di Matteo Ricucci
Alberto però non ritornava nella sua città e i giorni si sommavano ai giorni, i mesi ai mesi e gli anni agli anni. Ne trascorsero ben quattro e Angela si era anche laureata in Scienze Politiche. In tutto quel tempo mai, nemmeno per un solo istante, lei aveva perduto la speranza d’incontrare di nuovo il suo Alberto. Katia invece era sempre evasiva, si stringeva nelle spalle alle insistenti domande dell’amica. Nel 1973 improvvisamente le lotte politiche nella città di S., si riaccesero con violenza. I Kalashnikov iniziarono a cantare il loro canto di morte: giudici, poliziotti, carabinieri, sindacalisti, operai dissenzienti furono massacrati senza pietà, numerosi attentati al plastico alle sedi dei partiti, alle banche, agli uffici statali, cominciarono a riempire le prime pagine dei giornali. Scritte murali, volantini con la stella a cinque punte, altoparlanti ben mimetizzati annunciavano sfide e minacce terribili. Tutto palesava l’esistenza di un gruppo di terroristi ben organizzato e meglio guidato. La città era sgomenta e disorientata. Era ormai chiaro che nelle faccende politiche c’era stato un salto di qualità che nulla di buono faceva prevedere per il futuro. La polizia politica brancolava nel buio, vanamente protesa a scoprire il più piccolo indizio che la conducesse a quel misterioso e inafferrabile gruppo terroristico. L’unico elemento certo era la sigla con cui esso firmava ogni attentato: GLP, cioè Gruppo di Lotta Proletaria. Un giorno di primavera di quel 1973 Angela e un gruppo di amici si recarono fuori porta per godersi un po’ di sole dopo la lunga stagione invernale. Si fermarono a pranzare in un locale caratteristico che si trovava in cima a una collina da cui si godeva un magnifico panorama: la città giaceva ai suoi piedi per tutta la sua estensione. Si accomodarono a un tavolo vicino a un enorme camino in cui il girarrosto, con ritmo costante e monotono, rosolava una lunga sfilza di tordi. Nell’attesa d’esser serviti, il discorso cadde sul fantomatico gruppo GLP: ognuno diceva la sua e nessuno era d’accordo con gli altri. Il chiasso attirò l’attenzione di due avventori che pranzavano a un tavolo poco distante. Angela li aveva notati subito e, dei due, quello più giovane, che sfoggiava una folta barba e lunghi capelli biondi che gli coprivano il bavero della giacca. Gli occhi nascosti sotto un paio d’occhiali scuri, la incuriosì di più. Lei non sapeva darsene ragione, ma più lo fissava e più una strana emozione le serrava la gola. Lei ebbe una folgorazione: quel personaggio misterioso era Alberto Panizza! L’emozione la teneva inchiodata alla sedia, pur desiderando immensamente di salutarlo, d’abbracciarlo, d’urlargli la sua felicità. L’uomo non si scompose, né manifestò turbamento alcuno. Un’amica che le sedeva vicino, accortasi del suo pallore, le chiese: “Hai visto un fantasma?” – “No, no, un semplice malessere, mi passerà subito, anzi, scusatemi, vado in bagno”. Si alzò e, con andatura un po’ incerta, passò davanti al tavolo, dove sedevano i due misteriosi personaggi, continuando a fissare con insistenza il più giovane. Quando fu nel bagno cadde a sedere sulla tavoletta del water e si asciugò il volto sudato. Sì, lei ne era certa, si trattava proprio di lui, di Alberto Panizza, più uomo, più maturo e più scuro di colorito che nel passato. Si rizzò sulle gambe malferme, andò al lavandino per lavarsi il viso con acqua fredda. Fece una profonda inspirazione e ritornò in sala. Con viva meraviglia notò che i due misteriosi commensali erano spariti. “Scusatemi, ho avuto una leggera indisposizione”. Poi, rivolgendosi all’amica, le chiese sottovoce: “Quando sono andati via quei due signori del tavolo vicino?” – “Ah, ma allora l’hai visto davvero un fantasma!?” – “Sì è vero, ho creduto di vedere nel più giovane un vecchio compagno di liceo, ma è probabile che mi sia sbagliata”. Rispose con malcelata indifferenza. “Va là, non me la dai a bere! Dev’essere più di un vecchio compagno di scuola. C’è mancato poco che tu cadessi svenuta, appena l’hai notato”. Angela non aggiunse parola e fece finta d’interessarsi di nuovo al GLP. Per lei, in tutta la sua vita, non vi fu pranzo più lungo di quello. Non vedeva l’ora di essere sola per riordinare le sue idee. Come mai Alberto era riapparso in città dopo tutto quel tempo e proprio in occasione dell’esplosione di quella misteriosa ondata di attentati? Non ebbe alcuna difficoltà a sospettare che il capo dell’inafferrabile GLP fosse proprio lui. Appena possibile, corse da Katia Nardini. “Ascoltami, so che Alberto è qui in città! L’ho visto nel ristorante La Collina insieme con un personaggio sconosciuto. Nonostante la folta barba e gli occhiali scuri, l’ho riconosciuto immediatamente: il mio cuore non si sbaglia! Ora io so che tu da sempre gli sei politicamente molto vicina e che, se vuoi, puoi fare entrare anche me nel GLP” – “Comincio a convincermi che l’amore ha davvero il potere d’operare miracoli! Non ti sei mai arresa in tutto questo tempo e ora, per giunta, sei disposta anche a cambiar bandiera pur di realizzare il tuo antico sogno. Comunque Angela il GLP non è il consiglio d’interclasse della passata contestazione studentesca: di esso fanno parte persone ideologicamente preparate e molto impegnate. Se ne hai afferrato il nocciolo, ora non si gioca più, ma si combatte davvero: è lotta armata, una militanza severa e piena di rischi!” – “Non m’importa, voglio farne parte, a qualsiasi costo”. – “Il tuo desiderio di farne parte non conta, necessaria è la decisione dei capi. Non basta che sia io, o una persona più influente di me, a presentarti: per farne parte bisogna superare prove difficili; essere convinti fin nel midollo spinale degli ideali politici che lo governano. Ho capito perché vuoi farne parte ma il tuo amore per Alberto non è una credenziale valida per riuscirci. Comunque ti prometto di fare del mio meglio. Aspetta e taci se non vuoi rischiare la pelle”. Le ingiunse con serietà Katia. Angela seppe aspettare e tacere e alla fine fu accettata.
continua