Per la serie tutta maceratese di “Quelli che…” cancellare la non (secondo loro) cultura

Qualche tempo fa, spinto da un impulso emotivo conseguente la lettura di una “grida” apparsa sulla rivista culturale di UniMC dal titolo “To Cancel or not to Cancel Quando è necessario cancellare la non cultura”, ho buttato giù in quattro e quattr’otto un pezzo sull’assurdità, a mio sommesso avviso, di proporre la cancellazione delle tesi storiche che contrastano con la storiografia ufficiale, soltanto perché tali, senz’altra spiegazione.

Differenza tra “storia” e “storiografia” – Perdonatemi il tedio, ma ho scritto “storiografia”e non “storia” perché per il nostro passato remoto noi siamo a conoscenza non già degli accadimenti reali, come potrebbero essere i filmati di una scena qualunque in un momento qualunque, una manifestazione di popolo o uno scontro armato o una seduta alle Nazioni Unite, ma di come questi accadimenti antichi ci sono stati narrati e ricostruiti. Storico è chi si è occupato della questione e storiografia è come ce l’hanno raccontata.

La narrazione storiografica è scienza? – Di recente è venuto di moda definire scienza la narrazione storiografica e chi se ne interessa per mestiere, magari in quanto insegnante, è uno scienziato della storia e, automaticamente, scientifici sono i suoi metodi di interpretazione personale delle testimonianze del nostro passato. Interessandomi di tali argomenti, ho sentito anch’io come membro della comunità socioculturale nostrana in senso lato,“il compito etico di intervenire”, non per “correggere su queste tematiche esposizioni prive di rigore scientifico e fondatezza” (che per me sono in massima parte quelle ufficiali, originate da pressappoco sei secoli di storiografia orientata a fini politici), ma per offrire al lettore e al suo giudizio i miei convincimenti sulla vexata quaestio, soprattutto per capire in cosa consista la mancanza, continuamente sottolineata, di un astratto “rigore scientifico” in chi propone tesi divergenti da quelle degli storiografi più in voga.

Un progetto europeo di “ripulitura” della storiografia – L’articolo in questione è conseguenza, ho letto, della partecipazione delle cattedratiche firmatarie a un progetto nazionale di ricerca dei falsi storici, aderente, da quanto ho letto, “al dibattito internazionale sull’opportunità di cancellare le superfetazioni storiche che un’epoca ha prodotto su un’altra”. La questione è di per sé plausibile, essendo anche mio, il comprensibile desiderio degli storici di approssimarsi alla verità, ma in questa disciplina la “verità” non è mai esprimibile con una equazione, ma è frutto, evidente nei testi, di opinioni e orientamenti diversi. Se così non fosse, non ci sarebbe un progetto addirittura europeo di “ripulitura” della storiografia, indice del fatto che la storiografia è partigiana e facilmente menzognera, e lo è sempre stata, in bona o mala fide degli storici, perché, come scrisse un filosofo dell’Ottocento, la storia non si scrive per ricordare il passato, ma per giustificare il presente.

Contro le tesi del professor Carnevale – Nell’articolo in questione che tranciava senza mezzi termini le tesi di Carnevale, comparivano continuamente riferimenti astratti a scientificità, rigore di analisi critica e professionalità degli addetti, senza alcuna precisazione di merito riguardante accadimenti o loro interpretazione storica fatta da don Giovanni e, solo per principio, da contestare.

Contro gli storici tedeschi – Non essendoci metodologie codificate da seguire per scrivere storia, cito le considerazioni in merito di due grandi della cultura mondiale. Il primo è lo statunitense Sanders Peirce, Il testo in questione di  cui riporto le frasi conclusive è stato pubblicato postumo nella raccolta dell’Università dell’Indiana, col titolo ‘On the logic of  Drawing History from Ancient Documents, Especially from Testimonies’. Parlando degli storici Tedeschi dice  “…Essi si sono quindi dotati di due difese contro la testimonianza storica: se la storia in questione appare loro in una qualche misura improbabile la rifiutano senza scrupoli, mentre se in essa non ci sono segni di improbabilità sarà oggetto della pesante accusa di essere troppo probabile. In questo modo essi si riservano una nobile libertà nel costruire la storia che più soddisfa le loro opinioni soggettive”. Il secondo è francese: Fustel de Coulanges, che scrive un libello dal titolo QUESTIONS CONTEMPORAINES Librairie Hachette terza edizione postuma 1919. Riferendosi anch’egli ai metodi degli storiografi Tedeschi conclude:“…I suoi storici formano un esercito organizzato. Al suo interno ci sono capi e soldati. Ogni nuovo arrivato segue un capo, lavora con lui, per lui, e rimane a lungo anonimo come il soldato; più tardi diventerà capitano e venti teste lavoreranno per lui […] Ogni piccola truppa ha il suo compito, il suo motto, la sua missione e il suo obiettivo. È stato predisposto un grande piano generale, ognuno compie la sua parte. Il piccolo lavoratore non sa sempre dove viene condotto, segue il percorso indicato”. Non ritengo di dover commentare aspetti “scientifici” salvo il constatare che per questi lasciti storiografici, ancora oggi considerati verità storiche inopinabili, sarebbe opportuna un’analisi critica alla ricerca delle vere Fake News, che con altre definizioni e per altre finalità spiegano Peirce e Coulanges.

