L’energia elettrica in casa è arrivata dopo che avevo compiuto i 10 anni. Arrivarono le lampadine da 25 w al massimo, che, facevano esclamare: “Ma si mattu quanda luce?! Pare jornu!”, abituati come si era con la luce di un lume alimentato a petrolio, oppure con olio di oliva o, ancora, qualcosa più di lusso: quello alimentato ad acetilene. Le candele erano meno pratiche e costavano troppo.
Con quelle sorgenti luminose si facevano i compiti che i maestri ci assegnavano, le donne eseguivano i lavori di rammendo e cucito; ognuno faceva ciò che doveva, secondo le proprie possibilità. Questo sistema d’illuminazione, allora comunissimo ma ormai archiviato, credo sia stato all’origine delle “paure”, tanto presenti in quel tempo, come l’andar di notte, le streghe, il lupo mannaro, il diavolo… anche se pronunciare questo nome era considerato tabù. Il diavolo poteva apparire o manifestarsi mediante enormi bagliori di fuoco, quindi si ovviava nominandolo “paura”, estendendo questo concetto a spiriti o ad anime inquiete.
Ricordo, infreddolito come gli altri vicini al camino nelle lunghe sere invernali, i racconti riguardanti un tipo di “anima inquieta”, a volte, per risparmiare, illuminati solo dalla tremolante fiamma del misero fuoco. Si raccontava come un brigante o, comunque, un malfattore che si era appropriato d’ingenti valori, nascondesse il forziere, poi prendesse un uomo, lo uccidesse sul posto imponendo a quell’anima di restare a proteggere il malloppo fino a quando qualcuno non fosse andato con le parole o il rito prestabilito, a prelevare il “conservato”, liberando quell’anima e concedendole di andare per il suo eterno destino. Queste anime “asservite” a volte scaricavano la loro rabbia anche contro chi non aveva alcuna relazione con il fatto. Altre fonti di suggestione, annebbianti il lucido ragionare, erano quelle di tipo mistico: santi, miracoli, prodigi, misteri. Questi ragionamenti, in quel contesto sempre più influenzato dall’aumento del sonno, facilmente potevano innescare meccanismi ipnotici, essere considerati veri in barba a ogni razionalità.
Cosa importantissima arrivata con la energia elettrica fu la radio: la mia prima finestra aperta sul mondo. Si potevano ascoltare canzoni dalla voce dei cantanti professionisti; si potevano ascoltare notizie “di prima mano”. Io bambino, che avevo assistito ai racconti riportati a mio padre da persone che avevano sentito dire da altri che avevano ascoltato la radio, rimanevo suggestionato: ero attirato e coinvolto dalle cronache dei bambini ungheresi che con le bombe molotov cercavano di distruggere i carri armati russi durante la rivolta del 1956. Poi arrivò la televisione. Il ricordo più antico a essa legato risale al Sanremo del 1961, quando Celentano presentò la canzone “24mila baci”.
Grazie a un anno particolarmente favorevole, con tre scrofe vendemmo oltre 60 maialini, fatto che ci consentì di comprare un televisore, primi della contrada, nel gennaio o febbraio del 1964. Forse fu l’anno successivo. Rita, mia sorella più piccola, che era raggiante perché aveva il televisore nella sua camera (non c’erano certo salotti nelle case di campagna e in cucina avrebbe creato vari problemi) si ritrovò la sua cameretta strapiena di vicini che erano venuti per la serata finale di Sanremo. Fuori c’era parecchia neve e freddo. Lei dovette assistere alla trasmissione in punta di piedi sul suo letto e appoggiata a quelli davanti. La mattina successiva il letto nella cameretta aveva i ferri piegati fino al pavimento per il troppo peso che aveva dovuto sostenere, terra lasciata dalle scarpe che mia madre portò via con la pala e la finestra completamente occlusa dalle colate di ghiaccio che si erano formate a causa della temperatura interna che aveva sciolto la neve sul tetto.
Giocattoli non ne comperavamo, si passava il tempo con ciò che era disponibile e questo, con la fantasia mescolata con l’ingegno “indotto”, si trasformava in cose e azioni mirabolanti. La mia prima colla era fatta di farina di grano mista ad acqua, oppure quella più simile ai tipi di colla fluida oggi in uso la feci bollendo l’acqua con quel cerume prodotto da piante affette da gommosi. Il mio primo pennello era costituito da peli della coda di vacca, tenuti insieme da uno spago legato sulla metà della loro lunghezza e, con questo, inseriti in un adeguato pezzo di canna.
Ho quasi nostalgia della spensieratezza di quando, scorrazzando con mio fratello e altri della mia età andammo in un fosso poco lontano da casa, dove l’acqua aveva sgretolato l’argilla. Prendemmo i pezzi che assomigliavano alle saponette che si compravano per consentire al medico, al veterinario o alla levatrice di lavarsi le mani, quando si aveva bisogno dei loro servigi (farli lavare con il sapone fatto in casa sembrava irriguardoso). Bene! Aver trovato “sapone di prestigio” e gratis, ci inorgoglì. Questo “sapone” strusciato sulla pelle lasciava uno spesso velo che noi stendemmo con cura, ovunque. Arrivato il momento di tirar via quel velo ci accorgemmo che il fosso era asciutto e dovemmo tornare a casa così impiastricciati con il fastidio dell’argilla e le… strillate.
continua
La prima puntata: https://www.larucola.org/2024/08/27/noi-siamo-vissuti-cosi-una-vita-daltri-tempi-nei-ricordi-di-un-bambino-1a-puntata/
Mario Graziosi
20 settembre 2024