Da circa un secolo, due quaderni ingialliti e alcuni fogli sparsi giacevano dimenticati in fondo a una vecchia cassapanca, in una casa decrepita di campagna… Sono appunti di guerra di alcuni ragazzi dei primi del ‘900, che dall’oggi al domani si erano trovati catapultati in guerra, in paesi lontani di cui ignoravano la esistenza e nei quali viveva gente che ignorava a sua volta chi fossero loro. Mondi totalmente diversi dalla propria realtà contadina, e diversi anche dalle descrizioni magnifiche e trionfalistiche della propaganda nazionalista.
Il 29/9/1911 l’Italia dichiarò guerra ai Turchi per l’occupazione della Tripolitania e della Cirenaica: la cosiddetta guerra “Italo Turca”. Questo lo scenario politico, ma qui si vuole parlare della realtà di Pietro, dei suoi compagni, dei quali rimangono le medaglie al valore e questi scritti. L’autrice Maria Pierandrei ne coglie il fascino e le emozioni sotto la coltre di muffa e polvere, il contenuto delle lettere si svela subito come un prezioso materiale storico da conservare, condividere, approfondire. Tanto da essere di stimolo ad ampliare la ricerca raccogliendo testimonianze dalle altre famiglie del paese, con i loro ricordi orali, foto, cartoline, lettere, prima che tutto questo cadesse nell’oblio.
È passato solo un secolo e già sfuma la memoria del dramma vissuto da tanti giovani soldati e dalle loro famiglie, per le quali il tempo si fermò quando i figli, mariti e nipoti partirono senza sapere per dove, e di costoro molti non fecero ritorno a casa. Il racconto sembra un romanzo, ma non lo è. È tutto vero, e con questo lavoro di riordino e ricostruzione, si è cercato di trasmettere le emozioni vissute da questi giovani, il cui scrivere serviva non solo a far sapere alle famiglie che erano ancora vivi, ma serviva a loro stessi per sentirsi ancora vivi, per distaccarsi dalla realtà difficile e forse inspiegabile, in cui si trovavano, e riconfermare a se stessi che il loro vero mondo era un altro, quello della propria terra, di cui rammentavano, con la forza della nostalgia e dell’affetto, i colori, gli odori, le voci, le stagioni: “Vivevo in un miracolo, e non me ne ero mai accorto”, queste le parole drammatiche di Pietro, il 5 ottobre a Bengasi, dove soffia il ghibli.
È un vento che tira sempre e fa volare la sabbia a riempire gli occhi, la bocca, i capelli dei soldati. Di giorno 40 gradi, di notte irrigiditi dal freddo, e fame, e sete. Con una paura così forte addosso, di essere ferito, o cadere nelle mani degli arabi, che in quanto nemici erano senza alcun dubbio reputati brutti e cattivi, da volerli uccidere a tutti i costi, uccidere il nemico. Un istinto animalesco reciproco. La guerra in Libia fu molto costosa, in termini di vite, sia italiane che libiche e in termini finanziari; di fatto fu una invasione, una vicenda di cui non andare fieri, sulla quale in breve tempo scese l’oblio. Tutto il dolore trasmesso dagli scritti di questi poveri contadini-soldati dovrebbe insegnarci a non lasciarci trascinare da propagande e slogan, a rispettare nazioni e popoli e a far rispettare il nostro, puntare sulla diplomazia e non sulla violenza.
Simonetta Borgiani
28 giugno 2024