Mi è passato sotto mano un libretto pubblicitario del 1928 ed è stato interessate visionarlo per fare un esame su cosa eravamo. La “reclame” è in ricordo del sarto dei big della mia città, un sarto molto bravo che serviva le più agiate famiglie, e sul quale mi raccontarono una storia davvero simpatica.
Come sapete anche oggi, nel campo delle calzature e delle borse, chi fa il taglio conto terzi, grazie a indubbia bravura, girando e rigirando il modello, riesce a far uscire dai pezzi di pelle qualche manufatto in più, per sé o per qualche cliente, senza che il padrone della fabbrica se ne accorga. La stessa cosa avveniva, un tempo, per i sarti e le sarte ma nel caso dell’artigiano in oggetto il “furtarello” era accompagnato anche da una simpatica cantilena. Quando il cliente gli portava una pezza per fare un abito, lui la misurava e poi la girava e rigirava osservandola bene per capire se c’era una sua “convenienza” non confessabile.
Una volta gli si presentò un cliente che, consegnata la stoffa, gli chiese se era sufficiente per fare, oltre il vestito, anche un secondo gilet, che al tempo veniva chiamato “panciotto”. L’artista dell’abbigliamento iniziò a manovrare il pezzo di stoffa e, forte della sua esperienza, cercava di capire cosa avrebbe fatto durante il taglio. Mentre esaminava la stoffa sussurrava a se stesso: “Se mi ci esce non ti ci esce. Se ti ci esce non mi ci esce”. Il cliente non capiva, ma presto arrivò la sentenza: “il secondo panciotto non ti ci esce”. Sembra, però, che nei giorni a seguire un bambino arrivò a messa con un paio di pantaloncini corti fatti, apparentemente, con la stessa pregiata stoffa dell’abito in questione. A buon intenditor… poche parole.
Alberto Maria Marziali
7 maggio 2024