L’importanza della nomenclatura degli edifici di culto quando gli storici sono distratti 

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Dopo tanto parlare di Cappelle palatine, è forse giunto il caso di fare una rapida considerazione sui termini usati nel passato per caratterizzare con un nome proprio le tipologie delle costruzioni dedicate al culto, chiarendo il mio punto di vista sui possibili equivoci che l’uso disinvolto di tali termini ha prodotto.

Premessa architettonica – Mi scuso se dovrò ricorrere a un minimo di concetti di statica e di tipologie strutturali, ma una architettura, ovvero un edificio, prima di essere un fatto artistico ed essere fagocitato dagli storici dell’arte è un fatto di statica: deve, per stare lì ben fermo “immobile” dove lo hanno costruito e nelle forme che gli hanno dato, rispettare innanzitutto gli effetti della forza di gravità sulle caratteristiche tensili dei materiali da costruzione, che è purtroppo un fatto universale. Questa non è una premessa viziosa, vuole solo sottolineare che prima di pensare alla decorazione “artistica” dell’edificio, il progettista deve fare i conti con la statica, i pesi e la resistenza dei materiali per fare una struttura che si autosostenga e sopporti i carichi “accidentali” dell’arredamento e della frequentazione.

Premessa linguistica – Dopo le premesse architettoniche quelle linguistiche perché un manufatto umano è una cosa diciamo “artificiale” e, non esistendo già in natura generalmente non ha un nome proprio fin dalla notte dei tempi, nome che è comunque indispensabile per identificarlo. La mancanza di un nome proprio per un manufatto innovativo, richiede o la nascita di un neologismo o l’uso traslato di un sostantivo già esistente e che in qualche modo, per forma, odore, funzione, si può prestare all’uso. Generalmente traslare un sostantivo esistente è più facile perché si sa anche come scriverlo, non è difficile da capire e non scatta il manzoniano “Carneade chi era costui?”. Questo problema ha fortissimi riflessi oggi, scrivendo di storia, quando si utilizzano con una certa disinvoltura le terminologie in uso per i Templi ovvero gli edifici religiosi del passato. La più autorevole enciclopedia italiana (https://www.treccani.it/enciclopedia/tempio/) definisce il sostantivo “tempio” come “Edificio sacro, luogo consacrato al culto di una divinità e concepito per lo più come dimora, permanente o temporanea, della divinità stessa”.

Ecclesia – Inizio dagli albori del Cristianesimo, quando la comunità di credenti non aveva ancora una sede esplicita e si riuniva in luoghi non edificati per quello scopo. L’edificio dove si radunava la comunità, magari non era sempre lo stesso e lo si sceglieva di volta in volta, pertanto prese il nome che genericamente indicava la comunità di praticanti. Il Cristianesimo nacque in Asia Minore e giunse a noi dalla Grecia con il nome greco dell’assemblea di credenti raggruppata intorno al suo ministro: la Ecclesia. Da qui il nome Chiesa trasferito poi anche al manufatto architettonico. Era però un nome troppo generico e non bastavano i diminutivi Chiesetta o Chiesupola o gli accrescitivi Chiesona per differenziare la consistenza edilizia dei luoghi di culto man mano che il Cristianesimo si diffondeva e le condizioni socio-economiche dei fedeli miglioravano.

Pieve – Le comunità di agricoltori sparsi nei minimi villaggi dell’Alto Medioevo, erano raggruppati in Pievi, cioè distretti di ampiezza idonea a fornire un contributo sufficiente al mantenimento del clero locale, perciò il sacerdote è il Pievano e l’edificio di culto è la Pieve. La Pieve come edificio non ha caratteristiche architettoniche implicite, ma risente semplicemente della disponibilità locale di risorse, sia per edificarla sia per mantenere i sacerdoti. Generalmente Pieve indica perciò una costruzione di modeste dimensioni, poi col passare del tempo, quando aumenta il benessere, l’edificio (ovvero la “chiesa” nel comune dire) si ingrandisce con nuovi corpi aggregati e a essa si agglomera un villaggio, questo prende una parte del nome dal titolo del suo centro religioso, come Pieve di Teco, ma l’estensione della circoscrizione o della pieve quale comunità rurale è sempre di modesta entità come lo è l’edificio. Chiesa e Pieve sono due acquisiti nomi per identificare un luogo di culto Cristiano, il primo decisamente generalizzabile, il secondo in origine specifico di una situazione amministrativa e non architettonica, ma il processo continua.

