Nino Ricci, ripensando a un artista e alla sua pittura, passati due anni dalla scomparsa

Le astrazioni di Nino Ricci passavano sempre e comunque per la pittura propriamente detta. Nino non amava i pastrocchi, le mescolanze occasionali, le scoperte fortuite; quel che realizzava era sempre un derivato di una tecnica scrupolosa, quella che aveva appreso e insegnato a scuola per anni: la pittura. Da quella era affascinato, e continuava a studiarla, centellinandola, sminuzzandola, sperimentandola, senza mai uscire dai cosiddetti “canoni”, cioè da quelle regole che si chiamavano e la facevano essere, appunto, “pittura”.

Si compiaceva di fare sempre nuove scoperte entro quell’alveo. Ne era affascinato, da quella non lo distraeva neanche la fantasia d’artista, l’estro creativo, i voli pindarici, le forti o tenui intemperanze dell’animo. Così le sue immagini germogliavano, crescevano, attecchivano sulla tela o sulla carta come fossero state parti di natura, seguendo un iter che potremmo definire “germinale”. La sua azione in realtà era una coltura che ne agevolava accrescimento e maturazione; lo sviluppo, quel fatale processo che man mano la portava a raggiungere risultati che si elevavano anche dal naturale per andare a coincidere con qualcos’altro che introduceva nell’ambito dello spirituale, del poetico, di quella cosa misteriosa e prodigiosa che non consentiva più classificazioni e distinzioni, bensì un accesso al mistero dell’arte: la poesia.

Di ciò Nino era ben consapevole sino al punto di intuire che di lì si entrava nell’indefinibile: ed era la sua astrazione. Sul suo tavolo da lavoro c’erano i pennelli, c’erano i tubetti di colore, c’era una tavolozza ben apparecchiata come fosse tavola atta al desinare. Ricordo che raccontava spesso della sua ammirazione per il pittore Cesare Peruzzi di Recanati, che quanto a tecnica e grazia visiva considerava suo maestro; una stima che aveva preso avvio proprio dall’osservazione della tavolozza dell’artista recanatese, con la gamma dei colori studiata e disposta a stimolare, già essa, gli appetiti dell’artista: la sua stima era partita già da lì. Quella lezione aveva continuato a disporlo e convincerlo nel profondo a tale suo scrupolo creativo. Un metodo ideale che Nino Ricci usava trasferire anche alle altre tecniche da lui praticate: l’incisione in particolare.

Lucio Del Gobbo

29 agosto 2024

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