Come noto, l’abazia di San Claudio al Chienti, in territorio di Corridonia, uno dei monumenti romanici più famosi della regione, venne fatto restaurare da mons. Carlo Castelli, lombardo, arcivescovo di Fermo dal 1906 al 1933, dopo l’abbattimento delle strutture anteriori che ne avevano nascosto la bellezza e guastato la destinazione. Quando nel 1926 i lavori furono completati, il prelato, pieno di soddisfazione per il risultato conseguito, volle riunire li vergà, i capi delle 18 famiglie contadine insediate nei terreni costituenti la cosiddetta “mensa”, che sono di pertinenza e di proprietà esclusiva del vescovo fermano. Una volta davanti al nuovo ingresso del tempio, liberato dalle successive e sconcianti costruzioni, e al ripristino delle pareti in muratura, con i vecchi mattoni ben delineati, l’arcivescovo chiese: “Beh, che ve ne pare? Come sono venuti i lavori?” Nessuno si azzardava a esprimere un giudizio, positivo o negativo che fosse, perché la soggezione verso il prelato era tanta.
Ma finalmente un vergaro ebbe l’ardire di far osservare: “Sta tutto vène, però che tte costava a ffàje dà’ ‘na vèlla sbiangata? La carge sta a bbòmmercatu…” (Sta tutto bene, però che ti costava a fargli dare una bella imbiancata? La calce sta a buon prezzo…). Insomma, il senso di ordine e di pulizia, la rimessa a nuovo secondo il concetto di questi contadini poteva essere conseguito attraverso una bella sbiangata di tutto il monumento. Il vescovo, si dice, dopo essere rimasto un po’ sorpreso per quella scappata, scoppiò in una bella risata. E qui va ricordato che egli era di estrazione contadina.
Claudio Principi
3 settembre 2024