Ottanta anni or sono, il 30 giugno 1944, l’azione congiunta del 2° Corpo Polacco, comandato dal Ten. Gen. Wladyslaw Albert Anders (Blobie, 11 agosto 1892 – Londra, 12 maggio 1970), generale e politico polacco, e dei paracadutisti della Divisione Nembo, con il supporto di artiglieria del CIL (Corpo Italiano di Liberazione), comandato dal Generale Umberto Utili (Roma, 18 luglio 1895 – Milano, 27 ottobre 1952), esercitata lungo la riva destra del fiume Chienti, dopo aspri e sanguinosi combattimenti, protrattisi dal 20 giugno per molti giorni, con numerosi morti e feriti, permise l’attraversamento del fiume ai polacchi a sud-est di Macerata e in più punti, fino al mare, e a sud-ovest della città, sino a Tolentino e Cingoli, ai soldati italiani dell’Esercito cobelligerante, provocando il ripiegamento del poderoso e agguerrito dispositivo di difesa tedesco, soprattutto per il concreto timore di accerchiamento da parte delle forse alleate e del CIL.
Infatti, le autorità fasciste della RSI presenti a Macerata e il comando militare tedesco, già dalla metà di giugno, avevano iniziato a preparare la fuga delle personalità più importanti e il ripiegamento dei reparti militari a nord del vicino fiume Potenza, per poi raggiungere e attestarsi a difesa nell’area della città di Ancona – con il suo importante porto – tremendamente devastata dai bombardamenti alleati, che avevano distrutto e reso inagibili oltre il 95% delle infrastrutture, costringendo la popolazione ad abbandonare le proprie case e a rifugiarsi nelle campagne e nei paesi vicini. E che l’avanzata degli alleati sul “fronte Adriatico” fosse incombente e non fronteggiabile lo dimostra il fatto che il Capo della Provincia, Avv. Ubaldo Rottoli – alto funzionario del PNF, arrivato a Macerata proveniente da Viterbo solo il 12 maggio del 1944 – si fosse dato alla fuga verso il nord Italia già il 13 giugno successivo. Ma costui, prima di partire, aveva ordinato alla Questura di “liquidare” il Maggiore dei RR Carabinieri Pasquale Infèlisi – già comandante del Gruppo RR Carabinieri della provincia, collocato in congedo a marzo del ‘44 con tutti i suoi ufficiali per aver rifiutato di aderire alla RSI – che con la sua famiglia era custodito con altri prigionieri politici nel Manicomio di Macerata dall’8 giugno.
Il compito venne affidato dalla Questura al distaccamento di Macerata della Polizia di Sicurezza e Servizio di Sicurezza (SS) affidato al tenente Herbert Andorfer. Così il giorno 14, all’imbrunire, le SS prelevarono l’ufficiale dal Manicomio, separandolo dalla famiglia, asseritamente perché dovevano trasferirlo in Germania. Ma dopo averlo condotto in aperta campagna nella località allora nota come Montirozzo (oggi Via Achille Campanile, al limite dei Quartieri San Francesco e Collevario), il Maggiore Infélisi fu proditoriamente trucidato con alcune raffiche di mitra e sommariamente seppellito sotto un po’ di terriccio.
Prima di tornare nel dettaglio a esporre le fasi del superamento del Fronte del Chienti e della liberazione di Macerata e di Tolentino, giova sintetizzare l’avvio della cobelligeranza del ricostituito Esercito italiano nel cd Regno del Sud. Così descrive la rinascita dell’Esercito Italiano il Calendario 2024 dell’“Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione inquadrati nei Reparti regolari delle Forze Armate” (ANCFARGL) intitolato “1944 – l’anno del riscatto”: Dopo la proclamazione dell’armistizio l’8 settembre ‘43, il 27 novembre successivo venne creato il 1° Raggruppamento Motorizzato, prima grande unità militare dell’Esercito italiano accettato dagli Alleati come cobelligerante. Il primo combattimento ebbe come teatro Montelungo, in provincia di Caserta, dal 7 al 16 dicembre 1943”. Il Raggruppamento Motorizzato, primo nucleo del nuovo esercito postarmistiziale, il 21 dicembre 1943 viene ritirato dalla linea per riordinarsi dopo la sanguinosa battaglia di Montelungo. Si trasferisce, perciò, nella zona di Sant’Agata dei Goti dove ai primi di gennaio passa sotto il controllo diretto della 5^ Armata americana, rimanendo a riposo, tranne l’artiglieria data in appoggio alle unità marocchine nella zona di Acquafondata (FR).
