Dall’inedito “Caravaggio e le ombre dell’anima”
di Matteo Ricucci
Orazio Gentileschi, figlio di un orafo fiorentino, nacque a Pisa nel 1563, otto anni prima del Caravaggio. Anche lui si trasferì a Roma giovanissimo, vivendo presso uno zio che era capitano delle guardie di Castel Sant’Angelo. Inizialmente lavorò come orafo nella bottega del padre, ma a vent’anni circa scoprì il suo amore per la pittura e vi si dedicò con passione e determinazione. A differenza di Michelangelo Merisi che, come sappiamo, iniziò il suo apprendistato presso il Peterzano attorno ai 14 anni, Orazio fu un geniale autodidatta, volenteroso e pieno di iniziativa, che cercò liberamente e autonomamente il sentiero da percorrere per diventare un vero artista, tanto che, attorno agli anni ‘80 del 1500 lo troviamo già tra le maestranze che lavoravano agli affreschi della Biblioteca Vaticana. Nel decennio successivo aveva sviluppato, sia pure faticosamente, una sua personalità artistica che lo vide impegnato come titolare in committenze pubbliche. Fece anche lui amicizia con il pittore Cesari, detto Cavalier d’Arpino, insieme al quale lavorò alla ristrutturazione di San Giovanni in Laterano. Nel 1595 fece amicizia con Onorio Longhi e insieme disegnarono il sepolcro per le spoglie d’un cardinale e, cinque anni dopo, entrambi conobbero il Caravaggio. In questo periodo, approssimandosi l’Anno Santo del 1600, fu impegnato alle dipendenze del Cesari in una noiosa arte ufficiale nella cui esecuzione non si avvertiva ancora alcun segno d’un suo nuovo stile, a differenza del Merisi ch’era già considerato un vero maestro per aver dipinto le pale d’altare laterali della Cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi e che tanto stavano mettendo a rumore il mondo accademico romano. Orazio Gentileschi, vedendolo lavorare, fu impressionato dal suo dipingere dal vero e con modelli umani. Egli era prossimo ai quarant’anni, quando cominciarono a far capolino sulle sue tele i primi rudimenti dell’arte caravaggesca. Il suo fu un processo di avvicinamento molto graduale ma del tutto spontaneo, che portò a una incisiva e solida espressione artistica che, ben presto, darà i suoi frutti più maturi. Ebbe un vero talento nel dipingere i suoi personaggi con abiti di tessuti preziosi, quali sete, broccati, damaschi cui sapeva dare morbide forme e incantevole lucentezza. Gli balenò così una prima idea e, senza comunicare alcunché al suo ormai famoso amico, gli chiese in prestito un paio di ali che gli erano servite per “San Matteo e l’Angelo” e s’avventurò a dipingere un “ San Francesco e l’Angelo” che palesava chiaramente i primi segni dell’arte verista di Michelangelo. Con Gentileschi e con Merisi entrò in competizione Giovanni Baglioni, pittore manierista, con uno stile ormai retrivo. Il Merisi quando scoprì i suoi propositi, comunque non tanto segreti, lo prese in tale antipatia da osteggiarlo con assoluta caparbietà. In fondo in fondo egli non accettava che il Papa premiasse pittori di stile vecchio e stantio con massicce collane d’oro, che costoro poi indossavano e portavano a spasso con tronfia alterigia. Per il suo carattere irascibile tutto ciò era un vero e plateale affronto. I suoi sodali d’altronde non perdevano occasione di riportargli dicerie vere o presunte del Baglioni contro di lui. I dispetti, le liti, gli scontri erano all’ordine del giorno. Diciamo che torti e ragioni erano da ambo le parti e, prima o poi, qualcosa di grosso sarebbe accaduto. Orazio Gentileschi e Onorio Longhi, che erano i “Pierini” del clan, scrissero un libercolo satirico, bassamente offensivo che diceva:
Gioan Bagaglia tu no(n) sai un ah
Le tue pitture sono pitturesse
Volo vedere con esse
Ch(e) non guadagnerai
Mai una patacca
Ch(e) di cotanto panno
Da farti un paro di bragasse
Ch(e) ad ognun mostrarai
Quel ch(e) fa la cacca
Portela dunque
I tuoi disegni e cartoni
Ch(e) tu ài fatto a Andrea pizzicarolo
O veramente forbente il culo
O alla moglie di Mao turegli la potta
Ch(e) libelli con quel suo cazzon da mulo più non la fotte
Perdonami dipintore se io non ti adulo
Ch(e) della collana ch(e) tu porti indegno sei
Et della pittura vituperio.
Giovanni Baglioni, il quale intuiva la paternità di quelle infamanti dicerie, denunciò per diffamazione Orazio Gentileschi, Onorio Longhi e Filippo Trisegni. Ben presto anche il Caravaggio fu coinvolto perché ritenuto il capo di quel clan. Furono tutti arrestati e rinchiusi in Tor di Nona in attesa di giudizio. Questi giovani artisti furono adepti convinti di una nuova religione: l’affermazione del diritto dei membri della “Nuova Scienza” di indagare l’Universo alla luce dell’umana esperienza. Essi, per sostenere le loro idee, non disdegnavano impegnarsi in duelli feroci con gli accademici i quali affermavano, invece, che tutto fosse già stato detto e registrato nei libri sacri dei Padri della Chiesa e, a eterno monito di tutte le generazioni future, null’altro fosse da scoprire e da conoscere intorno al loro piatto e immobile mondo, incardinato al centro dell’Universo.
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