di Medardo Arduino
“…eum honestius tumulari posse quam in ea basilica…” Scrive Eginardo nella nota biografia dell’imperatore Carlomagno. Senza impertinenza, ma solo per sdrammatizzare le attuali conclusioni, questi grandi personaggi che in vita hanno molto viaggiato (nel nostro patrio suolo anche Giuseppe Garibaldi) pare siano stati di passaggio dappertutto. Anche dopo morto il Carlone viene rivendicato in molte sepolture, almeno tre che io sappia, con una sola invariante: è stato sepolto ad Aquisgrana poi è stato “traslato” ma dove non si sa e molti vorrebbe-ro scoprirlo, non mi sento Indiana Jones, io cerco solo testimonianze di cultura materiale. Riprendo l’argomento sepoltura, perché d’attualità vuoi per il 1200° della morte vuoi per le pubblicazioni a riguardo fatte qui da noi, per proporre ai lettori alcuni dettagli. Nel saggio “Basilicam quam Capellam vocant” (© 2013 MEDARDO ARDUINO Edizioni-ISBN 9788890747076) affronto la questione a mio modo di vedere e riporto un interessantissimo disegno a penna:
Ademaro di Castel Potenza seu Ademar de Chabannes; disegno a penna, riproduzione dalla rivista Medioevo – Un passato da ricostruire-n°11 (70) novembre 2002. Originale all’Archivio Manoscritti Vaticano.
Si vede bene, in primo piano si legge HIC REQUIESC CAROL Imp che si commenta da solo. Ovviamente ho ruminato per ore ed ore su questo disegno cercando anche collazioni con miniature medievali che conosco, in particolare quelle del Codice del Malabayla, del quale pubblicai in anteprima nella mia tesi tutte le 100 iconografie delle pergamene dei trattati. (Codex Astensis que communiter de Malabayla nuncupatur- tradotto e pubblicato a cura di Quintino Sella. originale all’archivio di Stato di Asti) Espongo qui il risultato in dettaglio delle mie opinioni su cosa rappresenti l’oggetto in primo piano a sinistra del disegno. Guardando tutto il disegno si può notare come l’autore ingrandisca alcuni dettagli che considera importanti, come fanno quasi tutti i miniaturisti fino al tardo medioevo.
Codice di Asti
Nella miniatura che rappresenta un villaggio recintato con il castello in posizione preminente, nelle forme del XIV sec. Le porte sono particolarmente evidenziate, oggi con un termine attuale sono definite “fuori scala”.
Mi baso sul Malabayla perché in prevalenza ci sono icone di castelli e borghi, per farvi constatare che questo aspetto è comune al periodo, noi che invece lavoriamo “in scala” mettiamo in genere in un cerchio il particolare ingrandito come se guardassimo con una lente d’ingrandimento. Notare nel disegno la grande porta e i giganteschi cardini.
Anche la struttura in primo piano a terra è fuori scala, basta considerare che le decorazioni delle “fasce” orizzontali sovrapposte che costituiscono il soggetto sono molto grandi e sproporzionate, a esempio, per un disegno analogico con le colonnine, le finestre e il paramento dell’edificio. Siamo cioè in presenza di un elemento messo in primo piano e ingrandito perché decisamente importante. Se fosse stato al suo posto e in scala, Ademaro non avrebbe potuto scriverci nulla (non esisteva ancora il riferimento a norma UNI per le indicazioni portate con linea e freccia). Peggio ancora se, come io penso, l’oggetto era all’interno dell’edificio, proprio al centro della costruzione tondeggiante. A me sembra, per usare le parole del conte Ottone di Lomello, proprio quel ..tugurium ex calce et marboribus valde compositum. (G.Pertz-M.G.H.-Chronicon Novalicense Hannover 1846) citato nella usata e abusata descrizione della visita di Ottone III, anzi dovrebbe essere quello che viene riparato dopo lo scasso…, reaedificato tuguriolo abiit… frase con la quale si chiude il reportage del Di Lomello. Ho letto di tutto e di più, come più volte ho scritto, come interpretazione di questo stringato ma efficacissimo racconto, ma da questa fonte, che mi pare sia l’unica affidabile sull’argomento, non posso dedurre che questa costruzione per certo molto piccola (il lessema Tugurium è già in cartule alto medioevali quale prima dimora di san Riquier, a es.) possa essere stata ipogea e atta a ospitare almeno tre-quattro persone che vi si calano da un buco del soffitto (“voltato” si scrive, senza pensare al comportamento statico delle volte) e queste persone .. Adoravimus ergo eum statim poplitibus flexis ac ienua… che possono inginocchiarsi davanti alla salma seduta, sarebbe un “tuguriolo” davvero di lusso; dubito anche quando ho letto che questa “magnifica” cripta (ovvero seminterrato, in genere) ma da tutti detta ipogea (ovvero completamente sottoterra), sia stata fatta costruire da Ludovico il Pio, se Eginardo scrive …Dubitatum est primo, ubi reponi deberet, eo quod ipse vivus de hoc nihil praecepisset il che