“inventammo” la chitarra hawaiana un racconto di Cesare Angeletti
Inizi anni ’60: a Macerata si formano, fra grandi e piccole, ben 100 orchestrine. Non è eccessivo, è proprio così e lo ha dimostrato il bellissimo libro “Ti ricordi Joe?”, che le ha riportate tutte, citandone i componenti, gli stili, le storie delle formazioni, arricchendo i testi con foto. A me l’onore, e il grande piacere, di poter dire: “Li ho presentati tutti!” nell’arco degli anni in feste e serate (ndr: è per questo che nel libro “Cisirino” ha un intero capitolo). La formazione delle orchestre avveniva facilmente. Cinque o sei ragazzi che strimpellavano i vari strumenti si trovavano decidendo di formare un gruppo. Si pensava il nome, spesso strano perché dato l’alto numero delle formazioni era difficile trovarne uno nuovo. Poi ci si recava da un simpaticissimo commerciante che forniva strumenti e amplificazione voce, sia nuovi che usati, e aveva prodotti per tutte le tasche. Costui, però, commerciante scaltro, chiedeva sui mazzetti di cambiali firmati dai l’avallo come garanzia di un genitore. Ciò era importante perché impegnava moralmente i ragazzi a far fronte all’impegno preso, suonando e migliorando la loro performance per superare la concorrenza. Il commerciante, anche lui padre di famiglia, non li abbandonava ma li seguiva per eventuali riparazioni con un vero servizio di “pronto soccorso”, essendo in grado di raggiungere il gruppo per sostituire con attrezzature proprie quelle rotte, che poi riparava nei giorni seguenti, restituendole dopo un giusto compenso. Fra i complessi ero famoso perché quando li chiamavo per uno spettacolo a fine serata il compenso era assicurato. Alcuni “impresari teatrali” di pochi scrupoli a volte approfittavano dei ragazzi e non li pagavano con le scuse più strane, o rimandavano il pagamento a fine stagione mettendoli in difficoltà con le scadenze. Il terrore era in estate quando lo spettacolo era a rischio maltempo. Una volta in un paesino di 30 case, sui monti del maceratese, per la festa triennale del patrono (annuale non se la potevano permettere) convinsi il parroco a togliere dalla chiesa il Santissimo Sacramento per fare lo spettacolo “al coperto”. L’anziano prete fu scandalizzato dalla richiesta ma crollò co-me gli feci presente che ero amico del Vescovo (era vero) e sarei ricorso a lui per l’autorizzazione. Ovviamente non sarei ricorso così in alto ma, come disse Archimede, date-mi un punto di appoggio… L’amicizia con alcuni componenti dei vari gruppi ci ha portato a organizzare spettacoli di solidarietà, ne facemmo uno al manicomio, un altro all’istituto delle ragazzine disabili di via Mameli, e due grandi serate che restarono nella storia della città. Una per aiutare Firenze dopo l’alluvione (conservo la lettera del Sindaco Bargellini) e un’altra per consentire a una piccola famiglia circense di ricomprare il loro tendone andato perduto per un incendio. Però, proprio con i più amici, gli sfottò erano tanti, perché nel periodo carnevalesco, o nei mesi estivi, dovevamo trovare qualche escamotage per divertirci durante la lunga serie di serate, belle e simpatiche per il pubblico che le vedeva per la prima volta ma per noi sempre le stesse, ripetitive. Dunque, c’era uno dei chitarristi di un grande complesso maceratese che aveva comprato la chitarra hawaiana, per cui avevo cominciato a sfottere il batterista di un altrettanto famoso complesso perché loro questo strumento non ce l’avevano. Dicevo: “Siete bravi, veramente bravi! Ma… certo che con il suono della chitarra hawaiana sarebbe tutta un’altra cosa…”. Lo sfottò andava avanti da un po’ di tempo quando, una sera, mentre facevamo uno spettacolo alla “Conchiglia verde” di Sirolo, gestita dalla fantastica signora Quartina, per anni una istituzione per la musica leggera marchigiana, che riuscì a portare Mina nel suo locale. A metà serata mio resi conto che al suono degli strumenti tradizionali si era aggiunto quello della chitarra hawaiana! “Loro non ce l’hanno – ho pensato – ma si sente!” Meravigliato, dopo aver svolto il mio ruolo di presentatore mi avvicino all’orchestra e resto di sasso. Premetto che molte modulazioni dell’hawaiana sono simili al miagolio di un gatto e che il batterista della formazione è fra i migliori in assoluto, che ha fatto parte di orchestre famose e che ha suonato con i grandi del jazz venuti nelle Marche. Ebbene, costui, preso un gatto che passava lì vicino, teneva con la destra le zampe anteriori e con la sinistra le posteriori. Stiracchiandolo leggermente lo costringeva a miagolare ottenendo l’effetto della chitarra Hawaiana! Accortosi della mia presenza, continuando il concerto fra le risate dei compagni che suonavano imperterriti, mi disse: “Ecco! Adesso non rompi più! La chitarra hawaiana ce l’abbiamo anche noi!” Lasciato il gatto riprese a suonare la batteria. Appena riuscii a finire di ridere mi venne in mente il famoso detto: “Fra il genio e la pazzia… il passo è breve!”