La storia di Macerata a piccole dosi, XXXV puntata

Liberamente tratta da “Storia di Macerata”,

origini e vicende politiche

di Adversi, Cecchi, Paci

 

Complotto in città

 

I giovani maceratesi

Della pessima amministrazione pontificia trassero vantaggio gli oppositori che attraevano a sé i giovani vissuti durante il governo napoleonico. Infatti i ragazzi “quasi non hanno idea del governo del Papa o, se l’hanno corrottissima o pessima. Si vergognano persino d’essere sudditi de’ preti”. Sui giovani avevano influenza la borghesia liberale, gli aspiranti agli uffici pubblici che venivano scavalcati negli incarichi dai chierici, i magistrati e gli ufficiali che erano stati destituiti dai loro incarichi. A questi malcontenti si aggiungeva il ceto dei poveri, la cui situazione era resa ancor più grave dalla crisi economica.

 

Le sette segrete

Dopo la restaurazione, per tutti i motivi sopra elencati, nelle Marche trovarono facile spazio le sette segrete. La più importante era la Carboneria e se ne ha notizia, ad Ancona, fin dal 1813 ma erano presenti anche quelle dei “Guelfi” e dei “Protettori repubblicani”, antinapoleoniche come la Carboneria e indipendentiste. Tutte trovarono fertile terreno a Macerata.

 

I Carbonari maceratesi

Tra i Carbonari maceratesi “emergono due figure: Luigi Carletti di Macerata, ex militare napoleonico in condizioni provvisorie d’impiego e Riva Francesco da Forlì, ex gendarme industriantesi in dar lezione ed accademie di scherma”. C’era anche il conte Cesare Gallo da Osimo “dedito a una vita godereccia e di prodigalità che gli procurò guai d’ogni genere, specie debiti su debiti… si ridusse a tale che dovette accettare, per vivere, l’impiego di proposto al Bollo a Macerata”. Costoro, insieme con la Carboneria locale, iniziarono una trama rivoluzionaria.

 

Il complotto

Tutto iniziò nell’aprile del 1817, quando il Papa Pio VII fu in pericolo di vita. Il Carletti ideò un piano “pur non avendo né figura né talenti per fare questa operazione”, infatti sembra fosse poco patriottico, abusò del nome di Gallo affermando in modo menzognero di essere da lui stato incaricato ed estorceva denaro in continuo al Gallo stesso e costui “era obbligato a non sortir di casa per non vederselo al fianco, richiedendo sempre denari e direzione per il suo progetto”. Anche gli altri non sfuggivano alle richieste del Carletti che li minacciava “che sarebbe venuto nelle nostre case a massacrarci”. Una sera minacciò anche il Gallo con queste parole: “Io ho bisogno di denaro in questo momento, conte. Se tu non me lo dai io assalto la prima persona che passa per strada e me la piglio con te”: davvero un bel tipo di rivoluzionario!

 

Il piano sanguinario

Il piano prevedeva un assalto alla città col favore della notte… “Impossessandosi delle case di Conventati, di Gabuccini e Carradori, trucidando i padroni di esse; contemporaneamente si sarebbe preso il palazzo apostolico ed il vescovado, arrestando il delegato e il vescovo e sacrificando tutti i sanfedisti; con tutti i denari ricavati poi si poteva andare per tutta la provincia, sicuri che la fame e il malcontento dei popoli avrebbero aumentato il numero dei rivoltosi, tutti sarebbero corsi ad agire per il grande oggetto della distruzione della tirannia”.

 

L’opposizione

Il progetto trovò l’opposizione degli altri congiurati che dissero: “Questo è un assassinio e depredazione progettata da quattro disperati… e che la Carboneria avrebbe dovuto impiegare tutta la forza possibile per far desistere e porre un freno al Carletti ed ai suoi partigiani”. Ma il Carletti era scatenato e in una seduta della setta, perdendo il rispetto per Gallo, disse: “Sebbene lo riconoscessero Reggente, egli (il Gallo), però, era a capo della Carboneria bassa, che così egli chiamava, e che i soggetti da sé dipendenti erano maggiori di numero e capaci di fatti, mentre le operazioni della Carboneria regolare erano inconcludenti e si limitavano alle formalità”. Il Gallo, per evitare scontri, inviò la “palla” alla vendita di Ancona.

 

Arrivano le guardie

Intanto le vanterie del Riva avevano attirato l’attenzione del Governo che il 4 giugno inviò a Macerata quattro gendarmi e, subito dopo, un contingente più nutrito di 120 uomini armati. Per maggior sicurezza fu attivata anche una guardia scelta pubblica di altri 120 militari.

continua

 

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