San Benedetto Giuseppe Labre, il “Vagabondo di Dio” che transitò per Montolmo

Il francese Benedetto Giuseppe Labre (1748-1783) è un santo che stonerebbe con il mondo di oggi che ricerca ricchezza e benessere, vita comoda, diritti a ogni costo senza doveri. Nell’ultima lettera del 31 agosto 1770 diretta ai genitori, li ammonisce a “pensare alle eterne fiamme dell’inferno e al piccolo numero degli eletti”, riflessioni stridenti con l’inferno vuoto di cui tanti eccelsi prelati predicano.

Fu detto il “vagabondo di Dio” e il suo monastero, dopo l’abbandono dei trappisti per motivi di salute, fu la strada. Passò gli ultimi 6 anni di vita a Roma dormendo dove capitava o, come si ricorda, sotto un arco del Colosseo coperto di una veste lacera: possedeva solo un Vangelo, un breviario, qualche libro e l’inseparabile rosario. Viveva di offerta, non elemosinava e donava ai poveri il superfluo. Pregava in continuo ed era spesso in contemplazione in chiesa. Ogni anno faceva il pellegrinaggio alla Santa Casa; aveva girato l’Europa a piedi visitando i maggiori santuari.

Passò per Montolmo e, come scrive Claudio Principi in “Pellegrinaggio a Loreto”, aveva pernottato sotto “il portico che prospetta il palazzo Municipale [ora distrutto] e orando davanti la statua dell’Immacolata ivi esposta”. Il portico sarebbe essere quello della chiesa di San Francesco all’entrata dell’attuale scuola media Manzoni, in origine ingresso del convento francescano in piazza Corridoni. Nel 1474 il Municipio di Montolmo aveva fatto costruire presso il palazzo comunale una chiesa intitolata a Santa Maria di Gesù, o della Misericordia: di lì a poco fu istituita la confraternita del S.S. Sacramento con sede proprio nella detta chiesa. Questa creò nell’edificio una cappella ove collocò la statua della Vergine lauretana. E forse è proprio questa la statua davanti cui pregava il Labre: non ritengo che ci fosse una immagine sacra sotto il portico del convento.

Va ricordato che alla fine del XVIII secolo fu eretta una pregevole copia in legno dorato della Santa Casa di Loreto sorretta ai lati da 4 angioletti con sopra la statua della Madonna con Gesù Bambino in braccio: opera oggi collocata nella chiesa di San Donato. Si narra una bella storia: una donna dopo aver fatto suonare alla figlioletta, che teneva in braccio, la campanella posta sul tetto del campanile della copia della Santa Casa, le disse che il Bambinello si era girato e le aveva sorriso. La bimba confermò il racconto della madre e la notizia del miracolo ben presto si diffuse. Iniziò allora l’usanza di portare i piccoli  il 10 dicembre, giorno della festa della Madonna di Loreto, a suonare la campanella. Ricordo i miei nonni che mi portavano a farlo e ne ero felice. Ma questa bella usanza, come tante altre, è scomparsa inghiottita dalla razionalità e dalla perdita della magia del sogno. La “casetta” della Madonna, come veniva chiamata dai bambini, fu posta nel 1855 nella chiesa di San Pietro e Paolo per invocare l’aiuto della Vergine contro il colera che imperversava, con la promessa solenne del popolo di festeggiare per 10 anni consecutivi, solennemente, la festa della Natività di Maria.

Forte era la devozione alla Vergine Lauretana, specie nella Marca e Sisto V,  Felice di Peretto da Montalto (1521-1590), Papa dal 1585 alla morte, volle ingrandire la città di Loreto ma, fallito il piano di unirla a Recanati, fece elaborare dagli architetti Fontana e Flamini un piano per ingrandire il comune. Per assecondare il Papa, il governatore della Marca Giulio Schiaffino con bando del 17 novembre 1587, invitò i castelli e le terre marchigiane a costruire una casa in Loreto. Nel 1588 molti comuni tra cui Montolmo avevano già fabbricato una dimora sul posto. Il santo Giuseppe Labre sostava a Montolmo nei suoi pellegrinaggi da Roma per Loreto, deviando dalla normale “Via Lauretana” che prevedeva un tragitto più breve, che da Tolentino andava a Macerata e quindi a Recanati per arrivare alla Santa Casa.

