Una domanda affatto peregrina: “Perché gli antichi Romani non parlavano romano?”

Sappiamo tutti fin dalle elementari che i Romani parlavano e scrivevano in Latino, lingua classica e base della nostra cultura, incubo giovanile quando alle Medie la professoressa annunciava con tono perentorio: “Domani compito in classe, non dimenticate il dizionario a casa che non è una scusa”.

Latino, lingua ufficiale per secoli – In passato non mi sono mai chiesto, ma sembra che non lo abbia fatto nessun altro, perché i Francesi parlano francese, gli Inglesi parlano inglese, gli Arabi parlano arabo, i Tedeschi parlano tedesco e i Romani invece non parlano “romano”, ma, come fa Rugantino, oggi parlano “romanesco” ed è un fatto del tutto naturale che nell’Evo Antico parlassero Latino. Il Latino fu lingua ufficiale di tutto il mondo romano e in esso affondano le nostre radici culturali; lingua che è rimasta in uso per tutto l’Alto Medioevo nel vasto impero dei Franchi, per continuare poi a vivere in giurisprudenza e nella liturgia Cristiana. Solo con l’egemonia americana dopo l’ultima guerra mondiale il Latino è scomparso anche dalla liturgia Cristiana.

Latino lingua della cultura – Potrebbe sembrare un argomento futile ed inutile: tutti sappiamo che il Latino è la lingua di Roma, ma perché si chiami Latino e non Romano è una spiegazione che non ho trovato nella storia della letteratura e agli inizi di questa mia avventura nella storia, devo aver pensato che cercare una risposta fosse una cosa da non indagare: i Romani parlano Latino perché “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare” ed allora, per quel mio viziaccio di accettare dogmi solo per le religioni, me lo sono “dimandato”. Me lo sono chiesto anche se non mi considero per nulla addentro alle “belle lettere” non avendo fatto studi classici, e qualcuno che li ha fatti mi ha spiegato che, insieme con il Greco la lingua di  Roma è e resta “la lingua della cultura”.

Entrano in ballo i Piceni – Nel mondo intero, storia insegna, si è sempre parlato in ogni area geografica la lingua di chi in quell’area comandava e finché ha comandato, militarmente o economicamente, perciò non mi chiedo perché la Comunità Europea abbia adottato l’Inglese perché la risposta è la stessa del perché nel mondo romano si parlasse Latino. Resta comunque aperta la questione perché Latino e non Romano anche se l’impero è, al contrario, Romano e non Latino. Chi ha letto i miei lavori di dieci anni fa e poi quello attuale, sa che per capire la storia ho iniziato dalle evidenze materiali del Medioevo carolingio e sono andato a ritroso nel tempo fino ai Salii Piceni pre-romani. Le mie ricerche mi hanno spiegato perché i Franchi, le genti egemoni dell’Alto Medioevo, pur se “ufficialmente” dei tedeschi del nord, usassero il Latino come madrelingua: semplicemente ho scoperto (scandalo!) che tali genti sono in realtà di origine centroitaliana e per giunta hanno sviluppato una grande civiltà pre-romana.

Perché “romanzo”? – La mia ricerca non si è ristretta alle sole fonti storiografiche, ma anche a quelle letterarie fra le quali il “romanzo”, componimento che a questo scopo non è certo una fonte storica diretta, ma che pone una questione: perché un racconto di fatti immaginati, anche se realistici, qui da noi si chiama “romanzo” e non “novella” come nelle altre lingue indoeuropee? Perché in Italia abbiamo il “romanziere” e non il “novelliere”, quando già il Boccaccio scriveva novelle? I testi letterari spiegano che il vocabolo Romanzo per indicare una novella nacque nel Medioevo, un nome di così grande successo che poi venne usato a ritroso anche per la narrativa antica. Cosa significava però nel Medioevo o meglio cos’era a quei tempi il Romanzo che è anche il nome di una lingua, (il “romanice loqui” dicevano gli acculturati) nei confronti del Latino? Non sto andando fuori tema toccando la narrativa medievale quando dovrei restare nel classico col Latino, è proprio nella letteratura medievale e nella storia negata dell’Età di mezzo che ho trovato le spiegazioni al quesito del titolo.

I Salii Piceni protagonisti per almeno 30 secoli – Ormai non è più un mistero che esista, sostenuta da prove materiali e documentali, una storia antica piuttosto diversa da quella ufficiale e in questa storia i protagonisti siano da almeno trenta secoli i Salii Piceni. Prove che io ritengo credibili e ho riassunto nel libro “Il Piceno Storia e Cultura”. Contesto gli assiomi degli storici ottocenteschi Tedeschi che vorrebbero, senza prove, che i Salii siano originari delle paludi olandesi sulle rive del IJsselmeer, toponimo in lingua Frisona che hanno forzato a diventare Saal, ma questa parola non è stata mai scritta e nemmeno ricordata a memoria, perciò mai esistita prima del milleottocento. Sappiamo però che in quei tempi del Tardo Antico, nella storia proposta dagli autori germanici, sarebbe spuntato il “Francone” una lingua onirica mai scritta e mai menzionata prima, che senza sapere né leggere né scrivere, dicono gli esperti, usavano i primi Franchi già nel IV secolo, lingua che non ha lasciato traccia anche perché detti Franchi a quei tempi usavano il Latino come scrive Sidonio Apollinare ma, da ignorantoni quali si vuole che fossero, non lo conoscevano e facevano fare tutto ai chierici romani.

