di Claudio Principi
Un conoscente irriconoscibile
Alla fiera, un sabato di molti anni fa, Marinòzzu vede tra quella folla di fattù, sensà, contadì e combratù, che a gruppetti sparsi stanno chiacchierando o contrattando, un tale che gli sembra proprio di conoscere ma non riesce assolutamente a ricordare chi sia. A un certo punto, in un bagliore di memoria, ecco che gli sembra di ravvisarlo: si tratta senz’altro di Speranzì, un contadino che, 20 anni fa, da Montolmo si trasferì a Pollenza. Marinòzzu festosamente gli si fa incontro e lo investe come si usa da queste parti: “Che tte pijèsse un gorbu! E dda do’ scappi fòra, pezzu de manigòrdu..!Lo sai che per poco non te rconoscio? Te vardavo, te vardavo… Ma è passati vend’anni, e vvend’anni è ttandi, e ttu non è che ssi cammiatu per poco…”. (Che ti prendesse un colpo apoplettico! E da dove esci fuori, pezzo di manigoldo..! Lo sai che per poco non ti ri-conosco? Ma sono passati vent’anni e vent’anni sono tanti e tu non è che sei cambiato per poco…) L’altro tenta di interromperlo: “Come cammiatu? Io…”. (Come cambiato? Io…) Ma Marinòzzu riprende subito: “Cammiatu, scì: l’occhji me pare più scuri, lu nasu me pare più grossu, le récchje più cciuche. E llassa che tte lo dica, Speranzì mmia, me pare che ppure la voce l’hi cammiata. Che mme dici, Speranzì, dopo tando che non ce vidìmo: te jira la ròta?” (Cambiato sì: gli occhi mi sembrano più scuri, il naso mi sembra più grosso, lo orecchie più piccole. E lascia che te lo dica, Speranzino mio, mi sembra che pure la voce hai cambiata. Che mi dici, Speranzino, dopo tanto tempo che non ci si vede: ti vanno bene gli affari?) L’altro, da frastornato che era, ora s’è scocciato e gli fa: “Ma guarda che tte sbaji: io non zò Speranzì, io so Tarcì de Tòsunu”. (Ma guarda che stai sbagliando: io non sono Speranzino, io sono Tarcisio di Tòsunu) E Marinòzzu, sbalordito, si fa col busto indietro ed esclama: “E ‘na madòro, toh! Anghi lu nome si cammiato!” (Questa poi! Anche il nome hai cambiato!).
Amore di madre
La madre marchigiana, a chi sventatamente le dovesse chiedere quale tra i suoi figli ami di più o sia il preferito, usa rispondere bonariamente: “Qualu ditu me tàji, quillu me dòle!” (Qualunque dito mi venga tagliato, quello mi dà dolore). Una risposta semplice, cruda e nello stesso tempo efficacissima per dare l’idea, non soltanto dell’imparzialità, ma anche del vivo attaccamento per i propri figli. La risposta più concisa, significativa e bella che una madre possa dare.