Il rosso fiore della violenza – IV puntata

di Matteo Ricucci

 il rosso fiore della violenza

“Sì,sì non c’è che dire, tu sei proprio cotta, ragazza mia! Scommetto che la prima persona a meravigliarsi di questa mia diagnosi sei proprio tu”. La ragazza continuava a piangere, asciugandosi meccanicamente le lacrime con il fazzoletto. I singhiozzi le impedivano di rispondere, poi, quando si fu calmata, la prima frase che disse fu: “Io innamorarmi di un tanghero come lui? Mai!” – “Sarà come tu dici, ma adesso calmati, datti una sistemata e poi ritorniamo di là, non sta bene fare aspettare i nostri amici. Angela rientrò a casa in taxi, ma la sua mente continuò a macinare come un mulino le parole di Katia. Voleva convincere se stessa che l’amica aveva torto, ma, a mano a mano, che la sua autoanalisi affondava il bisturi in quel dilemma, la verità affiorava alla sua coscienza: solo l’amore le aveva fatto tollerare supinamente uno schiaffo come quello e supinamente farsi imbrancare nel corteo senza insistere nel suo rifiuto. Solo l’amore, l’aveva costretta a fuggire le occasioni che le avrebbero dato l’opportunità di conoscerlo meglio. D’altro canto l’ammirazione che sempre aveva nutrito per lui, nonostante i limiti del suo difficile carattere, non poteva non essere amore, perché soltanto l’amore è capace d’accettare i difetti della persona amata. Le reazioni ai suoi dispetti erano tentativi inconsci d’autodifesa. Solo allora ebbe un brivido di freddo e la paura le attanagliò lo stomaco: per la prima volta nella sua vita si trovava a dover fare i conti con un sentimento nuovo, dolce, eppure così carico di futura incertezza. Quando rientrò, la sua cera non doveva essere bella, se la Tata, vedendola, si lasciò sfuggire un grido di meraviglia: “Madonna, figlia mia sei pallida come un morto! Che cosa hai, ti senti male? Vuoi che chiami il medico? Dio mio, proprio adesso che il signor Avvocato è partito per la montagna!” – “Non è niente Tata. Ti prego non chiamare nessuno, sono solo un po’ indisposta. Vedrai che passerà presto”. Rispose con un fil di voce, dopo essersi lasciata cadere pesantemente sul letto. “Non è nulla, non è nulla! Mica sono nata ieri io, sai. Non mi faccio ingannare da una ragazzina come te, io!” – “Ancora con questi diminuitivi! Ancora, ragazzina, piccolina e bambina, con cui tu e mio padre infiorate continuamente i vostri discorsi a mio riguardo! Quando vi convincerete che sono cresciuta anch’io?” – “Protesta quanto ti pare, ma tu per me sei ancora e sempre la mia bambina, mi pare ieri che ti lavavo il culetto tenendoti sulle mie ginocchia. Comunque bando alle chiacchiere, corro in cucina a prepararti una tazza di latte bollente, corretto con cognac e vedrai che toccasana sarà per te”. – “Va bene, io intanto mi spoglio”. Indossò il pigiama e si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi per rivivere ogni attimo dal giorno dello schiaffo fino alla scoperta di quel suo nuovo sentimento: l’accaduto la emozionava ma non la rendeva felice, perché intuiva che il suo futuro non sarebbe stato dei più rosei. La stanchezza l’avvinse e insensibilmente scivolò nel sonno. La Tata, rientrata con una tazza di latte fumante, stava per dire qualcosa, quando, accortasi che la ragazza dormiva profondamente, si ritirò pian piano e chiuse la porta. Angela emerse dalla sua crisi di sconforto con la scoperta che ogni gioia sulla Terra nasce e cresce nel giardino della sofferenza, ma sapeva anche che da quel momento in poi lei avrebbe lottato strenuamente per conquistare l’amore e la stima del suo uomo. Lei lentamente cominciò ad avvicinarsi alle sue convinzioni politiche e alla sua mentalità. Si fece vedere più spesso e più interessata alle riunioni d’interclasse, cominciò a far sentire la sua voce consigliando e proponendo. Sfrondò il suo abbigliamento e il suo look dei fronzoli della sua eleganza borghese: un paio di jeans stinti e una semplice maglietta furono, d’allora in poi, la sua divisa abituale. Lei cercava con il suo cambiamento d’attirare l’attenzione di Alberto, ma egli pareva ignorarla del tutto. Dopo la scenata in casa di Katia, i loro sguardi non s’erano più incrociati, le loro labbra non avevano più detto parole né amare, né dolci.

 

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