Incongruenza linguistica – Situazione unica nella storia universale, di vincitori che in un rigurgito plurisecolare di grande fiducia si fanno fare il compito in Latino dagli odiati romani vinti, come scrive stupito il giureconsulto francese J. M. Pardessus. Il fatto eclatante è che sarebbero Olandesi arcaici che poi, senza che se ne accorgano i Frisoni che sono lì da sempre,  diventano Franchi dopo essere stati Frakkr (i valorosi) parlando una lingua di radice sassone, ma scrivono solo in Latino e, non ancora soddisfatti del loro trasformismo culturale, andranno a vivere in Francia e parleranno poi Francese, che è lingua d’origine centroitaliana. Forse è per questo che i Franchi con i Tedeschi, cioè con loro stessi essendo il centro dell’impero in Germania, non andranno mai d’accordo discutendo a cannonate fino a un paio di secoli fa.

Le 65 tribù germaniche – Il luogo delle origini di questo popolo nasce così: gli storiografi Tedeschi, per far nascere i Franchi al nord, siccome Tacito aveva già occupato tutta la Germania con i nomi delle sessantacinque tribù davvero germaniche, dovevano a tutti i costi trovare da quelle parti una “terra dei Salii” che è il nome della più antica gente egemone dei Franchi. Purtroppo di spazio libero c’era solo la foce del Reno e guarda caso il “IJssel”, è oggi il nome frisone di un ramo paludoso della foce del Reno, toponimo che gli storiografi hanno ridotto a Saal, infischiandosene della regola della conservazione della radice dell’Indoeuropeo, e lo hanno fatto nascere distorcendo la filologia di IJssel a martellate per farlo assonare con Salii, il nome gentilizio dei regnanti Franchi come scritto sulle pergamene in Latino; non importa se i Romani dettero a quel sito inabitato tutt’altro nome cioè Lacus Flevus (bonificato qualche decennio fa entro la diga dello Zuiderzee) e importa ancora meno che tutta la storia dei Franchi sia scritta solo in Latino fino al IX secolo, quando il loro Romano Impero (Sacro è un’aggiunta tarda) si frazionerà in tre.

Urbs Saluiensis – Sappiamo che in un altro luogo a noi più familiare i Salii hanno un testimone toponomastico preciso e poco discutibile: Urbisaglia, lemma che è la continuazione chiara e foneticamente perfetta di Urbs Saluiensis (capitale dei Salii), toponimo che ritroviamo nel Liber Coloniarum, ovvero i catasti di Nerone, non è inventato e guarda caso è indubbiamente ubicato nella regione Picena. La domanda d’obbligo a questo punto è: che cosa c’entrano Urbisaglia, i Salii e i Franchi con il fatto che la lingua dei Romani era il Latino? Provo a spiegarlo: se si accetta la tesi che Roma sul Tevere non è stata la prima Roma della storia, ma la seconda (anche Massimo Pallottino accenna alla fondazione di Roma da parte dei Piceni nel suo libro Etruscologia), allora tutto, anche il “Latino” anziché il “Romano” è chiaro. Già don Giovanni Carnevale identificò la Roma carolingia con Urbisaglia, e ci fece venire Papi e altri personaggi “romani”, ma lo scopritore della Francia Picena non è andato abbastanza indietro nel tempo per fornire le prove che io ritengo sostanziali per avallare la sua affermazione.

I  Salii, sacerdoti guerrieri – Mi permetto, e l’ho già scritto più volte, sostenere che l’antico capoluogo dei Salii, popolo pre-romano della regione picena, nell’Alto Medioevo aggiunsero a questo nome la qualifica di Franchi quando Valentiniano imperatore li “affrancò” dai tributi per meriti militari (battaglia di Solicinum), come testimoniano gli scritti di Ademaro da Castel Potenza alias Adhemar de Chabannes. Fin qui la dissertazione potrà apparire lunga e tortuosa e in effetti è uno slalom fra i paletti della storia apocrifa ottocentesca, ma testimonianze molto più antiche, come Varrone, dicono che i guerrieri-sacerdoti che scortavano Numa Pompilio nelle cerimonie sul Tevere erano appunto i Salii, ma chi erano e da dove venivano i Salii di Numa Pompilio? Per me è ovvio: dalla loro terra originale dove fondarono il loro capoluogo e l’unico insediamento che possa vantarsi di essere Urbe (dei Salii) ovvero Urbisaglia, visto che “Urbs Salvia” al nominativo singolare, anziché l’“Urbisaluiensis” del Liber Coloniarum, non lo si trova scritto in alcuna epigrafe antica e non ha alcun significato in Latino, tranne il tentativo barocco di negare la realtà dei Salii piceni alterandone il nome.

