Intervista all’arch. Michele Schiavoni
dell’Associazione Culturale “Punto e a capo”
Quando nasce “Punto e a capo” e perché questo nome?
Risponde Michele Schiavoni: “Nasce nel marzo 2013 da un incontro tra un gruppo di artisti, architetti e letterati. Lo scopo è quello di dar vita a una serie di attività, mostre, eventi di ricerca,
laboratori didattici, che vadano, in un periodo di grande crisi, a indagare su temi riguardanti la contemporaneità, da qui il nome “Punto ed a capo”. Una denominazione che può essere letta in maniera giocosa come uno slogan, o come un desiderio di cambiamento, ma è innanzitutto una citazione verso il titolo di un articolo scritto dal critico d’arte e architettura degli anni ‘30, Edoardo Persico, Punto ed a capo per l’architettura (in cui nel nostro caso viene tolto il sostantivo Architettura in nome di una certa interdisciplinarità a cui tendiamo). Lo scritto è oggi più che mai attuale, in quanto indaga su come affrontare una crisi, ora come allora, tutta italiana, che tende ad
appiattire e a spingere le menti verso il basso”.
Come nasce la manifestazione “Macerata Moderna, fotografie d’Architettura dal ventennio a oggi”?
“Prende il via da questo incontro, tra artisti e architetti: Macerata Moderna è innanzitutto una necessità, il bisogno di analizzare e di cercare di scoprire, forse per la prima volta a Macerata, l’architettura del modernismo presente nel nostro territorio. Macerata Moderna vuole mettere in evidenza il percorso dell’architettura maceratese, dagli anni ’20 a oggi, in rapporto con questo grande Movimento e con gli orientamenti più aggiornati che prendono vita dalla fine degli anni ’80”.
Cosa c’è dopo il Modernismo?
“Facciamo un breve escursus storico – premette Michele Schiavoni – in Italia il fascismo sale al potere nel 1922, parallelamente in Europa le intuizioni di Walter Gropius portano alla nascita del Bauhaus, siamo nel 1919, una data fondamentale in quanto da il via ad una rivoluzione senza precedenti nel campo dell’arte del costruire, che prende il nome di Movimento Moderno. Va infatti detto che eventi come la mostra al Moma di New Yorke dell’88, relativa all’architettura Decostruttivista e la caduta del Muro di Berlino nel 1989 segnano, per molti storici, la fine del Movimento Moderno e l’inizio di un’architettura detta della Globalizzazione. Questa è un’architettura a tratti deresponsabilizzata, che abbandona i grandi temi propri del modernismo, come la casa e la città, puntando invece sempre più spesso a farsi spettacolo, immagine, pensiamo a esempio al Gugghenaim di Gehrry a Bilbao o al Maxxi della Hadid a Roma”.
E’ stato difficile selezionare le opere?
“Noi soci dell’associazione Punto ed a capo ci siamo posti una domanda: come percepisce Macerata questo Movimento che investe l’arte del costruire nel ‘900 in tutti i suoi ambiti ed in tutti i paesi civilizzati del mondo? Ci siamo così messi al lavoro per documentare Macerata Moderna. Va detto che la scelta delle opere è avvenuta in maniera rigorosa, analizzando forse un centinaio di architetture, e arrivando a selezionarne 34. Alcune opere sono state escluse dolorosamente, altre inserite non trovando tutti noi d’accordo, ma proprio qui c’è stato un arricchimento, perché si è innescato un dibattito, ricco e onesto. Ci teniamo a precisare che le scelte sono avvenute in totale libertà, ascoltando tutti, chiedendo anche consiglio a chi vive il territorio da molto prima di noi, ma questo senza farsi influenzare da alcuno”.
Com’è il rapporto dell’architettura maceratese con il Movimento Moderno?
“Va detto che a volte questo rapporto è completamente inesistente – continua Michele Schiavoni – a tratti invece, soprattutto nel secondo dopoguerra, è di una intensità incredibile, forse addirittura troppo forte, rischiando a tratti di perdere di vista proprio Macerata, in un atteggiamento però che non è tipico del Modernismo, ma di una sua declinazione, forse la peggiore: l’Internacional Style. Andando avanti, negli ultimi trent’anni, se è vero che il Movimento Moderno ha lasciato il passo all’architettura della Globalizzazione, un Internacional Style al cubo, va detto che a Macerata si è perduta la via, non solo del Modernismo, ma anche e soprattutto della buona architettura”.
Quale la causa?
“Forse noi architetti ci siamo sentiti un po’ smarriti proprio per il fatto di trovarci in una età
di passaggio, con l’inizio di un nuova epoca ancora poco chiara, fatta di molteplicità di linguaggi, che non sempre tengono conto delle condizioni di partenza, cioè del tanto citato, quanto poco rispettato genius loci: l’anima del luogo in cui andiamo a operare. E’ bellissimo ciò che dice l’architetto americano Luois Khan su questo argomento, parlando del potere di prevedere dell’architetto. Secondo questo grande maestro infatti l’architetto è colui che da vita ad un’opera, che è da sempre vissuta, attraverso il suo spirito, in quel posto. Forse noi architetti oggi abbiamo perso il potere di prevedere. Di sicuro qualche cosa si è spezzato, troppe volte l’interesse singolo ha prevalso su quello della collettività e troppe volte noi architetti, attraverso il nostro fare, ci siamo schierati contro gli interessi della nostra città e del nostro stupendo paesaggio, fatto di piccole,
ricchissime stanze a cielo aperto. La cosa più grave sta nel fatto che è venuto a mancare il giudizio, sui veri valori dell’architettura. E’ arrivata però l’ora di ritrovare la giusta via, forse proprio questa crisi, ne sono convinto, può aiutarci a riprendere la strada smarrita della buona architettura, un filo comunque mai completamente interrotto qui a Macerata, lo dimostrano le otto opere da noi selezionate per la sezione ‘ultimo trentennio’ della mostra”.
Perché una mostra fotografica?
“Perché noi vogliamo e ci auguriamo – conclude Michele Schiavoni – che a visitarla e soprattutto a comprenderla non siano solo gli architetti, ma anzi vogliamo che siano le persone che nella vita di tutti i giorni non hanno niente a che fare con l’arte del costruire, ecco la scelta di mettere solo foto e non piante o sezioni. Le piante, le sezioni, i prospetti sono strumenti fondamentali per un architetto, per la sua ricerca progettuale, ma spesso sono immagini, difficili da comprendere per persone che con l’architettura non hanno nessuna dimestichezza. Il nostro è quindi un tentativo di avvicinare il più possibile i cittadini all’architettura e di avvicinarli a noi professionisti, e viceversa. Crediamo che soprattutto in questo periodo di crisi sia fondamentale lavorare insieme, ragionare insieme e non chiudersi su se stessi convinti di essere depositare di un sapere assoluto. Aprirsi ed ascoltare, soprattutto il territorio, è forse oggi l’unica strada che possiamo percorrere noi architetti per tornare a sentire in noi, un po’ di quel Potere di Prevedere di cui ci parlava Louis Khan”.