Il duello mortale e la fuga fino a Malta

Dall’inedito “Caravaggio e le ombre

dell’anima” di Matteo Ricucci

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Allora, come motivare il suo disturbo caratteriale? E’ sempre stato arduo esplorare i meandri dell’inconscio, là dove si nasconde il mostro dell’umana follia e, quindi, addentrarsi nell’analisi di una personalità complessa è camminare sulle sabbie mobili.

 

Reso orfano dalla peste

La sua infanzia non fu di certo felice: perdere un padre, un nonno e uno zio, quasi contemporaneamente, a causa d’una peste terribile e distruttrice e anche la madre a soli 40 anni, non dev’essere stato facile da rimuovere e da dimenticare. Le liti poi per la divisione d’un’eredità di poco conto che non lo avrebbe liberato dal suo stato di necessità, lo mise in rotta coi fratelli, gli zii e le sorelle di primo e di secondo letto. Infine l’ansia per la nebulosa aspettativa del suo futuro di artista contestatore dello stato quo, gli rendeva ostica la vita d’ogni giorno.

 

L’assassinio

Un tale pathos lo manteneva in uno stato d’esasperata reattività. Il suo pensiero naturalista, esercitato dalla quotidiana esperienza della sofferenza dei miseri e dei deboli, dall’acquisizione di quella verità che non concede alcuna speranza di riscatto qui sulla terra, ma soltanto nell’al di là, presso il tribunale di Dio, provocava in lui una sorda ribellione che lo portò, alla fine, all’assassinio d’un tal Ranuccio Tomassoni da Terni, per futili motivi, durante una partita di pallacorda, nei pressi di Campo Marzio. Qualcuno, invece, accenna a una probabile e ardente gelosia per una tale Fillide Melandroni, o di una Lena Antognetti, o di una Anna Bianchini che, di tanto in tanto, posavano per il Merisi. Ma egli certamente non premeditò un tale assassinio, caso mai fu, invece, vittima di un proditorio assalto da parte del clan Tomassoni, clan di cinque fratelli, reduci delle numerose guerre europee, facinorosi filo-spagnoli che contendevano a chicchessia il libero movimento nel quartiere dove essi abitavano. Il Merisi fu ferito gravemente dal suo aggressore e scaraventato a terra con violenza per cui sarebbe stato mortalmente infilzato se non avesse per tempo parato e risposto alla stoccata, troncandogli l’arteria femorale.

 

La condanna a morte

Dalla dinamica dei fatti si evince che la ragione fosse tutta dalla parte del pittore e che, pertanto, si poteva invocare a sua discolpa la legittima difesa. Ma il Ranuccio Tomassoni era un potente, parente di potenti e militante tra le fila dell’illustre casata Farnese, perciò il sangue versato invocava vendetta! Il Papa, Clemente VIII Aldobrandini, condannò a morte il Merisi e sguinzagliò sulle sue piste sgherri con licenza di ucciderlo, dovunque e comunque. Da quel momento egli, oltre a fuggire, dovette difendersi dagli sconosciuti, eventuali sicari.

 

La fuga

I suoi potenti protettori, a loro volta, ne facilitarono la fuga, prima nei dintorni di Roma, a Paliano, a Palestrina, a Zagarolo e in altri siti del loro feudo. Poi a Napoli, dove ebbe il tempo di comporre opere sublimi, pervase da un intenso pathos: “Le Sette opere di Misericordia”,“La Madonna del Rosario”,“Il Cristo alla Colonna” (foto),“Il San Giovannino” e altre ormai scomparse. Infine, consigliato dalla famiglia di Costanza Colonna, riparò a Malta con lo scopo di arruolarsi nelle fila del potente Ordine dei Cavalieri di Gerusalemme, importante credenziale per ottenere un probabile perdono del Papa.

continua

 

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