La recente scomparsa di Matteo Ricucci, medico e scrittore di talento che tutti conosciamo, ce lo fa ricordare con affetto e rimpianto. Nato a Monte Sant’Angelo nel Gargano, dove ha vissuto l’infanzia e molto del tempo in cui s’è costituito il suo immaginario d’artista, di narratore e di poeta, Ricucci ha poi irrobustito la formazione culturale e professionale, a Bologna nel periodo universitario che ha concluso brillantemente laureandosi in Medicina; poi nelle Marche, a Macerata, dove ha iniziato a esercitare la sua professione di medico e dove ha incontrato Caterina, il suo grande amore, musa ispiratrice e assistente nella vita e nel suo lavoro creativo, e dove ha avuto la gioia in un figlio, Massimiliano, che lo ha assistito sino all’ultimo.
Una esistenza vissuta in concretezza di pensiero e di opere, gremita di progetti sia professionali che artistici; Ricucci ha mantenuto intatto il suo bagaglio di sentimenti, la generosità e l’impeto tipico della sua terra garganica, vivendo di affetti, di amicizia e di slanci, che a volte cozzavano con la riservatezza del carattere marchigiano, frenato spesso oltre il necessario. Ma egli ha agito senza limitare la sua indole, espressa nelle sue opere con sentimento e spontanea generosità, guadagnando stima, ammirazione e affetto, da numerosi amici che ne hanno condiviso le passioni.
La produzione letteraria e poetica, i molti interessi artistici e culturali, lo hanno portato a essere colto collezionista, storico, saggista e poeta di grande sensibilità, libero e sincero al di là di ogni astuzia e strategia, mostrando a ogni occasione la sua fresca spontaneità. I suoi romanzi, la sua opera poetica, conservano in ogni pagina il rigoglio della sua infanzia. Ricucci è stato membro dell’Accademia dei Catenati e ha svolto un’attività giornalistica collaborando con riviste culturali di varia ispirazione e periodicità.
Come autore ha esordito in campo letterario nel 1963 pubblicando la raccolta di poesie “Un’anima nella clessidra”, con cui vinse il premio al concorso nazionale di poesia bandito dal “Convivio Letterario di Milano”. Pubblicò in seguito altre raccolte di poesie, come “Castelli di sabbia” nel 1970 e nel 1977 “Tra le dita del vento”. Nel 1983 uscì “Cavalcando le nuvole”, quarta raccolta di liriche che gli valse il 4° premio nazionale di poesia Città di Venezia, e nel 1992 “I silenziosi passi della sera”.
Nella narrativa Ricucci esordì nel 1980 con il volume di racconti “Lungo le mura sotto il sole”, primo premio in un concorso nazionale patrocinato da Leonida Repaci (1982). Nel 1982 pubblica il suo primo romanzo, “Il rosso fiore della violenza” dove analizza alcuni aspetti, anche negativi, delle nuove generazioni, rieditato alcuni anni dopo, a puntate, su “La rucola” di cui è stato affezionato sostenitore. Del 1986 è il suo secondo romanzo “L’orlo dell’ombra”, vincitore del Premio al Città di Roma. Nel 1990 esce il terzo romanzo “La follia sull’altalena”, premiato a Messina nel 1991. Nel 1999 ha pubblicato il romanzo“Giovanna d’Angiò” che gli valse il 2° premio al Città di Pontedera nel 2001. Ha inoltre pubblicato “Animalia” (racconti) novembre 2002, “Il leone d’Africa” (romanzo), nel giugno 2004, “Blu tango” (poesie) nel luglio 2005, il libro di saggistica “Le silenziose orme del tempo”, “Il profumo del sangue”, romanzo spirituale, e “La lanterna di Diogene”, (poesie). Nel 2015 esce “La nave dei sogni e il marinaio mancato”, romanzo autobiografico, che può essere letto come testamento spirituale e umano.
Uno studio accurato e profondo di tutta l’opera di Matteo Ricucci ci viene offerto da Carla Canullo, docente all’Università di Macerata, che a proposito della produzione poetica annota: “Un esprit de finesse conferisce alle poesie di Ricucci la capacità di attingere la vita nella semplicità del quotidiano, di portare a manifestazione il quotidiano vivente. Non mette il lettore di fronte alla difficoltà di entrare nel mondo del poeta, ma lo guida a guardare con altri occhi il suo mondo… l’ordinario e il semplice svolgersi del quotidiano. Cercando un motivo con cui si invita a leggere l’umano esistere, lo si potrebbe indicare proprio nella goccia, tema ricorrente: perché la goccia è l’elemento più semplice, solito e usuale; semplice ma anche complesso, perché aggiunge, si dilata, si carica di sé divenendo altro, pioggia; ma anche scava, erode, consuma, rivelando la forza della sua apparente semplicità”.
Altro efficace esegeta dell’opera di Ricucci è stato padre F. Taronna, amico e conterraneo, che scrive: “Nelle sue opere, il Ricucci, forse inconsapevolmente ma secundum garganicam eius naturam, vive e fa vivere tre anime letterarie abbordandole, come sa fare lui, una per volta con il naturalismo, con il verismo e infine con il realismo tratteggiandole e addomesticandole con sottili ma efficaci pennellate …Se lette con accortezza nei diversi passaggi di pensiero, ti immettono in una o in tutte e tre le suddette correnti letterarie, come in tre anime distinte e separate, una diversa dall’altra ma convergenti verso l’unica poetica “Ricucciana”.
Chiamato a dir la sua in una recente intervista pubblicata da questa rivista, Ricucci afferma di sé: “Ho vissuto la mia infanzia a stretto contatto del mio Nonno paterno che era un autentico e spontaneo corifeo degli antichi miti garganici che la mia anima, avida di sogni, celava agli adulti e narrava ai suoi compagni di giochi. Poi arrivarono, come misteriosi messaggeri, le mitiche storie dei “fumetti” in bianco e in nero e anche a colori che ci hanno accompagnati per tutta l’infanzia. I romanzi infine, di ogni tempo e di ogni stile, merce preziosa per un cervello ingordo di nuovi mondi da esplorare e crearsi così strumenti mentali di ricerca. Ho spesso citato nei miei racconti la mia passione per la narrativa marinaresca e per l’Accademia Navale di Livorno che avrei voluto frequentare, sogno svanito per colpa di un’otite da me trascurata. Per consolarmi scelsi di frequentare Medicina nel “mitico” ateneo di Bologna, suggestionato anche dalla figura del nostro medico condotto, uomo di notevole cultura e umanità!”
A distanza di pochi giorni dalla scomparsa di Matteo Ricucci, chi scrive queste note, essendogli stato amico e corrispondente sino all’ultimo, riprendendo in mano alcuni suoi libri a cui egli tanto era affezionato, non può non soffermarsi su alcune dediche che usava scrivere nell’atto di farne dono: vi sono parole ordinate con calligrafica eleganza, e di tale intenso sentimento (quasi sempre ad accompagnarle ricorre il nome della sua amata Caterina) che rendono quasi impossibile non ripensarlo con affetto e con commozione per quel che è stato, per le sue grandi doti di intelligenza, generosità e umanità.
Lucio Del Gobbo
21 febbraio 2024