Nei secoli numerosi sono state le idee e i tentativi di materializzare la bicicletta come la conosciamo oggi. Un prototipo dal nome romantico, con lo sterzo, ma ancora senza pedali, fu la draisina, messo a punto nel 1816 dall’inventore tedesco Carl Friedrich Drais von Sauerbronn. Nel 1838 comparve il velocipede azionato da un sistema di leve e costruito da un fabbro scozzese, poi nel 1874 il biciclo dell’inglese James Starley: aveva una ruota anteriore grande con i pedali e dietro una piccola, i raggi erano metallici.
Quando le donne vollero cimentarsi a pedalare, gli uomini ebbero timore che la sella potesse arrecare pregiudizio alle loro parti intime e al pavimento pelvico (se all’epoca conosciuto). Ma “l’altra metà del cielo” continuò a pedalare per desiderio o necessità, convinta dell’utilità delle due ruote. Nell’ultimo dopoguerra, si vedevano, anche nei film, ragazze sedute di traverso, come passeggere sulla canna della bici da uomo: certo la posizione non era comoda, ma era meglio che andare a piedi.
Successivamente nelle biciclette da passeggio femminili furono inventate due “griglie” a spicchio d’arancio che impedivano alle gonne di impigliarsi tra i raggi della ruota posteriore. Oggi le gonne sono corte, ci sono gli short e non ho mai saputo o visto una caduta o una difficoltà per questa eventualità. Invece, di recente, ho visto una signora ingrassarsi le mani nel rimettere in sede la catena uscita dalla ruota dentata della sua bici con il cambio. Al Cairo di venerdì (giorno festivo) ho osservato su un ponte sul Nilo pedalare, un po’ incerte, ragazze con abiti un tantino ingombranti; gli altri giorni il traffico è fuori controllo e non c’è spazio per le bici.
Oggi ragazze e signore pedalano, corrono e gareggiano con le biciclette da strada e le Mountain Bike, normali o a pedalata assistita. I benefici sono ormai sotto gli occhi di tutti: fisico in forma, peso sotto controllo, gambe toniche e scacco matto alla cellulite. L’ironia dov’è? Recentemente ho letto che andare in bici (e altre attività simili) esercita una certa pressione sulla prostata. Per ovviare sono disponibili selle ergonomiche per uomini. Sembra che stavolta la presunzione maschile, con intenzioni protettive, abbia subito un piccolo insuccesso: la bicicletta doveva far male alle donne invece, a volte, può non fare troppo bene agli uomini!
Lasciamo le questioni di genere per rendere altro giusto merito al velocipede. In centro-nord Europa, ma anche altrove, sono state “riprese” dai musei e costruite, nuove bici da lavoro usate nel Novecento da gelatai, arrotini, ecc. A tal proposito si invita a visitare il museo degli “Antichi mestieri ambulanti” di Montelparo (FM), una raccolta unica in Italia con circa 40 biciclette da lavoro, tutte funzionanti, usate nella prima metà del Novecento. Quella collezione fu messa insieme dal compianto Lauro Lupi. Le due ruote salveranno la vivibilità e la sostenibilità delle città?
di Eno Santecchia
1 dicembre 2024