La questione della Scuola Tecnica – La proposta di modifica Rinaldini, come accusò veementemente il Bartolazzi, era particolarmente grave in un momento in cui pareva chiaro ed inevitabile che non fosse più possibile mantenere ancora aperta la Scuola Tecnica: oltretutto il corpo docente era palesemente costituito da “parenti ed amici” del gruppo che proponeva la stessa modifica. Su tale proposta il Consiglio decise di istituire una Commissione di Studio di 12 membri visto “trattavasi di cosa di non lieve importanza e che ben meritava maturo esame”, e di tracciare una linea guida, cioè quella di non aggravare di spese il Comune e di attenersi al Regolamento Governativo che prevedeva che nel caso di soppressione di ufficio non fosse concessa che una semplice indennità “una tantum”.
La Commissione non esaurì il mandato anche per la morte del presidente Filippo Fermani (fratello di David), mentre la situazione economica della Scuola Tecnica peggiorava per la soppressione del contributo dello Stato che era stato concesso per gli ultimi anni – più volte ribadito dal Ministero – in via straordinaria, e pareva la chiusura effettuata come detto con delibera del consiglio comunale del settembre 1885 (resa esecutiva per l’anno scolastico successivo 1886-87), ormai inevitabile. Nonostante ciò, accusa il Bartolazzi, il consigliere Rinaldini con seduta del 25 maggio 1883 ripresentava la proposta di cui mai la Commissione aveva deliberato e presenti solo 5 consiglieri, dei quali 4 della maggioranza e “parenti ed affini in secondo grado di insegnanti”, deliberava per l’approvazione della norma a favore degli uffici soppressi.
Il consigliere di opposizione presente passò successivamente al gruppo Rinaldini. Accuse molte pesanti, rincarate anche dal fatto che l’aumento dell’Imposta su Terreni e Fabbricati per il 1890 fosse dovuto esclusivamente al pagamento delle pensioni maturate dagli insegnati con la famosa delibera sopracitata del maggio ‘83. Il comune aveva cercato in tutti i modi con testardaggine di opporsi per vie legali perdendo però le dispute ed appesantendo, come accusa il gruppo degli oppositori e il Ministro stesso, ulteriormente il bilancio del comune senza ottenere nulla.
La difesa-accusa Rinaldini – La difesa del gruppo Rinaldini espressa in un opuscolo fatto stampare e mettere agli atti della giunta il 28 agosto 1890 durante il periodo di commissariamento, opuscolo stampato in risposta alla difesa del libello anonimo di cui molto probabilmente l’autore era lo stesso gruppo Rinaldini, è molto articolata. Partendo dalla considerazione della grande importanza dell’istruzione tecnica a cui attraverso la scuola i ceti più umili potevano accedere per formarsi al lavoro, dal prestigio che una scuola superiore alla elementari desse al paese, dal fatto che i professori avessero accettato l’incarico per senso civico e non per lo stipendio definito dalla stessa Commissione Provinciale “meschino”, il gruppo Rinaldini dichiara che mai avesse pensato di chiudere la scuola ma soltanto in considerazione dei costi di procedere a una ristrutturazione che consentisse di limitare le spese e ottenere la parificazione a quella Regia, cercando comunque di aggirare l’obbligo delle classe separate specialmente nelle scuole elementari, di istituire classe miste di ginnasio (prima scartate) e tecnico e facendo in modo che i professori non potessero maturare il diritto alla pensione.
Ma onestamente questo era possibile o è solo una difesa “pro forma”? Il Rinaldini continua asserendo che la famosa delibera maggio 1883 fu proposta non perché i professori fossero suoi parenti (veramente erano della giunta) ma solo ed esclusivamente per “giustizia ed equità tra interessi pubblici e privati”, senza voler favorire in nessun modo gli impiegati. Dato che la normativa nazionale parificava i dipendenti invalidi a quelli licenziati, parve pertanto ovvio per giustizia che anche a Pausula si procedesse in tale maniera: del resto il Rinaldini aveva anche ceduto sulla proposta del 1879, portando gli 8 anni richiesti a 10 e contemplando che sotto tale tetto non spettasse all’impiegato alcun indennizzo, neanche la restituzione dei “rilasci”. Sulla inattività della Commissione con a capo Filippo Fermani si difende dicendo che questa praticamente non avesse mai lavorato, dimenticando però che a capo vi fosse un uomo del suo gruppo, Filippo Fermani che non si era mai preoccupato di attivarla. Inoltre Rinaldini dichiara che non accordare questi particolari benefici agli impiegati, a parte la questione morale, sarebbe costato molto di più al Comune che avrebbe dovuto procedere con sussidi.
Certo che in uno stato liberale tale affermazione sembra alquanto discutibile. Il gruppo Bartolazzi è caustico su questa modifica ironizzando del perché si fosse fissato il termine in 10 anni: gli anni erano quelli necessari per far maturare la pensione ai “professori parenti”? Inoltre si chiede sempre con ironia se “usare qualche riguardo” significhi concedere un quarantesimo (2,50%) per ogni anno di servizio (quindi la pensione minima al maturare del diritto era del 25% dello stipendio). Ci si domanda ancora se sia corretto che chi non avesse raggiunto i 10 anni, anche per solo qualche giorno, non ottenesse nessun indennizzo, neanche la restituzione parziale dei “rilasci”. Comunque giusto è chiedersi perché Nazareno Bartolazzi e gli altri consiglieri regolarmente convocati non si fossero presentati a protestare alla seduta del maggio ’83 ed abbiano invece ritirato fuori la questione solo a partire dal 1885, anno in cui giunsero alla maggioranza nel comune. continua
Modestino Cacciurri
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7 gennaio 2025