Agli inizi del 1944 la crisi morale, materiale e psicologica vissuta dagli italiani dopo l’armistizio non dà segni di remissione. Dispute politiche e discredito lanciato contro i vertici istituzionali, arrivano a mettere in discussione anche i valori civici e militari della nazione. A questo si aggiunge un atteggiamento alleato, soprattutto inglese, sospettoso e guardingo, oltre che dettato da profondo spirito punitivo; l’Italia, nonostante il riconoscimento della cobelligeranza, rimane un paese vinto e come tale deve essere trattato, anche se dietro una parvenza di collaborazione. In gennaio viene nominato nuovo Capo di Stato Maggiore Generale il Maresciallo Giovanni Messe, che mette al comando del Raggruppamento il generale Umberto Utili il quale, col suo ascendente e la sua determinazione, riesce a superare la crisi più dura, quella morale dei soldati che si sono dimostrati valorosi alla prova del fuoco, ma che sono ancora fragili nelle motivazioni.
In febbraio il Raggruppamento, con una forza di 10.000 uomini e completamente rinnovato, torna in linea sulle Mainarde, alle dipendenze del Corpo di Spedizione francese, ed è ora formato da tutte truppe scelte e specializzate e il 22 marzo 1944 viene sancito che questo primo embrione dell’Esercito italiano si chiami Corpo italiano di Liberazione. Per dargli vita, motivazioni e credibilità occorre una prova di fuoco, e l’occasione si presenta presto. Nel settore assegnato al reparto, le Mainarde – fianco orientale della 5^ Armata USA – le posizioni alleate sono dominate, con l’osservazione e con il tiro, dal Monte Marrone, un massiccio alto 1.800 metri, la cui vetta è presidiata saltuariamente dai tedeschi. Nella notte del 30 marzo gli alpini del Corpo raggiungono la cima venendo subito dopo fatti oggetto di reiterate e violente controffensive tedesche che nella notte del 10 aprile lanciano un attacco in forze in cui gli alpini, coadiuvati dall’artiglieria italiana e polacca, all’alba respingono l’attacco combattendo anche all’arma bianca. La conquista e la difesa di Monte Marrone rinsaldano il morale delle truppe italiane, che guadagnano la stima e la fiducia degli alleati, i quali continuano ad affidare agli italiani quel settore, per concorrere allo sforzo contro la “linea Gustav”.
Il Raggruppamento assume ufficialmente la nuova denominazione di Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) il 17 aprile 1944, senza spostare il suo raggio di azione, passa alle dipendenze dell’8^ Armata britannica, rinforzato nel mese di maggio dal 184° Reggimento paracadutisti “Nembo”, recuperato dalla Sardegna. In questo primo ciclo operativo, combattuto dal 18 al 31 maggio nella zona delle Mainarde, il CIL costringe il nemico a subire una costante pressione combattiva e assolve tutti i compiti tattici assegnati; la caduta delle Mainarde, con l’attacco portato dall’alto dal CIL, concorre alla caduta di Monte Cassino, la cui conquista il 18 maggio apre agli Alleati la strada verso Roma, dove il generale Clark entra da vincitore il 4 giugno, senza però dare la possibilità ai combattenti italiani di seguirlo nella loro capitale. Infatti nei giorni 1, 2 e 3 giugno le truppe del CIL vengono trasferite nel settore Adriatico alle dipendenze del V Corpo d’Armata britannico, e dislocate nella zona intorno a Lanciano, da dove ha inizio una seconda fase caratterizzata dall’inseguimento delle truppe tedesche che risalgono la penisola per attestarsi sulla “Linea Gotica”.