Collegiata – Quando la gerarchia ecclesiastica si accresce e si struttura, nascono i Collegi (o Capitoli.) gruppi di religiosi che operano in centri generalmente consistenti quindi con un numero di contribuenti di una certa dimensione. Pe cui aggiungiamo alla lista il lemma Collegiata, spesso Chiesa Collegiata. Non esistono requisiti spaziali o strutturali che differenzino tipologicamente le Collegiate dagli altri edifici di culto, semmai la loro collocazione nelle città.

Cattedrale – Nel Medio Evo il vescovo ha sede in una città importante che possa reggere la tributarietà verso questo alto prelato, in molti casi il Vescovo esige tributi nella cinta urbana e in un raggio di due o tre miglia intorno alla città stessa. Nell’edificio di culto sede vescovile, gli è riservato un seggio specifico posto su una predella e bene in vista ovvero una “cattedra”. Questa è l’espressione del potere vescovile e l’edificio che la ospita è generalmente importante, espresso nelle dimensioni e nella ricercatezza formale. Viene generalmente indicato come Cattedrale, titolo che si aggiunge a Chiesa, Pieve, Collegiata, Capitolare, Cattedrale.

Cupola come elemento distintivo – A partire dai secoli del primato carolingio in Europa, forse seguitando una pratica che ritroviamo nei grandi templi pagani o proto cristiani, le strutture di questi edifici importanti si dotano di complementi che le qualifichino anche per la planivolumetria e per alcune impressive caratteristiche architettoniche ricorrendo all’adozione di un manufatto tecnicamente difficile da realizzare e consistente in una “calotta” che sovrasta il resto della costruzione ed è chiamata “cupola”. Cupola è già un sostantivo bivalente, non solo è il sinonimo tecnico di calotta, un significato strettamente geometrico, generalmente inteso come forma generata dalla rotazione intorno ad un asse di una linea curva regolare quale un semicerchio o un semiellisse. Realizzare una cupola in muratura è una impresa difficile e comporta risorse di esperienza ed economiche non indifferenti, la cupola perciò diventa l’elemento distintivo dell’edificio che deve prevalere per rappresentanza. Cupola però è un termine tecnico della geometria, che non è condiviso dal popolino il quale, per la forma del manufatto il quale assomiglia alla parte superiore e semisferica del fungo, che tutti conoscono e apprezzano, preferisce chiamarla “cappella”. Qualche filologo purista vorrebbe che il nome derivi dalla piccola cappa di San Martino, ma questa origine è alquanto discutibile, l’universo dei credenti, che dissemina Cappelle dappertutto, non può essere tutto perfettamente a conoscenza della forma del luogo di conservazione della reliquia del Santo, di cui non c’è alcuna informazione originale. La “cupola” è il sostantivo che sostituirà “cappella” nelle realizzazioni monumentali dei grandi geni rinascimentali e barocchi, fino al “Cupolone” romano.

Basilica – Nelle annotazioni più antiche, quando queste particolarità architettoniche sono una rarità assoluta per il costo, esse qualificano gli edifici più importanti e di grande sviluppo planimetrico che, per gli strati più colti hanno una differente denominazione, con origini nostrane: le “Basiliche”. Basileus è l’imperatore d’Oriente, già i romani, e l’esempio più noto è quella di Massenzio e Costantino a Roma, per le riunioni pubbliche costruivano grandi aule imperiali generalmente di pianta rettangolare e il nome dell’edificio fatto edificare dall’imperatore sarà “Basilica”. Gli edifici cristiani pubblici delle grandi città si ispirarono a questi edifici romani e i cultori di storia dell’architettura coniarono l’espressione “pianta a schema basilicale” per indicare la planimetria di una importante chiesa vuoi Collegiata, vuoi Cattedrale, strutturalmente realizzate anche con una o più calotte su planimetria rettangolare allungata.

