Dall’inedito “Caravaggio e le ombre dell’anima”
di Matteo Ricucci
Ultima puntata
La violenza e la drammaticità della sua tela che raffigura “Giuditta che decapita Oloferne” non è soltanto il parto estetico d’una pittrice di talento, che in nulla era inferiore ai suoi colleghi maschi, ma addirittura li surclassava. Moltissimi dei suoi capolavori rappresentano il dramma dello sfruttamento e della soggezione delle donne da parte dei maschi satiri, come la tela: “Susanna e i Vecchioni” in cui lei ha dipinto se stessa nelle vesti dell’eroina biblica. Ad analizzarla attentamente, vecchio è soltanto uno dei due, l’altro è molto più giovane come si evince dalla sua folta e nera barba. Critici attenti suggeriscono che i due personaggi rappresenterebbero l’uno il padre e l’altro il suo stupratore. Essa è una chiara denuncia della morbosità con cui i due uomini, più presenti nella sua vita di lavoro e di famiglia, la ossessionavano e la turbavano continuamente. L’arte pittorica di Artemisia toccò vertici altissimi e in essa è chiara l’influenza del realismo e del naturalismo caravaggeschi e che seppe raggiungere mete ben superiori a quelle del padre, come dimostrano: “La Conversione della Maddalena”, eseguita nel primo quarto del XVII secolo(Firenze, Galleria Palatina); la “Madonna che allatta il bambino”(Firenze, Galleria Palatina); La“Minerva”(Firenze, Galleria degli Uffizi) e tante altre incomparabili opere. Dall’attenta analisi del suo catalogo si evince che Artemisia seguì forse inconsciamente l’iter iconologico del grande Caravaggio, ma ciò non deve sorprendere perché entrambi, anche se di età diverse, erano pur sempre figli della stessa epoca, violenta, prevaricatrice e ingiusta! In quel difficile mondo, dominato dai maschi, la sua creatività prediligeva ritratti di personaggi storici femminili di rara bellezza, donne, sconvolgenti e fiere, che in ogni epoca della storia hanno perseguito la conquista della propria indipendenza e della libertà di disporre di se stesse. Viaggiò molto: tornò a Roma, senza timore del suo burrascoso passato, anche perché i grandi personaggi della sua fanciullezza erano o emigrati per inseguire quella gloria che continuava a essere un miraggio da Fata Morgana, o perché la morte aveva messo fine alla loro avventura terrena, umana e artistica. Si trasferì a Napoli, dove il suo messaggio estetico mise subito salde radici produttive. Delle sue due figlie nessuna seguì le orme artistiche della madre e del nonno ma, in compenso, vissero una vita di donne con appaganti virtù domestiche.