Su proposta del generale Utili gli Alleati autorizzano il potenziamento delle forze italiane a circa 25mila uomini, per cui è urgente una riorganizzazione del CIL, che dal 1° giugno si riordina su due Brigate, una Divisione e un Comando di Artiglieria: Divisione “Nembo” sbarcata dalla Sardegna; 183° e 184° Reggimento paracadutisti, un Battaglione guastatori e il 184° Reggimento di artiglieria. Dopo aver raggiunto il suo assetto organico, il CIL inizia una travolgente offensiva che lo porta da Guardiagrele al Metauro. L’avanzata ha soste obbligate, in quanto il 76° Corpo d’Armata germanico conduce una manovra in ritirata da manuale, facilitata da una morfologia del terreno che si frappone alla progressione italiana con numerosi corsi d’acqua e ‘quinte’ collinose ortogonali alla costa, che costituiscono un ostacolo al movimento. L’8 giugno inizia l’azione del CIL con la conquista di Canosa Sannita, Guardiagrele, Orsogna e Filetto. I paracadutisti, uscendo dal settore del CIL, raggiungono Chieti e alcune località sul mare. Il 17 giugno il CIL passa alle dipendenze operative del II Corpo polacco e, superato il fiume Pescara, nei giorni 11, 13 e 15, elementi della “Nembo” e della I Brigata raggiungono Sulmona, L’Aquila e Teramo, sono sgomberate dai tedeschi poco prima del loro arrivo.
La resistenza tedesca è invece tenace sul Chienti, ma i reparti italiani a fine giugno occupano Tolentino e Macerata e superano il Chienti in direzione di Cingoli. Nei giorni 14 e 15 giugno la 3^ Divisione “Karpatica” polacca aveva sostituito la 4^ Divisione indiana e il 17 giugno il Corpo polacco subentrava al V Corpo britannico nella responsabilità dell’intero settore. Il Corpo polacco aveva il compito di inseguire urgentemente il nemico senza lasciargli tregua per occupare al più presto Ancona. Le grandi direttrici dell’avanzata erano la rotabile n. 16 costiera (l’odierna strada statale 16 Adriatica) e le rotabili n. 81 e 87 per Chieti-Teramo- Ascoli Piceno-Amandola e Macerata. I Polacchi con la Divisione “Karpatica” avrebbero gravitato lungo la direttrice costiera mentre gli italiani si sarebbero serviti delle rotabili 81 e 87. Riservato alla “Nembo” il compito di puntare verso nord, la I Brigata restava invece riserva del CIL. La Divisione “Nembo” si istradava immediatamente lungo la rotabile Chieti-Penne-Teramo-Ascoli ed elementi celeri avrebbero ricercato il nemico, mantenendo comunque sulla destra il collegamento con la 3^ Divisione “Karpatica”.
Il movimento della “Nembo” si svolse in gran parte a piedi, faticosamente. Alle 12.30 del giorno 18 una pattuglia di motociclisti della 184^ Compagnia entrava in Ascoli da dove le retroguardie tedesche si erano allontanate all’alba. Mentre i reparti della “Nembo” serravano verso nord, la 184^ Compagnia motociclisti raggiungeva il giorno 21 elementi nemici, venendo impegnata lungo la rotabile 78 nella zona di Sarnano. Mantenuto il contatto sino oltre l’Abbazia di Fiastra, nella giornata del 22 aveva luogo un primo scontro in località Colbuccaro, a sud del fiume Chienti. Si era così raggiunto lo schieramento avversario. I tedeschi occupavano le alture tra Chienti e Macerata e avevano presidi a Tolentino e Caldarola. La riva sinistra del Chienti era difesa dai tedeschi con armi automatiche, mortai, artiglieria leggera, autoblindo. Pattuglie erano state notate pure sulla riva destra del fiume. Per proseguire oltre era necessario pertanto attendere altri reparti della “Nembo”.
