Personaggi maceratesi d’altri tempi raccontati da Libero Paci: “Fischiò e i bruscolini”

C’è da scommettere che nessun maceratese a lui contemporaneo sapesse come, anagraficamente, si chiamava. Era Fischiò e basta. Piccolo, abbastanza trasandato, con una voce acutissima, era il più in vista tra i venditori di bruscolini. Non temeva la concorrenza di “Jiennà lu bbèu” ne, tantomeno, di “‘Ngilina”, silenziosi suoi avversari. Lui aveva la voce squillante che non temeva competitori. La sua specialità erano le arachidi o, come dicevamo noi, le “nucelle amiricane”. In subordine vendeva anche semi di zucca (seme salato) e carrube (teche marine), ma la sua attività commerciale era indirizzata sulle arachidi. Le abbrustoliva (le ‘bbruscava) entro un fornetto portatile a forma di locomotiva che aveva applicato a un carrettino a mano.

Il mio primo ricordo di lui risale a una di quelle “Fiere di San Giuliano” degli anni ’30 che – snobbate dagli ipercritici moderni – costituivano invece, per la più semplice e felice società di allora, una delle manifestazioni più gradite dell’anno; senza “processioni laiche” ricche di cartelli incitanti all’odio ma caratterizzate da quelle ecclesiastiche festevoli per colori e arredi artistici. “Fischiò” si piazzava sull’angolo del “palco della banda”, verso la Loggia dei Mercanti e da lì propagandava la sua merce gridando: “Bruscolini americani! L’America da questa parte”, finché la “Banda Città di Macerata” non iniziava il suo programma, sotto la direzione dell’esimio Maestro Vincenzo Pece (brutto quanto la fame ma ottimo musicista). Interveniva allora a zittire “Fischiò” la Guardia Comunale Nicosanti. Ma il commercio continuava atttivissimo.

Questa non era la sola attività di “Fischiò”. Era un giornalaio (o, come si diceva senza malizia, “giornalista”). Illetterato, si faceva leggere da altri i titoli più vistosi. C’erano gli studenti universitari che gli suggerivano, allora, i titoli più strani che lui, ingenuamente, gridava: “Fortissimo terremoto in cima alla torre di piazza” o “Assassinio di un cadavere nel seno materno” eccetera. Era lo strillone del Resto del Carlino che traduceva in “L’arresto del Carlino”. Semplicemente. Più furbo era il suo competitore “Lisà” che, da buon anarchico, strillava: “Latri… buna” o “Il Travaso” aggiungendo, sottovoce, “Di sangue”.

Altra precipua occupazione di “Fischiò” era quella di gridare i numeri nelle tombole che si estraevano nei vari rioni. Afferrava, allora, l’urna contenente i numeri e la agitava coscienziosamente: un colpo a destra e uno a sinistra e viceversa finché, dopo vari “E manna Fischiò!” urlatigli dagli impazienti, strillava senza ausilio di altoparlanti: “Nummero” – momento di silenzio spasmodico – e giù i numeri estratti senza badare agli ululati quando si trattava di numeri scabrosi. Finché qualcuno berciava a perdifiato “Tombola!”. Allora rientrava nell’ombra, affidando il fortunato alle cure dei funzionari dell’Intendenza di Finanza. Riscuoteva la magra mancia e scompariva dal palco per tornare alle sua care “nucelle amiricane”.

Forse gli eventi bellici, forse la società che rapidamente si evolveva (?) lo fecero sparire. Non se ne è saputo più nulla. Eppure “Fischiò” è un caro ricordo per i non più giovani.

Libero Paci – Tratto da “Ma c’era Macerata”

13 novembre 2024

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