Non sono tutti uguali, nell’immigrazione c’è anche l’altra faccia della medaglia

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Ecco una storia vera di tre piccoli immigrati che ci mostra l’altra faccia della medaglia, quella dei più indifesi, dei più fragili che meritano tutta la nostra attenzione, cura e affetto.

In uno sperduto villaggio africano arrivano alcuni individui a svolgere una trattativa (non ne conosciamo il tenore) per portare via con sé tre bambini di pochi anni. Nel villaggio vive un clan familiare e i tre bimbi, magri, mal nutriti, abituati a svolgere i lavori al pari dei grandi, sono l’oggetto della trattativa. Sono cugini fra loro e il clan se ne priva affidandoli a quegli individui.

Comincia il loro cammino, a piedi, attraverso il continente africano diretti alla costa del mar Mediterraneo. Durante il tragitto su percorsi disagiati, a volte sentieri appena tracciati nella foresta, ne vedono di tutti i colori: violenze e stupri. Alla fine del lungo pellegrinaggio arrivano sulla costa e, insieme con altre persone adulte e non, uomini e donne, vengono fatti salire su gommoni, poi su una nave alla volta dell’Italia. Sbarcati vengono tutti ammassati, adulti e non, in una struttura di prima accoglienza e anche qui vedono con i loro occhi brutture di ogni genere.

Fermatevi un attimo a riflettere quanto possa avere inciso su di loro, sulla loro mente, sul loro inconscio, sui loro pensieri, sulla loro formazione quello che hanno vissuto dopo essere stati strappati dal loro ambiente, dalle loro famiglie. A questo punto potrebbero finire chissà dove: spaccio, vittime di violenza sessuale, per il traffico di organi. Invece, nella disgrazia, sono fortunati perché vengono avviati a una struttura organizzata per accogliere bambini di ogni età, a volte accompagnati dalla madre naturale, perché ci sono anche donne che si fingono madri e tali non sono.

Questa è una struttura dove lavorano persone anche giovani che hanno passione per il loro compito. I tre cuginetti sono spaesati: non parlano la lingua e hanno forti difficoltà a capire e a farsi capire, oltretutto traumatizzati da quanto hanno vissuto. Le operatrici li comprendono e con affetto e pazienza iniziano il lavoro di ricostruzione, sia fisica che psicologica. I tre imparano in fretta, iniziano a relazionarsi con gli altri ospiti, socializzano giocando, iniziano a conoscere un mondo nuovo, diverso dal loro, ne prendono consapevolezza e dopo molti mesi sono pronti per essere dati in affidamento a una famiglia. Ora che si sono integrati possiamo rimandarli indietro?

Fernando Pallocchini

21 giugno 2024        

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