Intanto il CIL aveva dovuto rinunciare al 185° Reparto paracadutisti che le autorità italiane e anglo-americane avevano deciso dovesse essere impiegato oltre le linee delle regioni ancora occupate dai nazisti. Scontratosi con la forte resistenza tedesca, il II Corpo Polacco chiamava in linea anche la 5^ Divisione “Kresova” fino ad allora restata di riserva. Inserendosi sulla sinistra della 3^ Divisione “Karpatica”, tra questa e il CIL, la 5^ avrebbe dovuto puntare su Jesi per aggirare da nord-ovest le difese di Ancona. In conseguenza il settore di azione del CIL si sarebbe spostato leggermente verso ovest con obiettivi immediati Caldarola-Belforte del Chienti-Tolentino. Prima di assumere questo nuovo orientamento operativo, reparti della “Nembo”, che si trovavano schierati a sud di Macerata, avevano effettuato puntate esplorative sulla città mentre a est proteggevano il fianco sinistro delle truppe polacche, impegnate in reiterati e sanguinosi tentativi di guadare il fiume all’altezza di Trodica di Morrovalle e insieme avevano potuto saggiare la consistenza dello schieramento avversario. Si verificarono violente reazioni di armi automatiche, mortai e artiglierie provenienti dalla riva sinistra del fiume Chienti. La “Nembo” ebbe quel giorno numerosi caduti tra cui due ufficiali.
Nei giorni successivi il comando tedesco di Macerata fece affluire nell’area nuovi contingenti della fanteria germanica. Fu in questo momento che si rese preziosa l’opera di alcune bande partigiane che agivano in zona data la grande distanza dei reparti inglesi che avanzavano sulla sinistra; queste formazioni svolgevano particolarmente la loro attività nei settori incontrollati dalle truppe regolari, secondo le indicazioni dei comandanti di queste ultime. Fornirono utili indicazioni di carattere informativo e catturarono vari prigionieri. Nonostante gli uomini venissero sottoposti a uno sforzo fisico straordinario, i reparti non riuscivano a serrare verso Macerata con sufficiente rapidità. Finalmente venne accolta la richiesta del CIL di assegnazioni di autocarri da 3 tonnellate, ma tardarono ad arrivare alcuni giorni, con gravi conseguenze. All’alba del 30 giugno esplosioni avvenute nella zona di Macerata diedero la sensazione, confermata da notizie di civili, che il nemico stesse nuovamente per ripiegare.
Alle ore 10:00 pattuglie di paracadutisti, seguiti da elementi del XV e XVI Battaglione, passavano il fiume Chienti in due punti: sotto la stazione di Pollenza e in direzione di Sforzacosta. Alle ore 15:00 veniva raggiunto il margine della città e alle 16:30 il plotone esploratori del XV Battaglione entrava in città. Dopo breve scontro poneva in fuga gli ultimi elementi tedeschi. Macerata accoglieva entusiasticamente le truppe del CIL che si incontrarono con i soldati del II Corpo Polacco pure sopraggiunti, anch’essi, entrati in città da est. Mentre elementi della 184^ Compagnia motociclisti occupavano Tolentino, venivano impartiti ordini alla Divisione “Nembo” per l’immediata costituzione di un gruppo tattico su due colonne che avrebbero dovuto porsi all’inseguimento del nemico lungo la direttrice Sforzacosta-Villa Potenza e lungo la direttrice stazione di Pollenza-Pollenza. A sera entrambe le colonne avevano passato il Chienti.