sta a dire che il Capo non aveva lasciato disposizioni specifiche e per certo Ludovico (che in quei giorni se non erro era a svernare in Costa Azzurra o giù di li) non poteva aver fatto costruire questa meravigliosa e marmorea camera ipogea all’insaputa di tutti e che nessuno ha mai trovato dove la si vorrebbe mettere sia di qua e sia di là delle Alpi. Certo la “secchezza” della prosa del biografo non è affascinante e, se gli storici non la arricchiscono di opinioni… non fa presa sull’audience. Ma torniamo al tumulo di Eginardo, secondo Treccani è: tumulo Tipo di sepoltura comune in varie parti del mondo. Utilizzati in Europa dal Neolitico (fine del 5° millennio) all’età del Ferro e fino all’epoca storica, i t. consistono in un mucchio di pietrisco o più spesso di terra, che assume una forma a cono o a calotta sferica; il diametro varia da pochi a decine di metri, con un’altezza in proporzione… Esempi di t. si trovano in Lidia, Frigia, nelle necropoli etrusche di Cerveteri, Vulci, Populonia, Cortona (7°-5° sec. a.C.); di periodo ellenistico sono quelli di Vèrghina, http://www.treccani.it/enciclopedia/tumulo/
Qui ci scappano due considerazioni ad avallo della mia ipotesi dei Franchi Salici originari del Piceno, la prima: il tumulo è una sepoltura molto diffusa si, ma ben radicata nella cultura centro italiana; la seconda: tumulo è un vocabolo originale della linguamadre di Eginardo, il latino, quindi il coordinatore delle opere edili del sovrano non si può confondere, mentre un paio di secoli dopo, quando cambia il modo di seppellire di corsa gli imperatori, non essendo per niente monumentale questo tumulo marmoreo è definito tugurio. Dall’esame del disegno, secondo me, una costruzione di poco più di un paio di metri quadri di superficie fatta con lastre di recupero come d’uso, si può allestire e sigillare ex calce anche in mezza giornata, se ben organizzati, per poi rivestirla nei giorni successivi e completare il lavoro con arcusque supra tumulum deauratus cum imagine et titulo extructus. come appunto scrive Eginardo. Guardiamo i dettagli: innanzitutto quello della epigrafe, che mi sembra il disegno voglia documentare sinteticamente: è su una lastra verticale chiusa da una cornice decorata, come sono decorate le lastre orizzontali di tutto il tumulo/tugurio, a mio avviso gli ovali rappresentano una decorazione con motivi ricor-renti ovviamente semplificata, perciò sono andato a cercare una possibile decorazione affine e altomedioevale e la mia memoria l’ha trovata nei capitelli di rimonta dell’aula della chiesa di San Costanzo, edificata sui resti di una villa o terma tardo romana (Restauro Arch. G. Gentili). Le immagini evidenziano la tipologia della decorazione, nella quale fra l’altro, si legge uno dei gigli di francia ancestrali. I dettagli del disegno di Ademaro, non solo il tumulo, sono tutti coerenti, nella semplificazione del lavoro a penna, con le caratteristiche del disegno medioevale privo del supporto conoscitivo delle regole della prospettiva e della scala; comunque fatto secondo una interpretazione comprensibile ai contemporanei (per essere capito il disegno deve osservare gli standard espressivi dell’epoca) a supporto vi propongo altri dettagli quali le scandole della copertura, quelle “tegulis plumbeis” citate negli Annales per il terremoto dell’829 (Annales Regni Francorum seu Annales Laurissienses- www.thelatinlibrary/ annalesregnifrancorum.html)
Le scandole Altoatesine, seconda foto, sono in ceramica, si laminavano anche di piombo e nelle città romane delle Marche il piombo abbondava.Oppure le colonnine con capitello delle torri loggiate del fronte della Basilica, che a mio avviso potevano essere precorritrici di
quelle notissime della torre di Pisa (siamo nel bacino culturale Celto Etrusco Piceno). Anche le membrature sono eseguite con cura del dettaglio e sono nettamente differenti dal disegno delle scandole di copertura, quindi queste ultime non sono né coppi né embrici. Il tratto che disegna le scandole è abbastanza “arruffato” perché a penna piccoli tratti molto ripetitivi finiscono per perdere la cadenza quando disegnati uno ad uno senza un tracciato preliminare. Mi resta il dubbio su che fine abbia fatto il tumulo in occasione del terremoto del 1117 quello che venne avvertito dalla Baviera a Montecassino che causò lo spopolamento per ben 5 anni di Verona. Come ho già scritto ipotizzo che l’attuale Annunziata in Val di Chienti sia la ricostruzione dopo questo sisma o un suo fratello prima del 1164. Qui si apre il giallo di dove siano finite le spoglie dell’Imperatore, che io penso i Benedettini recuperarono; ho letto che Federico I le ritrovò per divina ispirazione, forse, ma non c’è Robert Langdon a soccorrerci.