L’artista Sirio Reali se n’è andato, aveva ottanta anni, lascia la moglie Tina e la figlia Margherita; è stato attivo per un ventennio come insegnante all’Istituto d’arte e ha svolto attività artistica in modo appartato ma continuo e appassionato, esprimendosi sempre con straordinaria originalità, e qualificandosi come “uno degli artisti più rappresentativi della sua generazione”. Gli appassionati d’arte non possono non avvertire l’irrecuperabile vuoto da lui lasciato. Ci piace ricordarlo attraverso le sue opere, attraverso la sua creatività artistica, e abbiamo anche in ricordo una testimonianza data da Umberto Peschi, che di lui fu grande estimatore e amico, oltre che maestro; un giorno di sua spontanea volontà tenne a indicarcelo come uno dei suoi allievi migliori: “Artista di sicuro avvenire”, lo definì. La sua arte ne è stata poi conferma.
Non è così semplice spiegarsi da dove abbiano origine le atmosfere e le forme che Reali ha dipinto e disegnato, né quali esperienze e quale vissuto gli abbiano fatto conoscere e abitare i paesaggi, le lande, i condomini alveari che egli ha riprodotto nella sua pittura. L’arte può apparire una stranezza a tutti gli altri ma non a chi la produce; essa può prospettare una impressione di straniamento e di novità all’esterno più di quanto non ne generi in chi la inventa, il quale solo della nascita della prima idea può semmai stupirsi e compiacersi. Arpino e Kafka saprebbero spiegarci senza incertezze, quei luoghi, compiaciuti anzi di poterli vedere concretizzati nelle immagini, essendone stati essi stessi abitatori e narratori, e così Freud e, certo, il de Chirico metafisico.
Ma Reali ha immaginato da artista autonomo, malgrado metafisica e surrealismo si fondano, e aleggino in quei suoi ambienti: li determinino. Egli ha visualizzato una realtà fatta di sensazioni, non sempre descrivibili con parole, ma efficacemente spiegate invece nella loro consistenza immaginifica; che non solo si propongono come tali, ma anche come risultato d’impegno, esercizio di tempo, tempo di riflessione. Il filo che conduce alle sue ragioni è sottile e intricato. Non arte di élite, la sua, ma espressione solitaria, austeramente appartata, originale perché intima e sommessamente autobiografica. Più che da considerazioni di carattere sociale essa deriva dal privato; si riferisce a sensazioni profonde, più o meno risolte, abbecedario misterioso che si rivela nell’immagine con severità, e con un realismo straniato, sospeso, inquietante, tanto da costituire metafora di un presente esistenziale in cui tutti spesso ci troviamo coinvolti.
Le sue visioni più profonde si realizzavano con la pittura ma erano sicuramente racconto, confidenza la più intima e suggestiva. L’ambiguità, la stranezza, l’impressione di spiazzamento che offrono all’osservatore-lettore dipendono in parte da questo: ci si aspetta di vedere e soltanto di vedere e invece si ascolta anche, o per meglio dire si legge, si ricorda e si immagina. Perché nelle visioni di Sirio Reali il presente non è soltanto presente: vi si fondono un passato ricordato e memorabile, e un futuro immaginato e immaginabile, avvolto da una luce cosmica. È questo un aspetto interessante, il fascino della pittura di Reali, quell’aura di estraniazione che allude continuamente ad altre logiche e al mistero in cui siamo avvolti. Una situazione, quella che ci prospettano, che inquieta senza inorridire; una futuribilità, insomma, sospesa, senza aspettative e senza entusiasmi, non vitalistica ed esuberante alla maniera dei futuristi, ma piuttosto disabilitata alla speranza.
Eppure, questo remoto universo è assoggettato a una riflessione appassionata, e descritto con un puntiglio e una fedeltà da risultare credibile, a dispetto della visionarietà che esprime. Tale problematica e introversa immagine può fare pensare a un dettato originato da un’ironia di fondo o a una positività tutta affidata a un effetto catartico. L’uomo non appare direttamente in tale desolante inanità, se ne rappresenta una sorte già vissuta sebbene non ancora archiviata e risolta, che viene osservata, considerata criticamente, senza una pietas che affiori e ne recuperi l’umanità. Potremmo aggiungere a queste riflessioni quanto già considerato e scritto in precedenti occasioni da critici di vaglia a proposito di Reali. “S’immagina entro ed intorno alle sue visioni un’esistenza trascorsa di una vita e di una organizzazione sociale, anche se non sono chiari né l’uso né il tipo di presenza che vi è stata. Quelli prospettati sono luoghi di una geografia interiore, i Forni, a partire dagli anni Ottanta, come i Recinti, e poi, negli anni Novanta e oltre, le Trappole, gli Ostacoli, ecc., sino alle recenti Planimetrie domestiche”. Flaminio Gualdoni spiega così il complesso mondo rappresentato da Reali: “Ispido, inattuale, svolto in una sorta di sospensione temporale”.
L’ultimo capitolo, quello delle macchine, delle finestre, dei balconi e delle case, che vedemmo in una delle sue ultime mostre a Palazzo Bonaccorsi ci dà conferma di una ricerca impegnata e mai stanca, marginalmente rivolta alla società contemporanea, ma implicitamente a se stesso, alla parte più incognita e segreta di sé. Ci sembra questo un prezioso dono e un originalissimo lascito dell’Artista Sirio Reali.
Lucio Del Gobbo
22 agosto 2024