Fonti materiali e fonti documentali – Tornando alla questione: la condizione umana è caratterizzata anche da accadimenti e situazioni immateriali, come l’esercizio del potere o il gusto del bello, le cui tracce si riflettono anch’esse nei lasciti di cultura materiale (altrimenti la preistoria non sarebbe investigabile in termini socioculturali). Purtroppo e per fortuna, l’uomo ha inventato la scrittura e con questa la materializzazione, seppur virtuale, della fantasia e dell’invenzione: caratteristiche talvolta difficilmente percettibili, dell’uman pensiero che entrano pesantemente nel contesto dei lasciti culturali che fanno storia, le cosiddette “fonti documentali”. Per questa compresenza di testimonianze materiali e immateriali la narrazione storica è soggetta alla valutazione individuale che può essere certamente condotta con rigore metodologico, ma non è misurabile parametricamente perciò non è scientifica.

Le visioni alternative e la domanda – Per questo è sensato ripercorrere la storia e proporre, se del caso, visioni alternative e qui è l’inghippo. In mancanza di un metodo chiaro, esplicitato e riconoscibile, anche la revisione diventa partigiana e frutto della preparazione dell’estensore, pur se ammantata di pretesa scientificità. Gli oppositori della tesi carnevaliana dell’esistenza di una prima Francia nella nostra regione, anziché approfondire l’argomento, soprattutto cercando di rispondere al quesito “perché abbiamo studiato una storia enormemente differente da quella proposta dal Carnevale?” lo vorrebbero cancellare.

L’errore marginale e i grandi interrogativi senza risposta – Quei cattedratici cui compete istituzionalmente la ricerca storica, si sono sempre e solo concentrati e incattiviti su un marginale errore di identificazione funzionale del monumento carolingio oggi noto come Abbazia di San Claudio, errorino facile da contestare. Gli elementi invece da “analizzare criticamente” sono i grandi interrogativi senza risposta della storia dell’Alto Medioevo, accettati come dogmi senza porsi una domanda basilare come: il passato più remoto dei Franchi a chi appartiene, ai Francesi o ai Tedeschi? Tutti conoscono a grandi linee la storiografia medievale: alla caduta dell’impero romano, compaiono i Franchi ovvero i Merovingi, ci sono varie ipotesi sull’origine di questi, ma nessuna è coerente con la cultura manifestata dal presunto popolo franco-merovingio. I Francesi vogliono i Merovingi originari della Francia attuale a partire dal divinizzato Meroveo, i Tedeschi li vorrebbero originari dell’Olanda (Lacus Flevus, oggi Ijsselmeer) poi diventati Frakkr ovvero i valorosi, e poi Frank. Per non far litigare i baroni tedeschi fra loro, la intellighenzia bismarkiana scrisse che sono Frank le etnie confederate dei tre ceppi germanici indicati da Tacito: Ingaevones, Instaevones, Erminones, che non sono certamente Merovingi come Dagoberto, Clodoveo, Chilperico. Non esiste una sola riga originale di queste ipotesi romantiche diffuse agli albori del medievalismo nell’Ottocento.

I Franchi e il latino – Il solo dato certo del passato remoto dei Franchi è che la loro presenza storica è documentata solo ed esclusivamente in Latino, fin dalla loro prima apparizione sul palcoscenico europeo. Come in ogni altra parte del mondo, la situazione più logica è che se sono palesemente di cultura latina, siano anche di origini centroitaliane come la loro lingua madre. Oggi possiamo considerare totalmente decaduto lo stimolo del “Sanctus amor patriae dat animum” che guidò le opere degli storici ottocenteschi dell’MGH e riconsiderare la credibilità del caso unico al mondo dei Franchi “germanici” vincitori, che non solo adottano la lingua degli sconfitti, ma ne adottano anche la cultura giuridica, letteraria e mitologica, in pratica identificandosi con loro. Dalle fonti scritte i Franchi si dimostrano in tutto e per tutto Romani, fino a ricrearne l’impero con Pipino il Breve e Carlomagno addirittura si titola patrizio romano; poi, dopo circa cinquecento anni (mica sei mesi), al disfacimento dell’impero, abbandonano il Latino e per la vita quotidiana si mettono a scrivere nel loro dialetto nativo (giuramento di Strasburgo) cosa che non hanno fatto mai in precedenza anche se conoscevano per forza l’alfabeto. Questo comportamento eccezionalmente eccezionale non ha altri esempi in alcuna epoca e nel mondo intero ed è una palese forzatura.

I ricercatori italiani – I ricercatori dei nostri istituti accettano queste ambiguità come dogma indiscutibile, glissando anche sul fatto che in Germania non esiste alcuna traccia archeologica dei Pfalz carolingi e neppure dei grandi monasteri storici, se non dopo il Milletrecento. La storia non può esistere senza tracce fisiche, che qui da noi abbondano, ma non hanno storia mentre è il contrario in Germania che ha tanta storia scritta, ma è senza i relativi monumenti come sostiene anche il bavarese Eribert Illig. Questo assurdo non conta nulla di fronte al mantenimento degli equilibri di potere fra atenei europei, perciò davanti a una proposta alternativa è meglio negarla e incattivirsi su un marginale errore di etichettatura del monumento carolingio, che i “sanclaudisti” continuano a sostenere offrendo sempre lo stesso pretesto ai denigratori.

Usare i laboratori di analisi per le datazioni – Ciò che da anni insisto si dovrebbe fare ed è una onesta ricognizione del nostro capitale culturale Alto Medievale, che non esiste oltralpe, svecchiando i criteri di datazione basati sulle fonti scritte (che da noi compaiono solo dal X secolo) ma, se si vuole fare per davvero una ricerca scientifica, anziché solo dichiarazioni di principio, è necessario usare i laboratori di analisi per datare laterizi, malte, legni, scheletri eccetera, datare correttamente e censire la gran quantità di monumenti e poi chiedersi chi aveva il potere politico ed economico per finanziare, ad esempio, le centinaia di monasteri benedettini ante decimo secolo del territorio. Analizzare le testimonianze del fenomeno dell’urbanizzazione sulle colline, spiegare la filologia dei toponimi, studiare il perché persista oggi la stessa rete stradale antica, ricercare i dati sismologici dei terremoti storici che funestarono l’Aquisgrana carolingia (documenti originali al Vaticano) e verificare dove tali dati corrispondono alle mappe europee del rischio sismico. Nel collazionare questi dati oggettivi di cultura materiale con le fonti scritte non trascurare la memoria popolare, che mai ha dimenticato, nonostante sei secoli di negazionismo papalino. Per ultimo chiedersi chi poteva avere interesse politico a traslocare la memoria storica dei Franchi Piceni da casa loro fin su in Germania. Infine indagare criticamente sul perché questa operazione di chirurgia storica papalina d’età umanistica sia stata entusiasticamente accolta dall’intellighenzia bismarkiana.

Un ultimo mistero – Cercare magari di dare una spiegazione logica al fatto che la cittadina termale romana di Aquis Villa in Renania, che si vuole Aquisgrana la capitale imperiale per almeno 4 secoli e in cui firmarono diplomi intere dinastie di imperatori carolingi, sassoni e svevi, se mai l’ha avuto, come abbia potuto perdere il suo nome importantissimo diventando Bad Aachen per i Tedeschi e Aix la Chapelle per gli eredi della “franchità” cioè i Francesi, due genti culturalmente assai differenti che si sono spartite i Pipinidi e i Carolingi per nutrire i rispettivi nazionalismi romantici ottocenteschi. Oggi, per quell’acqua passata che non macina più, ossia le ragioni di stato che hanno condizionato la storiografia romantica del nostro Medio Evo, ritrovare le origini della mistificazione mi sembra molto più importante che non smascherare la ‘Bufala della Gioconda’, che non è una mozzarella toscana.

E la Gioconda è lì a sorrider divertita…

Medardo Arduino

2 giugno 2024

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