In una sala gremita all’inverosimile della biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata, la neonata Associazione Palatina studi Torresiani che si fregia dell’acronimo con cui Carlone siglava i suoi certificati, ha presentato la “confutatio” del congresso 2023 e della relativa pubblicazione dei saggi da parte del Centro Studi Storici Maceratesi, relatrice l’intestataria degli studi dell’associazione la prof Simonetta Torresi. Devo innanzitutto precisare che non ho assistito a tutta la trattazione perché le presentazioni sono andate per le lunghe ed avendo parcheggiato in zona disco ho pensato che gli argomenti della conversazione non valevano il costo di una contravvenzione.
La mia opinione sull’evento è che non è stato differente da quelli che lo hanno preceduto, sia dei “Sanclaudisti” sia dei “nonSanclaudisti” in cui ognuno protesta le proprie opinioni quali distillato di pura verità senza un vero e costruttivo confronto. Così è stato anche per la Confutatio in argomento. Ovviamente quanto scrivo non è la Bibbia ma è il mio punto di vista che, tanto quanto le tesi della relatrice entrambe sono liberamente ammesse dall’Articolo 21 della nostra Carta Costituzionale. A mio avviso, se si depura la conversazione di una buona metà del contenuto verbale speso in inutili esclamazioni di sarcasmo polemico ad ogni piè sospinto, quando un qualche tocco qua e là di sense of humor sarebbe stato più elegante, della “Confutatio” non rimane nulla di diretto ai contenuti specifici del congresso montecosarese, ma emerge solo l’esposizione delle tesi della relatrice su una nuova geografia dell’Europa totalmente priva di riferimenti “scientifici” di una qualsiasi specie, a meno che insieme con le tesi storiche si voglia anche ridefinire completamente il significato ed i contenuti intrinseci della parola Scienza.
Per contestare una tesi, in qualsiasi campo, è prassi consolidata innanzitutto citare alla lettera l’esposizione dell’argomento che si vuol contestare, ovvero riportare parola per parola il testo originale precisandone la collocazione e non una sua interpretazione che è inevitabilmente partigiana, poi, utilizzando il significato corretto dei lemmi come lo si trova sui dizionari, spiegare dove e come è insito l’errore o la misinterpretazione. La letteratura soprattutto scientifica è piena di esempi metodologici che si possono verificare fra i quali i più eclatanti sono quelli dei veri colossi della cultura da Galileo a Einstein a Darwin e, vicina ai temi storici, l’opera di Bloch e Pirenne, personaggi a cui, ‘dopo morti’, sono state intitolate associazioni di studio delle loro opere.
A parte l’assenza dell’enunciazione di un qualsivoglia metodo, non ho sentito alcuna contestazione specifica, ma sempre e solo le tesi neogeografiche della relatrice sul restringimento al maceratese di dieci secoli di avvenimenti storici del Medioevo, basati soprattutto sullo spostamento di Colonia Agrippina a San Severino Marche, il tutto partendo dal semplicistico presupposto che in entrambe le località ci sia un fiume e un ponte. Chi ha un minimo di confidenza con l’urbanistica classica e in specie romana, sa che tutte, ripeto tutte le città romane a principiare dalla Roma Tiberina, sono state edificate in prossimità di un corso d’acqua e di conseguenza ci hanno fatto almeno un ponte (ponte Milvio docet). Anche Parigi è stata fondata sulle sponde di un fiume (Interessante testimonianza “le pilier des marins”) e ha, guardacaso sotto il Louvre, testimonianze dell’antropizzazione protostorica di Lutetia pertanto, anche se c’è Montmartre, è fantasia spostarla in un sito collinare senza un fiume.
