A chi ha più di cinquant’anni sarà capitato di conoscere almeno una donna che si rivolgeva al marito dandogli il “voi” anziché il “tu”: è più probabile che sia successo all’interno di una coppia anziana e che sia successo in campagna piuttosto che in città. È più probabile che sia capitato nel meridione d’Italia, ma certamente capitava – appunto – fino a una cinquantina d’anni fa a Filottrano, dove sono vissuto da piccolo.
La cosa appare interessante per capire come cambiano sia gli usi linguistici (la forma) che le relazioni tra le persone a seguito dei cambiamenti sociali (la sostanza). Più interessante è collocare questo uso del “voi” nel contesto della famiglia patriarcale, in cui convivevano più nuclei familiari e più generazioni: una convivenza che richiedeva un’organizzazione gerarchica. Si scopre così che in questo tipo di famiglia a dare del “voi” erano spesso anche i figli o i nipoti quando si rivolgevano a familiari adulti e la trasgressione (con l’uso del “tu”, magari per imitazioni di allocuzioni sentite in città) era punita a suon di ceffoni. Allora si capiva che c’era di mezzo una questione di rispetto -di mancato rispetto- verso l’anziano. Parlo in parte per esperienza personale. In me la sorpresa è diventata sconcerto quando ho notato che l’uso del “voi” era asimmetrico; mi spiego: la moglie si rivolgeva al marito col “voi”, ma lui rispondeva col “tu”, come del resto succedeva per noi bambini che davamo il “voi” agli adulti ma ricevevamo da loro il “tu”. Allora, visto che succedeva anche tra moglie e marito, non era solo un problema d’età.
Andando a scuola, abbiamo trovato conferme e anche sorprese ne “I promessi sposi” di Manzoni: anche Renzo e Lucia si davano tra loro del “voi” e Lucia dava il “voi” a sua madre Agnese, la quale rispondeva col “tu”. E fin qui va bene, ma poi nel colloquio tra Fra’ Cristoforo e Don Rodrigo si comincia con un rapporto formale, addirittura col “Lei”, ma – via via che i toni si scaldano, montano ostilità e polemica e il religioso s’indigna – Don Rodrigo passa al “tu” con disprezzo (“come parli, frate?”). Quindi se nel “voi” è significato il rispetto, nel “tu” può essere compreso il disprezzo, o almeno qualcosa come l’attribuzione di minor valore. Minor valore di chi?
Io ricordo che i miei nonni erano più o meno coetanei, ma a capotavola sedeva il nonno, che segnalava la possibilità d’iniziare a mangiare (col segno di croce) e segnalava anche la fine del convivio (con la possibilità per noi bambini di alzarci da tavola), regolava i discorsi e i conflitti. La conferma mi viene da mia suocera (104 anni) che racconta come a inizio Novecento nelle famiglie patriarcali contadine c’erano divisioni rigide per sesso e per età: siccome le famiglie erano tanto numerose (15-20-25-30 persone) non c’era posto per tutti intorno alla tavola e allora le donne mangiavano o in piedi dietro ai figli o da parte col piatto in mano, in alcune famiglie solo gli uomini usavano le posate mentre le donne usavano le mani; a volte la sera gli uomini uscivano da soli con gli amici mentre le donne restavano a casa.
Ecco allora chiarita l’asimmetria del rapporto, non solo linguistico ma anche relazionale tra i coniugi: la moglie usava il “voi” col marito ma riceveva il “tu” da lui perché tutta la famiglia tradizionale era organizzata gerarchicamente in senso patriarcale: maggior valore era riconosciuto al maschio rispetto alle donne e, tra gli uomini, al “vergaro”, che anche giuridicamente era capofamiglia. Va ricordato che l’uso asimmetrico degli appellativi (tu/lei/voi) in passato vigeva comunemente in tutti gli ambiti: il superiore dava il “tu” al subordinato e riceveva il “voi” da lui, come il padrone faceva col servo, l’artigiano con il garzone.
Oggi si va riducendo per il calo delle discriminazioni sociali e lo sviluppo del sistema democratico. In famiglia è successo col passaggio dalla famiglia patriarcale allargata a quella nucleare, che ha ridotto la distanza tra marito e moglie e tra genitori e figli, favorendo la transizione dalla società familiare organizzata gerarchicamente alla famiglia coniugale, fondata sull’intimità affettiva e il rapporto ugualitario. È una trasformazione che continua e che viene da lontano, dall’Illuminismo (e dalla fine dell’Ancien Régime), con la parentesi del Fascismo che ha preferito l’uso del “voi” al “lei” (ritenuto di derivazione straniera e poco virile) e l’ha imposto a scuola, in caserma e negli usi ufficiali, riprendendo il “vos” romano d’età imperiale.
Enzo Monsù
11 agosto 2024