di Lucio Del Gobbo
Ho conosciuto Emilio Villa una trentina di anni fa; si era in clima di Transavanguardia, assolutamente sconfessata da Emilio (non esiste!). Si era in casa di Silvio Craia nei pressi di Ripe San Ginesio, Villa, Magdalo Mussio, Alfonso Cacchiarelli, Craia e io. Villa aveva momentaneamente svestito i panni del poeta-critico-vate. Ne avevano facilitata la svestizione un’abbondante porzione di prosciutto nostrano e qualche buon litro di vino dall’intenso profumo di uva. A causa dell’età ormai tarda, non si riconosceva più in lui la sua storia di avventurose intuizioni e scoperte nel campo dell’arte di avanguardia. Un’aria di frustrazione faceva di lui e Mussio due persone scettiche e disfattiste quanto non si sarebbe potuto immaginare, non solo a riguardo della Transavanguardia ma dell’arte in generale. Noi più giovani – restando Craia neutrale per dovere di ospitalità – ingenuamente, cercavamo di controbattere e contestare tanta negatività. Beata innocenza: due sbarbatelli a controbattere due monumenti dell’avanguardia italiana! Che figura avremo fatto?! Ma la buona tavola, alla fin fine, avrebbe provveduto a calmierare ogni asprezza!