzò la storia di Lazzaro!
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