Vendemmia e vino secondo Marco Terenzio Varrone, come si fa ancora nelle Marche

Questo articolo è stato l’ultimo redatto da Nazzareno Graziosi prima della sua dipartita da questo mondo. Come tutti i suoi articoli è tratto dagli scritti degli antichi storici con, in fondo, un suo commento.

Si conviene che Marco Terenzio Varrone (spesso detto Reatino) nacque a Rieti nel 116 a.C. e morì a Roma il 27 a.C. ed è considerato un grande letterato, grammatico, militare e agronomo romano. Di nobili origini, possedeva rilevanti proprietà terriere nel reatino. Qui apriamo una parentesi perché riteniamo opportuno sottolineare che Dionigi di Alicarnasso pone Lista, capitale degli Aborigeni, nelle vicinanze di Rieti. Varrone si dedicò a vari studi con i migliori maestri. Tra l’84 a.C. e l’82 a.C., si recò in Grecia per approfondire le conoscenze, come era uso dei giovani (ricchi). A differenza di molti altri eruditi del suo tempo, Varrone non si ritirò dalla vita politica, anzi, vi prese parte attiva accostandosi agli optimates, forse per le sue ricchezze. Fu vicino a Pompeo che lo ricoprì d’incarichi: fu legato e proquestore in Spagna fra il 76 a.C. e il 72 a.C., combatté nella guerra contro i pirati difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo, fu propretore in Spagna. Dopo la sconfitta di Pompeo, si avvicinò a Cesare, che lo apprezzava per la sua cultura, affidandogli la costituzione di due biblioteche, una di testi latini e l’altra di testi greci. Si reputa opportuno riprodurre la descrizione della vendemmia nei territori che, prima di Roma, erano soggetti agli Aborigeni (Piceni, come più volte dimostrato); riproducendola daOPERE di M. Terenzio Varrone Dell’Agricoltura (Con note). Traduzione di Giangirolamo Pagani, Venezia 1796.

Testo tratto da Capitolo LIV, pag 554 “Della maniera di fare la vendemmia”: Quando l’uva sarà matura ne’ vigneti, bisognerà fare la vendemmia, esaminando prima da quale specie di uva, e da qual luogo del vignaio si debba cominciare a vendemmiare; imperciocché e l’uva primaticcia, e quella mista, che chiamano negra, si matura lungo tempo avanti l’altra; per il che deve essere la prima a raccogliersi. Parimente dovranno essere le prime a distaccarsi dalle viti quelle uve, le quali, sieno esse maritate agli alberi, o no, sono esposte al sole. Nella vendemmia che si fa sotto un diligente proprietario, non solo si raccoglie l’uva per bere, ma si sceglie ancora quella che si mangia; sicché l’uva raccolta si porta nel luogo, ove si spreme, per riempiere dappoi le botti; e la scelta si mette a parte nelle corbe, sia per riempiere delle picciole olle che si cacciano dentro le botti piene di vinacce, sia per conservarla in anfore impegolate e che si mettono in conserve d’acqua, sia per riporla in un sito alto, per poi attaccarla in alto nella dispensa. Poi quando i grappoli saranno stati pigiati, bisognerà spremere nel torcolo i racimoli de’ grappoli in uno ai gusci (bucce) delle uve, onde quel poco di mosto che contengono, si unisca nella fossa al primo. Quando dal torchio non esce altro mosto, alcuni sogliono tagliare attorno le vinacce, e spremerle di nuovo e quel vino che si trae con questa seconda spremitura, si chiama in latino circumcisitum, e lo mettono a parte, perché sa di ferro. I gusci dei grani spremuti si ripongono in botti, e sopra vi si versa dell’acqua. Questo vino si chiama acquerello (detto acquaticcio nelle campagne marchigiane) perché s’innacquano i gusci de grani, e si dà agli operai in luogo di vino nell’inverno”.

Testo tratto da CapitoloLXV, della maniera di estrarre il vino: “Quel mosto che si mette nelle botti onde fare del vino, non si deve estrarre quando bolle, come nemmeno subito ch’è fatto. Se vuoi beverlo vecchio, il che non ha da succedere che dopo passato l’anno, in allora si può estrarre. Se poi è di quella specie di uva, per cui inagrisca a buon’ora, bisogna beverlo avanti la vendemmia, o venderlo. Vi sono alcune specie di vini, e tra questi si annoverano quei di Falerno, i quali quanti più anni si tengono rinchiusi, tanto maggiormente rendono, quando si estraggono”.

Osservazioni – La metodologia della vendemmia e della vinificazione, descritte da Varrone, fanno riferimento ai suoi tempi alle campagne del Reatino. Non viene accennato a tecniche diverse. Evidentemente le operazioni descritte dovevano essere analoghe in tutta l’Italia del primo secolo a.C.. E non si discostano dalle operazioni che ancora sopravvivono nelle piccole aziende agricole Marchigiane, dove ogni botte ha il suo sapore. In definitiva si può arguire che anche nella vendemmia e nella vinificazione, ossia nella enologia, i romani sono stati influenzati dal sapere antico della popolazione aborigena, successivamente denominata Picena dai romani stessi. 

Nazzareno Graziosi

4 ottobre 2024

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