Gens Salica e Lex Salica – Tutti sappiamo (e nessun storico contesta) che la gens carolingia ancora nel IX secolo fosse “gens salica” e Salica fosse la legge in vigore nell’impero dei Franchi. I Salii sono perciò indubitabilmente Franchi, e siamo arrivati al dunque: adesso basta chiedere a Brunetto Latini, a esempio, che lingua parlassero e scrivessero i Franchi. Brunetto la conosceva bene questa lingua perché faceva il notaio in Francia, nel Tresor (L I, 1,7.)  scrive “…Et se aucunsdemandoit pour quoi cis livres est escris en roumanç, selonc le raison de France…” Che viene tradotto -“E se qualcuno domandasse perché questo libro è scritto in volgare alla maniera dei francesi….” e non è la sola volta che Brunetto lo scrive perché scrive anche “Vous me sanblez François au  parler lo romanche suona: voi mi sembrate Francese da come parlate il roman” e di nuovo lo si traduce con volgare, facendone una lingua dialettale generica giusto per cancellare Romano e il suo preciso significato d’origine geografica.

Roumanç e l’equivalente roman tradotti in “volgare” Prima di Internet (molto prima) simili conoscenze erano appannaggio solo degli “acculturati” ed era facile imporle dall’alto della cattedra con l’autorità del titolo accademico. Nella storiografia sembra che nessuno si sia mai chiesto perché i Francesi al tempo di Brunetto parlino il Romano, a scuola ci hanno solo parlato delle Langue d’Oil e Langue d’Oc, e i letterati italiani -come già detto- si sono affrettati un paio di secoli fa a tradurre il lemma roumanç e l’equivalente roman semplicemente con il vocabolo “volgare” distorcendo il significato culturale e geografico delle frasi del fiorentino emigrato al Nord. In quello stesso paese dove, prima di lui, si insediarono i Franchi di Carlo Martello, poi di Pipino il Breve, seguiti da quelli di Carlo il Calvo, dai Capetingi e dai Robertingi. Questi Franchi marchigiani sono saliti a governare al Nord logicamente portandosi dietro la loro lingua: sono tutte genti che il Romano lo hanno imparato dalla mamma (perciò lingua madre), e la mamma dalla mamma per generazioni e generazioni all’indietro nel tempo fino ai Salii fondatori di Urbisaglia, la prima Roma della storia.

La fondazione di Roma tiberina – Sappiamo che Urbe e Roma sono metonimi, quindi l’Urbe dei Salii è come dire la Roma dei Salii, come già sostenne don Giovanni, e in quell’Ur-e-Roma picena nacque la lingua che non perse mai il suo nome Romano, nelle varie lezioni altomedievali con e senza consonati mute finali. Il Romano è stato lingua dei Franchi fino al negazionismo pontificio iniziato nel Trecento, che trasformò, per gli studenti di letteratura, il “Romano” in “Volgare”, cancellando l’etimo piceno della lingua che fu dei novellieri europei ancora nel Duecento inoltrato, quelli che scrivevano “in romanzo”, dai primevi “Le roman de la rose” e “Le roman de Rou e des ducs de Normandie” fino ai Promessi Sposi o a quello di Dolores Prato. Perciò, se il Romano era parlato nella terra dei Salii, oggi Le Marche, e Salii furono i fondatori dell’Urbe tiberina, si spiega perché in questa Roma sul Tirreno, abitata da Etruschi, Piceni, Sabini e qualche famiglia di magnogreci campani, non si parlasse il Romano, nome già esistente della lingua di un’altra e più antica Urbe-Roma.

Da Latius, latino – La lingua Latina alla fine di questa storia ha una chiara spiegazione: è la lingua nata in quella terra che un’iscrizione picena letta su una stele e trascritta da Luigi Lanzi, erudito treiese alla corte del Granduca di Toscana nel tardo settecento, iscrizione che recita “Agre TlatiePiquierMartier” che si traduce in AgerLatus Pici Martis ovvero “la vasta terra del dio Pico Marte”. Tutti sappiamo che Pico è dio piceno e il vocabolo “latus” significa vasto, esteso, e così deve essere apparsa ai Piceni la grande pianura paludosa del Tevere, comparata alle strette valli di casa loro. Perciò tale terra verrà poi chiamata LATIUS, Lazio, e la lingua che si parlerà in quella terra e nelle sue città sarà il LATINO, perché Romano è il nome di una lingua più antica e in parte differente, che insieme con l’Etrusco darà origine proprio al Latino. Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia.

Nota della redazione – Questo bel trattato conferma ciò che andiamo dicendo: il latino deriva dal nostro dialetto, che è di antichissima origine picena.

Medardo Arduino

24 dicembre 2024

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