Mi fa sempre piacere sapere di italiani all’estero e scrivere sulle storie di emigrazione. La professoressa Eleonora Meneghetti de Muñoz, già insegnante in un liceo del Guatemala, ha curato, insieme con Matteo Cattaneo e Benedetta Poggio, il libro “Terra amica. Presencia italiana en Guatemala”, fatto pubblicare nel 2021 da quella comunità italiana (Com. It. Es). È un bel volume, in spagnolo, illustrato a colori con numerose foto a buona definizione e documenti. Rispondendo ad alcune domande ci dice qualcosa in più di quella nazione centroamericana che si affaccia su due oceani (Atlantico e Pacifico), posta a sud del Messico. Il Guatemala racchiude numerosi resti dell’antica civiltà Maya. Famosi e molto visitati sono il sito di Tikal e la sua foresta tropicale (patrimonio Unesco dal 1979), il parco archeologico di Copàn, ecc. Quezaltenango, seconda città, è posta in un dipartimento ricco di vulcani, sorgenti geotermiche e con una vegetazione lussureggiante. È nota per i tessuti artigianali colorati (jaspeado).
Dove e quando arrivarono i primi italiani in Guatemala? – “Il Guatemala nel secolo XIX non era certo un Paese conosciuto come meta di sogni di libertà o di possibilità di benessere economico. La presenza italiana è stata sporadica e occasionale fino all’inizio dei governi “liberali” negli anni ’70, che hanno promosso nel Paese molte riforme economiche ispirate ai modelli europei e statunitensi. La necessità di manovalanza e di quadri capaci di realizzare i cambiamenti strutturali necessari, obbligò a promuovere anche una politica migratoria che favoriva l’arrivo di persone a cui – attraverso la propaganda di agenti pagati dai governi – si promettevano terre, nuove produzioni come il caffè, o opportunità di lavoro nella costruzione di infrastrutture. L’attività dell’agente Pietro Boero portò in Guatemala tra il 1878 e 1879 circa un migliaio di persone – quasi tutti agricoltori – ingannati con falsi contratti di lavoro e false promesse e quasi sempre obbligati a sbarcare con la scusa di problemi nella navigazione e impossibilità di continuare il viaggio. Più fortunata fu la politica migratoria degli anni di fine Ottocento e inizio del Novecento, perché si aprirono le possibilità per iniziative migratorie aperte alla modernizzazione del paese. Sono arrivate negli anni a cavallo dei due secoli molte maestranze che hanno lasciato un’eredità che dura ancora oggi. Un’area di presenza qualificata di italiani è stata la città di Quetzaltenango, dove era vivo il pensiero libertario, anarchico e massonico, aperto alla presenza straniera. Secondo un documento ufficiale del viceconsole italiano Enrico Felice, gli italiani in Guatemala nel 1871 erano 61; nel 1881 erano 626; nel 1888 erano 800. Nel 1908 un documento ufficiale diplomatico registrava in Guatemala 550 italiani, impiegati nell’amministrazione commerciale, industriale, bancaria, nella costruzione della ferrovia e di edifici in generale, occupati nell’agricoltura e nell’allevamento di bestiame. Duecento di essi vivevano nell’interno del paese dedicati a piccole attività artigianali e sessanta erano muratori e operai in cave di pietra. Dal 1945-50 ci sono stati religiosi cattolici di diverse congregazioni”.
A cosa si dedicarono gl’immigrati italiani? – “Si deve all’attività degli italiani lo sviluppo della ricostruzione di Quetzaltenango dopo il terremoto del 1902, dell’industria della pasta e alimentari, del settore tessile, della costruzione e della decorazione marmorea, della ebanisteria e falegnameria, dello sviluppo dell’industria del cemento, di scarpe e borse, della ricostruzione della cattedrale e di molti edifici della capitale dopo il terremoto del 1917, delle prime esperienze di trasporto pubblico, di vendite di prodotti importati dall’Italia, delle prime fabbriche di latticini e di gelati, della produzione di articoli di gomma e plastica; di biciclette e macchine industriali”.
Quali difficoltà dovettero affrontare?- “Gli italiani sono stati bene accolti in Guatemala, perché non hanno formato un gruppo chiuso e isolato dal paese, si sono inseriti con attività utili e a beneficio della gente, si sono integrati con matrimoni che hanno prodotto una rapida assimilazione delle tradizioni e della lingua. Per certi aspetti si deve lamentare che non si sia organizzata una scuola italiana, come hanno fatto i tedeschi, i francesi e i numerosi istituti statunitensi, perché la lingua italiana – già poco conosciuta dalle prime generazioni di emigranti – è ormai considerata lingua straniera, imparata per piacere o per ottenere la cittadinanza italiana in caso di matrimonio”.
In quali settori si distinsero? – “Gli italiani si sono distinti nel campo della costruzione, dell’industria e del commercio. Molto limitato il loro apporto al campo culturale. Da ricordare solo lo scrittore Dante Liano, che però vive in Italia dagli anni Ottanta”.
Che lei sappia qualche italiano lavorò alla costruzione del canale di Panama? Qualcuno si è dedicato alle ricerche archeologiche? – “È probabile che italiani arrivati in Guatemala dopo il 1910 abbiano preso parte all’opera di costruzione del canale di Panama, ma non ne ho mai sentito parlare. Nel campo archeologico, nessuno”.
Come è percepita oggi l’origine italiana-europea? – “Il Guatemala è un paese strano. Molto nazionalista, ma in costante ammirazione di ciò che è straniero. Quindi le ragazze sono sempre in ammirazione di un europeo, meno attrattiva ha un guatemalteco su una ragazza italiana. Discorso comunque complesso e dove giocano molti pregiudizi e luoghi comuni. In generale la formazione scolastica in Guatemala è focalizzata sulla storia locale e sul tema dello sfruttamento coloniale, dal quale l’Europa non esce bene, per lo schematismo con cui qui vengono presentati i temi. Mancano pensiero critico e abitudine al dialogo”.
Eno Santecchia
29 agosto 2024