Noi siamo vissuti così… una vita d’altri tempi nei ricordi di un bambino (1a puntata)

Sono nato nei primi minuti del 2 febbraio 1948, al numero 6 di contrada San Valentino Campolargo (dagli anni 70 completamente disabitata) di Loro Piceno. Cresciuto “a pangótto”, a pane bollito, come si diceva in quel tempo. Sì, nella sottoalimentazione che ci si poteva consentire, dai circa 8mila metri di terreno di proprietà di nonna Carolina, da cui attingere il sostentamento per la famiglia di cinque persone, oltre ai proventi di qualche giornata che, qua e là, mio padre poteva fare.

La casa era più o meno con i requisiti della altre della stessa zona: pavimento in mattoni, soffitto con travature in legno, porte e finestre in legno ma, specie per le porte, non c’era telaio, il che consentiva il passaggio agevole a insetti e topi. A proposito di topi… quella mia casa era ed è attaccata alla numero 5, che è stata la prima a restare inabitata. Il proprietario a volte veniva per lavorare e ci dormiva anche. Una di quelle notti abbiamo sentito venire da là, ripetutamente, forti rumori. Al mattino ci raccontò di avere, con pugni e bastonate, ucciso ben 14 topi che avevano aperto un passaggio nell’angolo di muro prossimo al letto. Gli interstizi delle porte lasciavano passare anche l’aria che, in inverno, era unita alla drammatica scarsità di legna e al fatto che i bambini, anche i maschi, da dopo la fasciatura fino alla cresima, circa sette/otto anni di età, vestivano con i pantaloni corti: a gambe nude, come le bambine, ma queste i pantaloni mai l’indossavano.

Ho ancora il vivo ricordo del dolore che provocavano i geloni ai piedi e dei contemporanei lividi di calore che si formavano sulle gambe nello stare il più possibile vicino al fuoco. Fuoco acceso in quel camino che, spesso, rigurgitava fumo in grande quantità, che bruciava in gola e faceva lacrimare gli occhi. Nel 1954 la mia famiglia acquistò la casa accanto, quella del numero civico 7, anche questa, come la numero 5, attaccata alla nostra (oggi si direbbe tre villette a schiera). C’era annesso un terreno per un totale di circa due ettari, con cui era possibile mantenere un paio di vacche. Queste agevolavano il lavoro, ci davano i vitelli da vendere, il latte per arricchire l’alimentazione e ci fornivano anche il riscaldamento, al bisogno. Sì, con la loro massa corporea e il loro respiro, producevano calore (energia termica). Quando le mani erano intirizzite le accostavo alle mammelle della vacca per farle riscaldare piano, piano. Se invece le riscaldavo davanti alla vampa del fuoco, il rapido sbalzo termico mi avrebbe procurato forti dolori. Gli spifferi d’aria dalle porte e dalle finestre si limitavano con stracci; le crepe nei muri con sterco e terra impastati. Per eseguire lavori, giocare o ripararsi dal freddo c’era la stalla, nonostante l’odore.  continua    

Mario Graziosi

27 agosto 2024

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