Cercando, sfogliando, spinti dalla curiosità, capitano sempre delle letture interessanti. La rivista mensile illustrata “Picenum” è una di queste: per un ventennio pubblicò articoli dedicati alle più svariate tematiche artistiche, principalmente riguardanti il territorio piceno. Fu edita a Roma dal 1906 al 1922 presso diverse tipografie. Nel 1917 non uscì. Cessò l’attività nel 1922 con un numero doppio di settembre e l’ultimo fascicolo “novembre-dicembre” fu stampato ma non distribuito, tranne rarissimi esemplari. La rivista fu fondata da Roberto Gabrielli (1876-1952), artista, scrittore e studioso d’arte ascolano, che affidò la direzione a Nada Peretti.
Nel 1905 Gabrielli aveva fondato la “Rivista Marchigiana Illustrata”, diretta da Domenico Spadoni, rivista che nel 1906 divenne “Picenum” e passò quindi come detto alla Peretti che risulta in seguito anche proprietaria: una scrittrice nata a Morrovalle nel 1875 che approdò al giornalismo nella capitale e fu attiva nella narrativa e nella critica storica-politica. Un personaggio sicuramente di rilievo, purtroppo “perso” e ricordato quasi esclusivamente per il suo “scandaloso” romanzo di 342 pagine “L’eredità di Saffo”, pubblicato con lo pseudonimo di Fede, che creò sconcerto nella Roma monarchica-papalina di inizio secolo. Giuseppe Vannicola (1876-1915), artista poliedrico nato a Montegiorgio, definito “l’ultimo bohémien” tra gli scrittori del suo tempo, si prodigò nella calda estate romana del 1908 a distribuire volantini a difesa di Fede, urlando improperi all’indirizzo di certi senatori “vecchi e infrolliti”, che avevano paura “dei poeti e delle donne giovani e belle”. Non si può negare che il libro presenti episodi molto forti e scabrosi: non si tratta solo di amori saffici.
“Dedico queste pagine a colei che si oppone al sano scorrere della vita e a tutte le altre donne che ho incontrato che vivono nel loro infinito e spietato tormento e le cui storie sono qui raccontate”.
In un episodio ambientato in un collegio femminile di Lugano, in piena eccitazione sessuale la “brutta” Giulia deflora con un crocifisso staccato dalla parete la bella e sottomessa Gina e come se non bastasse ne beve addirittura il suo sangue: immaginate quale! L’autrice, forse con un velo di morale di facciata si giustifica nell’affermare di aver scritto un romanzo di inchiesta scientifica in cui si indaga del perché di certi comportamenti: ma la domanda viene lasciata senza risposta (Fede non sa o non vuol dire il motivo) e onestamente, come già puntualizzato da diversi critici dell’epoca e odierni, la motivazione, almeno dichiarata dell’opera, non regge. Tralasciamo la feroce polemica che nacque con risvolti giudiziari per oscenità, riportiamo un passo di una delle repliche della Peretti: “Ella [l’autrice] è libera come l’aria, fatta come il granito, sfida tutti i convenzionalismi dell’ipocrisia sociale, tutte le insidie e tutte le invidie e non teme nulla né pure la malvagità del suo simile … pochissime signorine … avrebbero il coraggio di scrivere un libro simile … del resto io sono anarchica: non potrei essere quindi vicina al soglio”.
Notevole l’attività giornalistica della Peretti che spesso si firmava anche come “Nadiesda”. Abbiamo la sua descrizione fisica da parte dello scrittore Beppe Petrai (1853-1941) in una recensione su “Il Teatro Illustrato” del settembre 1908 in cui stroncava l’argomento de “L’eredità” ma apprezzava “la forma graziosamente letteraria” del libro: “una signora, ch’è giovane, bella, slanciata, bruna come una creola”. La scrittrice aveva una folta chioma nera raccolta sopra la testa come nelle classiche acconciature dell’epoca. E forse come urlava Vannicola, la bellezza della scrittrice, aveva 33 anni, creava ancor più scandalo e la descrizione del Petrai sembra davvero appassionata, come qualcuno rapito dalla bellezza, dal fascino irresistibile della donna. Dal 1906 al 1922 la Peretti tenne la direzione del “Picenum” con una interruzione durante il Conflitto Mondiale essendosi arruolata volontaria come crocerossina ottenendo diverse decorazioni per il suo coraggio e la sua abnegazione. