La “Basilica” di Santa Maria a pié di Chienti, facciamo chiarezza una volta per tutte

Print Friendly, PDF & Email

Non seguo i social, ma gli amici mi informano di un’onda lunga e marrone che continua a lambire in modo magmatico la questione, che io ritengo dovrebbe essere solo prettamente storica e culturale, delle origini e del significato di testimonianza storica della Basilica di Santa Maria a piè di Chienti. Per parlarne mi corre l’obbligo di premettere alcune cose. La nostra Carta Costituzionale all’Art 21 sancisce il diritto alla libertà di pensiero, di opinione, di stampa e vieta la censura preventiva. Perciò chiunque può in piena libertà esercitare questo diritto. L’Art. 21 non contempla invece la libertà di turpiloquio.

Se gli interessi per la realtà storica della Basilica sono squisitamente culturali, non essendo ancora la ricerca storica una disciplina scientifica basata su algoritmi e parametri matematici per cui nove per nove non può fare altro che ottantuno, sono ammissibili e pertanto accetto sempre le altrui opinioni, anche se magari non le condivido e spiego perché, come chiunque può fare serenamente. Diversità di opinioni sono generalmente frutto di differenti impostazioni culturali e metodologiche o di differenti livelli di informazione. La prassi metodologica che ho sempre seguito nelle ricerche è stata di esporre le mie considerazioni e di sollecitare una corretta quanto serena discussione di merito, sempre positiva se intellettualmente onesta, come provo a fare anche adesso.

Essendo fermamente convinto del “verba volant”, ho sempre messo nero su bianco le mie considerazioni, perché siano sempre verificabili e sia contemporaneamente verificabile quando siano riferite ad altri distorte a proprio piacimento. Sul tema in questione, suggerirvi di leggere all’interno di una pubblicazione di 700 pagine i due capitoli sulla Basilica chiamata Cappella, o di rispolverare il saggio monografico che scrissi più di 10 anni fa, non è ciò che voglio fare, se non c’è un interesse specifico. Per chiarezza della mia visione della questione nei riguardi dei lettori de La rucola, desidero spiegare i fondamenti su cui essa poggia per la storia di questo monumento unico al mondo che merita di essere valorizzato correttamente. Monumento unico per l’insieme delle cose che vado a elencare e sulle quali, alla fin fine, sarà il lettore a farsi le proprie opinioni sul monumento e sulla concretezza dell’esposizione.

L’edificio è l’unica Chiesa agreste delle Marche che si erge al centro di una valle alluvionale, nella Piana di Chienti, quando tutte le altre chiese antiche sono ai lati delle valli o sulle colline per la ovvia sicurezza contro le inondazioni. La basilica è però su una collinetta artificiale, una cosiddetta “motta”, manufatti che si erigevano nell’antichità, poi sostituiti già nella romanità dalla manutenzione degli argini del fiume. Le due cose messe insieme mi dicono che in quei tempi remoti per fare un’opera molto costosa proprio in quel sito, doveva esserci un motivo importante. Quale poteva essere?

La ragione, citata in una pagina della parrocchia di San Marone a firma Marco Tesi (ne ho copia), spiega che un tempio, ricordato da Andrea Bacci, era stato eretto intorno alla fonte curativa sulfurea dedicata al dio Piceno della medicina. Una plausibilissima ragione, per fare il tempio proprio lì dov’era la fonte e proteggerlo con le abitudini tecniche del tempo, mettendolo un poco più in alto su un bel montarozzo di terra. Gli edifici sacri dell’epoca picena, che continuano nella romanità, erano costituiti (come da documentazione archeologica) da un anello circolare di colonne su due livelli che delimitava la zona sacra riservata al sacerdote, circondata da un secondo anello sempre di colonne, al cui interno i fedeli assistevano alle cerimonie. Ai lati del “tamburo”, dalla parte dell’ingresso si estendevano due lunghe tettoie, precarie o in muratura, dove i mercanti vendevano ai pellegrini gli animali per i sacrifici alla divinità.

Nella Basilica non si vede nulla di questo, ma le due navatelle laterali e la presenza d’insolite colonne incamiciate nell’abside, più una marmorea colonnina tortile classica, mi hanno fatto pensare alla realistica possibilità del tempio antico. Visto che nessuno, né prima né dopo di me, non il Comune, non l’Università, non la Soprintendenza, si è mai posto il problema e non ha fatto mai alcun sondaggio geognostico nel sottosuolo della chiesa, siccome non si può lavorare sulle opinioni di fantasia perché senza sondaggi non puoi dire nulla di serio, sebbene pensionato, a mie spese personali e col supporto di un paio di amici, chiesi e ottenni dal Sindaco l’autorizzazione a una serie di rilievi non invasivi Georadar.

Non ho pubblicato la relazione dei geologi, perché se nessuno ha mai pensato di farla vuol dire, tecnicamente, che non è curioso e non gli interessa, gli bastano altre fonti. Il georadar ha visto cose e dettagli estremamente interessanti e che sono certamente pertinenti il tempio primevo di cui supposi l’esistenza, fonte sulfurea compresa, quindi posso dire sulla base delle prospezioni che la chiesa è la ristrutturazione della parte superiore dell’antico tempio piceno e poi romano, e non una costruzione a sé stante molto più recente. Se il tempio c’era, ed è li sotto, si spiegano sia la ragione della scelta del sito sia la conservazione della fonte di cui lo storico romano Dione Cassio avrebbe scritto che fu visitata da Caracalla.

