La Congregazione dell’Oratorio

Dall’inedito

“Caravaggio e le ombre dell’anima”

di Matteo Ricucci

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Il buon Filippo vestiva poveramente, e il suo aspetto da bonaccione lo faceva preda degli scherzi di bande di ragazzacci trasteverini e dei vicoli attorno a Campo Marzio, che non perdevano mai l’occasione di trasformare in motivo di gioco qualche povero passante solitario. Egli non reagiva, anzi sorrideva, sempre! Quando poteva, li punzecchiava amorevolmente tanto da diventare ben presto uno di loro. Appena la loro giovanile effervescenza superava la soglia del lecito, egli amava rabbonirli con la frase: “State boni, se potete!”, o: “Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete ma non fate peccato!” Oltre a ciò egli prestò il suo aiuto ai malati dell’ospedale S. Giacomo dove, qualche tempo dopo, incontrò e fece amicizia con un frate cappuccino, San Luigi da Cantalice, quasi un suo sosia di carattere del quale restò amico sincero e affettuoso per tutta la vita. Nel 1548, insieme con il suo carissimo confessore padre Persiano Rosa e in previsione dell’arrivo tumultuoso di pellegrini per il giubileo del 1550, gettò le basi della sua prima istituzione: “La Confraternita della SS Trinità dei Pellegrini”. Furono ospitate, assistite e sfamate ben 500 persone al giorno. Nel 1551 Filippo, su pressione del suo amico confessore, decise di diventare sacerdote, unendosi ad altri preti di vita santa che reggevano la “Confraternita della Carità” e che conducevano vita in comune presso la chiesa di San Gerolamo della Carità, in via Monserrato. Nel 1557 Filippo accolse nella Confraternita Antonio Gallonio, suo futuro biografo e il giovanissimo Cesare Baronio, autore dei famosissimi “Annales Ecclesiastici”, opera apologetica importantissima, nata con l’intento di opporsi e contrastare le “Centurie di Magdeburgo”, una sorta di storia della chiesa protestante. Questi due neofiti diventeranno entrambi cardinali della santa Romana Chiesa. Finalmente, nel 1564, Filippo fondò la “Congregazione dell’Oratorio”, una confraternita di preti secolari di vita comune e consacrati alla carità e alla parola, che assunse una potente carica spirituale coinvolgente tutta Roma. Egli predicava la necessità di un’assoluta e sincera conversione che annullasse la discriminazione dei ceti sociali e trasformasse tutti, ricchi e poveri, potenti e deboli in fratelli, uniti nell’amore di Cristo. Insegnò a pregare il Dio di tutti gli uomini con assoluta fiducia il Lui e di porsi in gioco tutti i giorni per il bene dei malati, dei poveri, dei pellegrini. I membri delle più illustri famiglie nobili e ricche della Roma bene: i Colonna, i Farnese, i Massimi, i Salviati, i Vittrice, gli Altieri, nel timore della dannazione eterna e per mortificare il proprio orgoglio, diventarono oratoriani di sicura fede, non provando più ribrezzo a frequentare, ad aiutare, a curare i poveri nelle strade, i malati nell’ospedale della Trinità dei Pellegrini. Gli emarginati, dal canto loro, impararono ad aver fiducia nei potenti, a non temerli più, ad amarli di un amore sincero. Filippo stimolava i più indecisi a comunicare direttamente con il Dio degli umili e dei pazienti. Organizzò mense gratuite per gli affamati, convinse tante prostitute ad abbandonare la loro vita dissoluta, immergendosi nelle limpide acque purificatrici della misericordia di Dio. Tale apostolato s’identificò con l’appellativo di “Religione della Strada”, per la sua tendenza ad andare incontro agli emarginati, agli sbandati, ai sofferenti, agli affamati, ai ghettizzati. Era la stessa umanità che il Caravaggio reclutava come modello nei dipinti sulle sue pale d’altare: vecchi racchiusi in abiti poveri e stracciati, senza scarpe e con piedi sporchi di polvere (la Madonna di Loreto), esseri minati dalle malattie, nullatenenti che spesso morivano di fame per strada nella cieca indifferenza dei passanti. Egli non li usava, ma li elevava a simboli della vera dignità dell’uomo redento, a monito dell’egoismo umano, ché il Signore ci fece tutti fratelli e, facendo ciò, li poneva tutti sull’ara del rispetto in perenne offerta di amore. Sempre esprimeva la loro sofferenza, con affetto e con dignità, e sempre nella loro concreta condizione di esseri umani, sia pure spogliati di tutto. Erano personaggi del mondo reale, non inventati, erano esseri umani con un nome e un cognome, proprio come i ricchi e i potenti, ma che nessuno citava, che nessuno avvicinava, se non per deriderli e sfruttarli. Erano anch’essi figli di Dio, senza orpelli, senza falsificazioni, erano così come Dio li aveva voluti, tasselli di un mosaico che soltanto il Creatore dell’Universo sapeva comporre. Essi chiedevano ai compagni di viaggio su questa terra ingrata soltanto di essere amati, di essere accolti e non scacciati.

continua

 

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