Forse visitava qualcuno del paese allungando di un po’ il viaggio ma pure perché, come diceva lui stesso: “io vado sempre fuori di via”. E ciò in quanto amava fare il viaggio solo, fuori dalle strade battute, concentrato sulla preghiera. È vero che nel 1589 Camilla Peretti, sorella di Sisto V, si fermò a Montolmo nel suo pellegrinaggio per Loreto ma ella aveva fatto un itinerario più lungo essendosi fermata in Ascoli per 4 giorni nell’ottobre dello stesso anno. Partita da Roma l’11 settembre, aveva soggiornato a Montolmo lo stesso mese ma il mese seguente si aggirava ancora per la Marca omaggiata e riverita: più che un pellegrinaggio era una vacanza a tappe! A Montolmo si era costituito un comitato per ricevere la nobildonna nel convento dei Zoccolanti, comitato di cui faceva parte il Capitano Cornelio Bongiovanni, che aveva partecipato alla battaglia di Lepanto (vedi La rucola 245 p 24). La Marca stava subendo una grande carestia: i deputati della Congregazione Provinciale nel settembre 1590 nominarono procuratori della provincia Marino Mannozzini da San Severino e il detto Bongiovanni affinché “data la grave carestia comprino grani in qualsiasi parte del mondo”. La sorella del Papa, soddisfatta e riconoscente per l’accoglienza di Montolmo, fece emettere una bolla in cui la comunità era esentata dalla “gabella del Sale” in perpetuo, e tale norma durò fino alla fine del XVIII sec.

Va ricordato che Giuseppe Labre operò miracoli, sia in vita che post mortem, nel maceratese e nella stessa Montolmo. Nel 1782, suo ultimo pellegrinaggio lauretano, si fermò a Tolentino e donò una medaglia a Caterina Gentili che la rifiutò, forse per non privare del poco che aveva il pover’uomo. L’anno seguente uno strano pellegrino che si dichiarava compagno del santo, riconsegnò la medaglietta alla Gentili dichiarando che l’avrebbe potuta usare per la guarigione dei malati se fosse stato utile per la loro anima. Caterina accettò la medaglia, il pellegrino uscì dalla casa e scomparve letteralmente nella strada. La medaglia aveva da un lato la Vergine che donava il rosario a San Domenico e dall’altro attributi della Passione. Ben presto la donna si avvide che il contatto della medaglia, preceduto dal segno della Croce, produceva innumerevoli guarigioni. La notizia si diffuse ed erano sempre più i fedeli che chiedevano l’intervento della Gentili. Si ricordano miracoli a Tolentino, Camerino, San Severino, Macerata, Gualdo. A Montolmo nel settembre del 1785 si presentarono a Caterina tre bambini affetti da scrofolosi: la piccola Teresa Rossi accompagnata dalla madre Cecilia con la  mandibola infiammata e gonfia, e i due figli del Castellani, sempre accompagnati dalla madre, Alessandro e Teresa che non erano certo meno gravi della prima. Tutti arrivarono tristemente sfigurati in viso ma ritornarono a casa dopo il contatto della medagliette “più sani di quando erano nati”.

Al di là dei miracoli che tramite la sua intercessione avrebbe eseguito, il Labre resta un personaggio a detta di tutti i contemporanei straordinario per fede, povertà, abnegazione. Scriveva padre Temple che lo aveva conosciuto e confessato a Loreto: “La sua profonda povertà gli ha donato l’abbondanza delle ricchezze della sua semplicità”. Fu beatificato da Pio IX nel 1860 e santificato da Leone XIII nel 1881 con la seguente motivazione: Pellegrino francese, preso fin dall’adolescenza dal desiderio di un’aspra vita di penitenza, intraprese faticosi pellegrinaggi a celebri santuari, coperto soltanto di una povera e lacera veste, nutrendosi soltanto del cibo che riceveva in elemosina e dando ovunque esempio di pietà e penitenza; fece di Roma la meta ultima dei suoi viaggi, vivendo qui in estrema povertà e in preghiera.

Modestino Cacciurri

5 aprile 2024

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