Basilicam quam capella vocant – Nel Basso Medioevo il termine Cappella per indicare una chiesa con calotta pare si estingua, quantomeno qui da noi, ma io ho buona memoria di una annotazione degli Annales Laurissenses per l’829, che recita “Post exactam hiemen in ipso sancto quadragesimali ieunio paucis ante sanctum pasche diebus Aquisgrani terre motus noctu factus ventusque tam vehemens coortus, ut non solum humiliores domos, verum etiam ipsam sanctae Dei genitricis basilicam quam capellam vocant, tegulis plumbeis tectam non modica denudaret parte”. Il testo definisce sia l’aspetto, diciamo, giuridico della chiesa che è Basilica, quindi pubblica, ma che per la calotta che la contraddistingue la gente la chiama “la Cappella” (e non è un singolo caso fortuito).

Duomo – Per la grande calotta principale la gente comune prende a prestito un altro vocabolo di derivazione tecnica dagli esperimenti di Denis Papin, apparecchiatura molto conosciuta per il suo impiego sulle locomotive a vapore per la captazione del vapore della caldaia, protetta da una calotta di foggia particolare che viene chiamata “duomo”. I letterati forse non si sono occupati delle glosse tecniche delle “locomobili” agli inizi della loro esistenza, ma se ne occupano quando il Duomo, come indicatore di una grande realizzazione con cupola, si sostituisce come titolo dell’edificio di culto ai precedenti Cattedrale o a Basilica. Nei casi di edifici unici queste definizioni funzionali si mescolano con il loro traslato tecnico e si può leggere questo risultato nella descrizione della Cattedrale di Firenze, anche detta Duomo. Santa Maria del Fiore è una delle chiese più grandi del mondo: la sua pianta è composta da un corpo basilicale a tre navate, che si innesta in un’area presbiteriale dominata dal grande ottagono dell’immensa cupola, nella quale si aprono tre absidi – o tribune -, ciascuna composta da cinque cappelle a raggiera. Estranea a conoscenze dell’idraulica dei fluidi, la letteratura vuole che “duomo” sia la deformazione inconscia di “domus”, ma non posso concordare perché innanzitutto mettere un dittongo dove c’è una sola vocale (uo in vece di u) contrasta con la costante fondamentale dell’indoeuropeo della conservazione della radice dei vocaboli, poi, se così fosse stato, dovremmo trovare duomi anche nel latino tardo antico agli albori del Cristianesimo, ma non ho trovato nulla in questa direzione al momento.

Chiesa, Basilica, Cappella, Collegiata, Cattedrale, Capitolare, Presbiteriale, Duomo e concludo con la grande confusione che continua a esserci scambiando allegramente i titoli funzionali e giuridici degli edifici quando ci si inoltra nelle realizzazioni agresti del clero secolare e dei monaci. Ritengo un errore pregiudiziale, che porta a conclusioni erronee di carattere storico oltreché tipologico, quando si titola abbazia un edificio basilicale perciò pubblico che è stato edificato per ragioni particolari in campagna ed ha intorno quattro case di agricoltori non gestiti da un ordine monastico. Gli edifici di culto in Europa non seguono gli stessi schemi dappertutto, per ragioni d’orizzonte tecnico e anche per scismi o desiderio di esternare forme di autonomia. Anche la loro nomenclatura è fonte storica legata innanzitutto alla loro destinazione d’uso originale, ovvero lo scopo per cui il committente ha chiesto di realizzarlo al costruttore. Della nomenclatura occorre tener conto, soprattutto se l’edificio ci giunge dal passato modificato dall’obsolescenza. Nessuno di noi che vede un vecchio furgone degli anni ’50 utilizzato al meglio come stia per i polli lo descriverebbe come un pollaio inventato da un allevatore del primo dopoguerra.

Medardo Arduino

8 luglio 2024

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