Alle prime luci del 1° luglio veniva ripreso il movimento in direzione Cingoli. Varcato il fiume Potenza, la colonna giungeva prima di notte al bivio per Appignano sulla rotabile Macerata-Jesi. Nello stesso pomeriggio giungeva l’ordine del II Corpo Polacco che disponeva la collocazione in seconda schiera del CIL per attendere nella zona di Macerata tutti i propri reparti. Riorganizzatosi il CIL finalmente con 62 nuovi autocarri pesanti, i reparti si lanciano avanti e il 183° paracadutisti impegna il nemico sulla sinistra del torrente Fiumicello, dando avvio alle operazioni che porteranno alla epica battaglia di Filottrano, la cui conquista era indispensabile per la presa di Ancona e del suo importante porto! Il gruppo tattico “Nembo” muove su due colonne verso Filottrano fortemente presidiata dai tedeschi. La reazione tedesca è molto violenta e la progressione è difficoltosa. Alle 06:00 del 7 luglio riprende l’attacco dei paracadutisti con appoggio di artiglieria. Alle ore 15 ha luogo un violento contrattacco tedesco e i combattimenti durano fino a notte. Nel corso della notte però i tedeschi sgombrano Filottrano e alle 6 del 9 luglio i paracadutisti neutralizzano gli elementi nemici ritardatori che vengono sopraffatti, il tricolore viene issato sulla torre dell’acquedotto e la città è libera!
Le perdite sono sensibili per entrambe le parti: 56 morti, 231 feriti e 59 dispersi tra gli italiani; 90 caduti accertati, 43 prigionieri, oltre a un numero non accertato tra caduti e feriti da parte tedesca. La entità delle perdite è una chiara testimonianza dell’accanimento e dell’asprezza con cui sui sono svolti i combattimenti, ma il sacrificio dei nostri paracadutisti concorre alla successiva conquista di Ancona e del suo porto, un obiettivo strategico di primissimo piano, indispensabile per il prosieguo delle operazioni alleate. Ma va evidenziato il fatto che su insistenza del Comandante della Divisione “Nembo”, Generale Giorgio Morigi, il Generale Utili chiese e ottenne che gli alleati non bombardassero l’abitato di Filottrano per preservare la vita dei cittadini e le loro case, con cosciente e conseguente grande tributo di sangue dei nostri paracadutisti!
Dopo Filottrano, il CIL continua a operare a fianco degli alleati fino alla completa liberazione delle Marche; giunge al fiume Metauro, a ridosso della “Linea Gotica” completamente stremato, al termine di una logorante guerra di movimento, e la sua operatività cessa il giorno 24 settembre 1944, quando dall’Abruzzo, attraverso le Marche e fino al Metauro, ha avuto, nei suoi cicli operativi, dal 18 aprile al 31 agosto, 377 morti e 880 feriti. Scrive il generale Utili nel suo ordine del giorno alle truppe: “Sotto la data di oggi 24 settembre, il CIL si scioglie per necessità superiori. Non si scioglie, né credo, si scioglierà mai nei nostri cuori il patrimonio comune delle vicende nobili e dure che abbiamo vissuto insieme e della giustificata fierezza per queste vicende che hanno un valore storico per il nostro paese”. Merita di essere ricordato che ultimato l’impiego del CIL, nell’agosto del 1944, i reparti vennero inviati a riposo nella zona a sud di Macerata, tra l’Abbazia di Fiastra e Urbisaglia e qui ebbe luogo un incontro – tra il Luogotenente del Regno Principe Umberto, il suo Capo di Stato Maggiore Generale e gli Alleati – nel corso del quale venne deciso lo scioglimento del CIL e la costituzione dei Gruppi di Combattimento Legnano, Folgore, Cremona, Friuli, Mantova e Piceno, ovvero sei Divisioni dell’Esercito cobelligerante italiano. I Gruppi di combattimento avrebbero dovuto avere equipaggiamento britannico, dato che gran parte dell’equipaggiamento del Regio Esercito che era stato salvato al sud era stato trasferito ai partigiani jugoslavi, mentre le divisioni che avevano respinto i tedeschi dalla Corsica erano state costrette a lasciare il loro equipaggiamento alle forze francesi. L’entrata in linea dei Gruppi era prevista appena superata la fase di addestramento, quindi entro la fine ottobre 1944 (“Friuli”), entro la prima metà di novembre (“Cremona”), entro la prima metà di dicembre (“Legnano” e “Folgore”) ed entro la prima metà di gennaio (“Mantova” e “Piceno”); in realtà i tempi furono sensibilmente più lunghi, tanto che i primi gruppi entrarono in linea solo nel gennaio 1945, il “Mantova” rimase in riserva dell’VIII Armata britannica e il “Piceno” fu trasformato in unità di addestramento.
Si ritiene di aver spiegato in modo sufficientemente chiaro che la cacciata degli occupanti tedeschi dalla città di Macerata e la conseguente liberazione siano esclusivamente frutto dei combattimenti che si sono susseguiti dopo il 21 giugno sino alla mattina del 30 sulla riva destra del fiume Chienti, a sud e sud-ovest con i paracadutisti della “Nembo”, a sud-est con i soldati del II Corpo polacco, appoggiati dalle rispettive artiglierie. Certamente le bande partigiane dal settembre del 1943 hanno svolto azioni di disturbo, attentati e colpi di mano, provocando talora pure tragiche rappresaglie dei tedeschi contro la popolazione civile, ma i combattimenti per costringere il poderoso dispositivo militare tedesco, attestato sulla riva sinistra del fiume e sulle retrostanti colline, a ritirarsi, prima a nord del Potenza quindi progressivamente su Filottrano e Ancona, sono stati condotti da forze regolari italiane e alleate che hanno lasciato sul campo molti caduti e feriti!
Tuttavia non si comprende come da tantissimi anni, ogni 30 giugno, il Comune di Macerata indìca la celebrazione della ricorrenza pubblicando con insopportabile monotonia il seguente avviso: “Il 30 giugno, Macerata celebra l’anniversario della Liberazione della città dal nazifascismo. Era infatti il 30 giugno 1944 quando i partigiani del Gruppo Bande Nicolò entrarono per primi nel territorio maceratese e issarono la loro bandiera sul Monumento ai Caduti…”. Nessuna menzione del contributo imprescindibile di sangue e di eroismo dei soldati del CIL e dei soldati polacchi, quantunque nel tempo siano state rese note pubblicamente e incontrovertibili prove su chi abbia cacciato da Macerata e dal maceratese gli occupanti nazifascisti. Assolutamente sconosciuto alla generalità dei cittadini maceratesi, inoltre, il sacrificio del Maggiore dei Reali Carabinieri, Pasquale Infèlisi, trucidato dalle SS nelle campagne della città, su richiesta delle autorità fasciste della RSI di Macerata. Solo nel 1975 il Comune di Macerata si ricordò di questo eroico Soldato erigendo un cippo commemorativo nel luogo dell’uccisione. L’Ufficiale è stato ricordato lo scorso 14 giugno, in occasione dell’80° anniversario della morte, con una commemorazione nella Biblioteca Mozzi Borgetti e con la deposizione di una corona sul cippo commemorativo dove è stato collocato un busto in bronzo del Martire, fatto realizzare e offerto dalla Fondazione Carima.
di Alessandro Gentili – Generale di Brigata dei Carabinieri nella riserva e Generale di Gendarmeria Sammarinese in congedo, Vice Presidente Nazionale per l’Arma dei Carabinieri dell’Ass. Naz. Combattenti della Guerra di Liberazione inquadrati nelle Forze Armate Regolari (ANCFARGL)
Articolo tratto dalla rivista “Report Difesa” – Geopolitica & Sicurezza
25 novembre 2024