Sappiamo, perché ne hanno scritto molti autori sia barocchi che contemporanei come Camillo Lilii e Otello Gentili, che i monaci di San Basilio da Cesarea, giunsero nella valle pressappoco sul finire del V secolo e, con l’evangelizzazione dei pievani, trasformarono i templi pagani in Cristiani, prassi poi generalizzata dai Benedettini. I monaci “d’oriente” composero armoniosamente il saper costruire delle maestranze picene con modelli formali dell’oriente romeo. Le valli del Chienti , del Potenza e di Valfucina dimostrano nelle matrici delle loro chiese l’arrivo dei Basiliani. La presenza dei monaci greci a Santa Maria è testimoniata in modo inequivocabile dal fatto che la loro rappresentazione iconica di Dio non è quella del Cristo in croce adottata dal papato e dai farfensi, ma il Cristo Onnipotente, dal greco detto Pantocratore, perché signore di tutto il creato. Nella loro immutabile iconografia, il Cristo è stato costantemente raffigurato in vesti regali e con l’aureola. Nel Catino absidale della chiesa, giganteggia l’affresco di un meraviglioso ed espressivo Cristo Pantocratore racchiuso in mandorla che tuttora continua la memoria dei Basiliani primevi, perché è noto che la teosofia basiliana imponeva di rappresentare la sacra icona invariabilmente in questo modo, seduto in trono, col vangelo nella sinistra e la destra benedicente come ancora oggi benedice il Metropolita ateniese.

Non c’è altra spiegazione che questa origine altomedievale a giustificare la Deesis di Santa Maria a Pié di Chienti, nessuno al di fuori dei Basiliani avrebbe fatto affrescare questa icona, soprattutto non lo avrebbe mai fatto un priore di abbazie laziali cattoliche come Farfa, che ebbe per un certo periodo una sporadica presenza in valle. L’eccezionalità di questo Cristo è che è l’unico che si conosca posto seduto su un sarcofago anziché sui cuscini di un trono a simboleggiare che ha vinto la morte, dimostrando un’ascendenza antichissima di quest’icona, addirittura a quando il monachesimo era agli inizi. Dell’edificio altomedievale permane solo la forma dell’impianto strutturale che fonda sul tempio pagano, ma non l’aspetto delle membrature perché ed è evidente nei materiali impiegati, è una ricostruzione iniziata nel XII secolo, con laterizi e lapidei di recupero, messa su con tecniche ingegnose, ma con pochi mezzi finanziari.

Reputo che questo aspetto dimesso sia da collegare al terribile terremoto del 1117, avvertito dalla Baviera alla Campania, non serve  spiegare cosa può aver fatto qui, semmai aggiungere alla data del sisma qualche pensierino su una possibile lapide a memoria della ricostruzione con data 1125. La basilica ha un piano superiore, esemplare unico nelle chiese nostrane allestito con le tipologie edilizie del XII secolo, lì si tenevano le liturgie e me lo spiego come il modo sicuro per evitare che il fiume Chienti , se talvolta fosse entrato per una preghierina, non avrebbe danneggiato né disturbato gli altari e gli affreschi del piano superiore. Poi la parrocchia si è accresciuta si è celebrato di sotto e sono arrivati i monitors. Oggi la Basilica non è più solamente un corpo tondeggiante fra le lunghe ali laterali con il centro a cielo aperto, è un edificio coperto a tre navate, ma non è nato con questa impostazione che arriva solo nel tardo Quattrocento o dopo ancora, a giudicare dalla foggia delle capriate della copertura.

Non lo possono dire le strutture, ma il titolo Basilica, che incomprensibilmente è stato sostituito da Chiesa l’estate scorsa, il quale non è un’etichetta qualunque: per gli addetti ai lavori  e alla storia indica il fatto raro di essere una chiesa altomedievale aperta al pubblico, non quella “riservata” di un’abbazia, e soprattutto ne indica la fondazione imperiale. Un titolo ovviamente importante, specie se è proprio in val di Chienti, titolo che non si attribuiva senza motivo nel passato. A questo riguardo, se Andrea Bacci (non io, che lo cito soltanto) archiatra papale di Sant’Elpidio a Mare, ha scritto nel ‘500 che la Basilica fu fatta costruire da Carlomagno per celebrare la sconfitta dei Saraceni, forse la memoria popolare ha conservato qualcosa di vero anche di questo. Scripta manent, e perciò ho scritto e chi lo desidera commenti.

Ci sarebbero ancora moltissimi dettagli ma penso che questi bastino per riflettere. È pur vero che c’è una cartula di Farfa nel X secolo: questa fonte documentale non è un libro di storia e non può raccontarne una intera. Può solo e semplicemente documentare che un immobile in val di Chienti a quella data era in condizioni di essere l’oggetto giuridico di un atto notarile e null’altro. In conclusione rivolgo un appello ai lettori che conoscono il monumento perché, a prescindere dalle mie convinzioni, pongano all’attenzione degli aventi causa la necessità di provvedere con urgenza per frenare il degrado di affreschi unici al mondo, che il global warming sta depauperando. A chi ancora non la conosce suggerisco di andare a godere del suo fascino.

di Medardo Arduino

24 luglio 2024

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti