Il carro funebre

di Umberto

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Paesino dell’entroterra maceratese. Muore un’anziana signora e il “cassamortaro” dice al figlio della defunta che intende mettere in vendita il carro funebre, non solo perché stanco del mestiere ma anche perché il carro è piuttosto vecchio e sarebbe da rottamare. Il giovanotto non fa a tempo ad asciugarsi le lacrime che manifesta la sua volontà di acquistare il carro. “Contento tu…” dice l’ormai ex “cassamortaro”. Il compratore è un tipo piuttosto originale, stravagante e anticonformista. Ha sempre avuto una passione per le auto, specie quelle d’epoca e questo, che è un veicolo sui generis, tramandato di padre in figlio, lo stuzzica non poco: altro che una Ferrari! Il giorno dopo conclude l’affare per quattro soldi, va per una veloce messa a punto dal meccanico, va a sistemare qualche bottarella dal carrozziere, decide di lasciare sul carro il crocefisso e via! Il suo sogno, quello di familiarizzare con la morte, di giocarci, di sfidarla come in un famoso film di Ingmar Bergman (Il settimo sigillo – partita a scacchi con la morte) si è realizzato. Comincia a correre, anzi a sfrecciare, per le strade del paese con la gente perplessa: “Ma perché ‘ssu sprocedatu corre cuscì tanto?” Gli uomini, per scaramanzia, fanno le corna, le donne si fanno il segno della croce e recitano un requiem aeternam; poi ci si rende conto di chi sia il soggetto ma resta sempre un po’ di apprensione pensando che “straccia” di funerale potrebbe toccare con tale invasato, con parenti e amici che faticano ad andar dietro a un carro guidato così velocemente. Una volta appurato che lui non fa il “cassamortaro” ma che possiede e conduce un ex carro funebre solo per hobby, tutti si tranquillizzano. A lui piace cogliere fiori, specie le ginestre, ne fa dei bei mazzi e li sistema nel carro per familiarizzare ancor più con la morte. Di tanto in tanto partecipa ai raduni delle auto d’epoca, con ben visibile la scritta “carro d’epoca”. Ma nessuno vuol parcheggiare vicino a lui o, comunque, non manca di fare i debiti scongiuri: “Tié’ e tié’!”

 

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