Carlo Magno e le Marche

di Medardo Arduino

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Certamente la questione è complessa quanto semplice: consideriamo le forme di “proprietà” e di “potere di controllo” nel periodo alto medievale, in sintesi ne esistono solo due, entrambe diretta emanazione di una sola situazione: la difficoltà di comunicazione e di spostamento. La nascente società feudale è chiaramente organizzata nelle “economie chiuse”, cioè ogni piccolo gruppo deve vivere con le proprie risorse, perciò anche il potere vive con le proprie. Per comandare ci vuole potere di coercizione: se lavoro con la spada non ho certo tempo di coltivare la terra o pascolare greggi, ma trovo con relativamente poca fatica chi mi mantiene se lo difendo dai soprusi degli altri pari miei. Da questa semplice equazione si origina la complicatissima piramide gerarchica della società feudale che si consolida dopo l’anno mille con il generale incremento demografico. Prima di tale data per l’Europa transalpina vale la descrizione che più volte ho citato del Duby, quell’Europa spopolata (solitudini a nord, est, ovest) senza grandi risorse economiche primarie (paludi, sodaglie, tutte le degenerazioni della foresta) e soprattutto “un mondo poverissimo assediato dalla fame”. Fanno eccezione miti come Cordova e Bisanzio (qui il Duby erra, non è Bisanzio, ma Costantinopoli). La “gens” Franca Salica, secondo le mie ricerche delle testimonianze “immobili”, cioè degli edifici alto-medioevali marchigiani, qui si è sviluppata e acculturata. Le Marche sono una regione bellissima, che pochi conoscono bene, difficile da attraversare a causa dell’orografia, facile da difendere ai suoi confini naturali, fertilissima e con clima particolarmente mite. Nell’alto medioevo non è assolutamente spopolata come dicono i testi ottocenteschi ripresi e citati da troppi storici contemporanei, sarebbe il più assurdo dei controsensi che i Longobardi che tutti conoscono popolassero la palude padana ma non le Marche collinari. In una terra come questa, ricca tra l’altro di fonti termali curative, ci si vi-eva e si continua a vivere bene. Veniamo alla questione: due parole, Allodio e Feudo. Il primo identifica una proprietà terriera esente da vincoli verso chicchessia: la vera forma di proprietà. La seconda invece parla di una proprietà in concessione, magari trasmissibile da padre in figlio ma pur sempre gravata da obblighi tributari, sia in beni materiali che in prestazioni d’opera. Orbene, prima di Pipino il Piccolo abbiamo Re tribali che hanno potere sui componenti di una tribù o di un clan, magari di seminomadi, controllati e messi in riga da un “maggior Signore” o Prefetto che li coordina sicché a lui sono “fideles”. Re Pipino (che si firmerà anche Augusto Imperatore) poi suo figlio Carlo, consolidano l’impero nelle forme note ma forse oggi frequentemente malintese della società feudale. Hanno una proprietà allodiale che è loro esclusiva che possono trasmettere all’infinito ai discendenti e che gode, quando provata da documenti o testimonianze, del diritto di prelazione perpetuo, tutto il resto è legato ai rapporti effettivi di potere fra feudatario e vassallo. Per questo i Re e Imperatori Franchi passeranno la maggior parte della loro vita attiva in giro per i loro domini feudali, a estendere o riaffermare appunto il loro dominio. Sottolineo quello che a mio avviso è un aspetto poco valutato o dimenticato della società feudale altomedioevale: l’assoluta e generalizzata carenza non solo di strade percorribili, ma di collegamenti regolari, tanto di carattere militare come di carattere mercantile, senza tali collegamenti, considerabili la parte “immateriale” delle cosiddette “infrastrutture”, non è possibile gestire o per meglio dire governare un “regno territoriale”, come quelli che per l’appunto cominceranno a prender forma dopo l’XI sec e tantomeno i cosiddetti “stati nazionali” che arriveranno qualche secolo dopo. Ben diverso è possedere una decina di “ministeria” le cui tracce vanno all’incirca fra il fiume Tenna e il fiume Esino fino alla dorsale appenninica, organizzati in un sistema micro-territoriale che non deve essere inteso quale regno visto a scala Europea. La Marca di Carlo Magno è invece, per quei tempi, una immensa azienda agricola personale gestita in modo imprenditoriale ovvero con investimenti (cfr. Capitolare “de villis”) provenienti da quei proventi dell’impero feudale che non sono reinvestiti in presidi e azioni militari e non già come il modello del “latifondo” tardo romano. Queste “terre” (come ancora oggi definiscono le aree agricole i Marchigiani) erano le terre dell’Imperatore, contornate da quelle dei suoi più fedeli vassalli a formare quella Francia Salica, le cui testimonianze “immobili” a dispetto della migrazione degli archivi, dei terremoti e incendi, delle mistificazioni per la ragion di stato, continuano a dimostrare la stabile presenza dei Franchi. Sul territorio di Carlo agiscono tutte le componenti la sua società feudale, compresi gli indispensabili monaci Benedettini. Nelle terre dell’imperatore una sola città: la sua capitale. Concludo considerando che Carlo Magno non si è accontentato di un “regno delle Marche” (che sarà invece poco dopo la sua morte una parte essenziale del regno del Papa Re), Carlo imponeva i suoi prelievi feudali a tutta l’Europa, ma con termini attuali, “investiva” nella sua proprietà nella terra natale, dove, a giudicare dai vari “annali”, ci fu raramente da giovane poi sempre più spesso da vecchio, fino a non lasciarla più.

 

 

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