La rievocazione storica della trebbiatura ha cambiato sede, oggi si svolge in una casa colonica nei pressi della Redemptoris Mater, messa a disposizione da un privato, con una grande aia davanti, per cui il fascino del modo antico della lavorazione del grano dopo la raccolta è rimasto immutato.
Arriva il corteo – Lungo la strada si snoda il corteo dei figuranti vestiti con i costumi del secolo scorso davvero belli nelle loro colorazioni, e sono vergare, lavoranti, bambini e belle ragazze che si apprestano a celebrare la festa; il corteo è seguito dal carro (lu viròcciu) trainato da un bel paio di possenti vacche, carico di covoni che i lavoranti (lu rajùdu, ossia i vicinati che si prestano ad aiutare, venendo poi ricambiati nell’aiuto a loro volta) armati di forconi scaricano sull’aia.
I mezzi di Ferruccio, il collezionista – Qui intanto tutto era già pronto: la trebbiatrice d’epoca, il trattore Landini a “testa calda” da 50 cv, con il fascione installato e pronto a muovere il meccanismo della trebbiatrice, la sirena che lancia il suo segnale in attesa che arrivino il fattore (lu fattó) e i proprietari del grano (li patrù), che non tardano a giungere, l’uno a bordo di una stupenda Fiat 600, gli altri su di una Fiat 1500 tutta originale. Per tutti i mezzi d’epoca, da quelli agricoli alle autovetture, il ringraziamento è d’obbligo al collezionista signor Ferruccio, ‘ché senza il suo buon cuore la festa non potrebbe aver luogo.
I personaggi e la lavorazione – Il fattore controlla che tutto sia in ordine, beve un bicchier di vino offerto dalla vergare e aspetta per accogliere “li patrù” che non si fanno attendere e, dopo aver preso accordi, dà il placet alla lavorazione. Il segnale arriva, assordante, dalla sirena che dà il via al lavorìo dei forconi che infilzano, sollevano, scaricano e buttano i covoni accanto alla trebbiatrice; qui altre braccia riforniscono la trebbiatrice che fagocita, lavora, e divide i semi di grano dalla paglia e dalla pula. I primi finiscono nei sacchi (le vàlle) che, caricati sulla schiena degli uomini vanno alla pesatura sulla bascula (la vàscuja), la paglia viene ammucchiata con metodo intorno a un palo per formare il pagliaio (lu pajà) mentre la pula fa un mucchio a parte.
Il frate cercatore – C’è polvere nell’aria ma anche tanta allegria data dal lavoro svolto da tutti insieme e dalla certezza che il raccolto è stato buono: pane per il futuro. A fare da contorno c’è la figura del frate cercatore, accompagnato da un novizio che conduce il somarello trainante il calessino dove sarà posto il grano offerto per il sostentamento del convento. Il frate benedice e chiede alle belle signore che se volessero confessarsi lui sarebbe ben pronto. Le persone intervenute, molte, tanto che il campo messo a disposizione come parcheggio è pieno di auto, sono attente e divertite.
I Pistacoppi e l’oca arrosto – Il notissimo, sia livello locale che internazionale, gruppo folclorico maceratese dei Pistacoppi nel frattempo intona, ballando, i canti della tradizione. Poco distante le cuoche si danno da fare ai fornelli e già si sente nell’aria il profumo dell’oca arrosto e del sugo. Alcune bancarelle offrono i loro prodotti, la ruota gira per assegnare i premi, i bambini fanno giri trasportati dal biroccio trainato lentamente dalle pazienti e mansuete vacche, i mezzi della croce rosso italiana sono disposti in vigile attesa se mai ci sarà bisogno di loro.
I birocci – Non poteva mancare la sfilata di birocci, nelle loro coloratissime livree fatte di fiori dipinti, istoriati con le figure di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, e dal volto di belle ragazze dal florido aspetto. Non mancano sulle fiancate le scritte che riconducono al fabbricante e al proprietario del carro. Nei secoli passati la fabbricazione dei carri da lavoro per la campagna era come un po’ la Fiat di oggi (di ieri…): una vera e propria industria che risaliva al tempi degli antichi Piceni, infatti lo schema costruttivo è praticamente lo stesso.
La sosta – Poi… suona di nuovo la sirena! Questa volta è per il riposo dei lavoranti che sospendono momentaneamente il lavoro per rinfrescarsi e rifocillarsi con “lu voccó”, che non sarebbe altro che una ricca e sostanziosa merenda accompagnata da un buon bicchiere (lu mecchjié o vecchjié) di vino. Un’altra postazione è affollata da grandi e piccini. Qui sono esposti i modelli miniaturizzati delle attrezzature agricole che sull’aia stanno invece lavorando a grandezza naturale. Va detto che l’artigiano il quale li ha realizzati è stato bravo e dotato di una meticolosità straordinaria nella esecuzione dei particolari, affinché siano piccole copie perfette. Intanto per terra alcuni trattori con aratro al seguito stanno arando e una ruspa sposta la terra e sembrerebbe che stia facendo una strada: tutto chiaramente in formato mini. Certo che l’ingegno umano e la bravura non hanno limiti! Benvenuta Festa della Trebbiatura e che mai abbia fine, continuando negli anni a venire. È bello e importante non dimenticare le nostre origini che sono state anche contadine. Serve a far capire ai giovani che la nostra attuale società, votata all’elettronica, fatta purtroppo di troppa virtualità si è basata per secoli sul lavoro materiale, su sudore e sacrifici ma anche su gioia serena.
Fernando Pallocchini
2 novembre 2024