Per Licini un luogo situato
tra la materia e lo spirito
Il colle San Liberato, si trova lungo la strada provinciale che collega Montegiorgio a Montevidon Corrado, sulla sommità, da dove si possono osservare tutte le marche a 360°, si trova una antica chiesetta costruita sopra dei ruderi di epoca romana, o pre, e a valle del colle si trova l’anfiteatro romano di Faleria. Tra gli anni ‘40 e ‘50 ho vissuto anche a Montevidon Corrado, a casa di mia madre Romozzi Elvira, mentre mio padre Beniamino è stato insegnante elementare a Montevidon Corrado negli anni ‘40 ed era amico di Osvaldo Licini. Da ragazzo, tra gli anni 1945-55, vedevo Licini passeggiare lungo la strada di contrada San Pietro, adiacente la casa di mia madre: aveva il bastone perché leggermente claudicante, magro, snello, austero e di poche parole, almeno con me e mia madre. Si dirigeva alcune volte verso la zona denominata “i tassi” altre volte verso il colle San Liberato dove, raccontava mio padre, amico del pittore, andava per ispirarsi in quanto, secondo lui, a valle del colle vedeva ai suoi piedi il “mondo materiale”, anfiteatro di Faleria e, sopra il colle, verso il cielo, sopra i ruderi del probabile tempio romano, il mondo soprannaturale o irreale. Da quanto ricordo Licini amava andare anche alle piane di Falerone, lungo il fiume Tenna, da dove vedeva a valle l’anfiteatro con i suoi spettacoli; lì immaginava “il reale” e, subito sopra, il colle San Liberato, dove al posto della chiesetta lui si figurava l’antico tempio, luogo di comunicazione con l’irrealtà. Sul terreno a valle della cima del colle, di proprietà di mia madre, erano visibili ruderi che emergevano su quello che potrebbe essere quanto rimasto dell’antico tempio raccontato da Licini e da me conservati. Sul posto affiorano ancora piccoli elementi costruttivi in cotto, anche se frantumati dalla lavorazione agricola del suolo. Tali ruderi, oltre a essere stati usati come fondamenta della chiesa, sono ancora visibili a circa 50 metri a ovest da questa, sotto un cespuglio di rovi. Il pittore, sempre dai racconti che mi faceva mio padre, aveva idealmente collegato la posizione dell’anfiteatro romano di Faleria, visibile a valle, con la posizione del tempio, in cima al colle sovrastante; “il reale” con i luoghi che ancora ospitano l’anfiteatro, e “l’irreale”, con l’universo che sormontava il tempio ora scomparso. Mio padre raccontava che veniva spesso invitato dal pittore nella sua casa e che quando veniva ospitato nella stanza dove dipingeva, si sentiva oppresso a causa delle pareti totalmente dipinte di nero. Un ricordo affascinante della mia infanzia è quando negli anni dell’immediato dopoguerra fui portato da mio padre a San Liberato a vedere l’ultima grande Fiera dei Cavalli. Tutta la sommità del colle era piena di tende, recinti, cavalli, muli, asini e bancarelle per accessori ippici. I commercianti, per la maggior parte, venivano dalle vicine regioni: Abruzzo, Lazio, ecc. Per questo molti erano accampati sotto le tende e per arrivare lì avevano viaggiato a cavallo. L’antica Fiera dei Cavalli risaliva ai tempi dei romani quando il cavallo era considerato importantissimo, quasi sacro, sia per la sua funzione del trasporto e comunicazione che per la guerra. Forse per questo era stato scelto il sito vicino al tempio. Conservo qualche piccola porzione di manufatto in cotto che ho rinvenuto sul colle e spero che la Soprintendenza, lassù, voglia fare qualche ricerca.
Giancarlo De Mattia