Parlare di metodo e di scienza, senza esplicitare nulla del metodo stesso, conduce la storiografia a restare ciò che è sempre stata ovvero mera opinione personale di chi ne tratta, tanto lecita quanto discutibile e opinabile. Volendo confutare una storia che è da sei secoli sui banchi del sapere, avrei ritenuto opportuno, anziché una serie di dettagli slegati l’uno dall’altro, un “cappello” preliminare che illustrasse ai convenuti, certamente non tutti addottorati cum laude in storia medievale, le ragioni per le quali la storia che abbiamo studiato a scuola non rispecchia la realtà dimostrata dalle fonti materiali. Perché mistificare trenta secoli di storia non può essere stato il semplice svarione o capriccio di qualche migliaio di addetti ai lavori nei sette secoli che ci precedono. Se c’è stata una ragione doveva essere importante e da non tralasciare.
Poi, dopo aver chiarito le ragioni della mistificazione storica, trattare in dettaglio analitico le contraffazioni e gli ipse dixit con comparazioni puntuali. Non ho udito (lo schermo era troppo basso per leggere) alcuna specifica frase da smentire, come ad esempio i plateali errori filologici del prof Hartmann sul Rerum Gestarum Saxonicarum, insegnante invitato dalla lontana Aachen, personaggio a cui come all’oste, non era il caso di chiedere se il suo vino fosse buono. Dalla relatrice nessuna obiezione nel merito: anche se il germanico non ha scritto una riga di architettura o di agiografie ho sentito solo di quelle, a proposito di chiese ho ascoltato ripetutamente, prima e a riguardo di Ildegard Sahler (esperta improvvisata di architettura che ha scritto un solo libro su un solo argomento) e che al congresso ha straparlato di Cappelle Palatine a destra e a manca , come si dice dalle mie parti “come i buoi quando vanno nelle coltivazioni di mais” (ovvero si muovono senza sapere dove vanno), ma anche la nostra relatrice ha usato la stessa definizione riferendosi al palazzo di San Claudio, di cui come scrissi nel lontano 2011 in “L’architettura del rinascimento carolingio nelle Marche” –ISBN 9788890 747083 (a pag 8) l’edificio non fu mai “Cappella Palatina” perché questi edifici cubici esclusivi delle Marche scrissi che erano così fatti “forse perché non sono nati come chiese”, poi ne ho dato la mia spiegazione, quella è stata la prima volta che qualcuno ha scritto che la destinazione d’uso di San Claudio e dei suoi fratelli tipologici non è stata in origine chiesastica neppure con Carlomagno e non può esistere una tipologia di “chiese deuterobizantine” o “a croce greca inscritta” del XII secolo ecc. ecc. Argomento che è stato ripreso di recente dall’amico e collega Enzo Fusari.
Siccome scripta manent, ho chiesto a gran voce ai “Sanclaudisti” di trovarmi un documento originale carolingio autentico in cui sia nominata una CAPELLAM PALATII, definizione inventata dai filologi germanici per il fatto che Aquisgrana era chiamata Aix la Chapelle dai Francesi dal 1200 in poi (il perché lo spiego nel mio libro).
Personalmente valuto la “Confutatio” confutabile quanto gli atti che voleva confutare, per mancanza di metodo espositivo e delle relative indagini a monte. Da più di trent’anni si sa che la storiografia germanica è stata parrocchializzata, la relatrice ha aggiunto sue personali opinioni a un filone storiografico noto e, sopratutto, non suo alle origini, perché tutti sappiamo che la scoperta della Francia picena è del prof. don Giovanni Carnevale e che l’ascendenza picena anziché aquitanica dei Franchi la proposi in prima assoluta in “Francos una storia da riscrivere” ISBN 9788890747090 con deposito legale alla biblioteca nazionale di Firenze il 28/4/2014 ed anche alla biblioteca Mozzi Borgetti a Macerata, quindi saggio di dominio pubblico.
La questione è sempre la stessa: ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni e anche, per onestà intellettuale, citare chi ha in precedenza scoperto e/o trattato l’argomento complesso della negazione e contraffazione della storia, ma nelle roboanti introduzioni sull’elevatissima statura intellettuale della relatrice e le sue ricerche non ho sentito il benché minimo accenno all’opera e alla scoperta di don Giovanni Carnevale.
Medardo Arduino
23 febbraio 2025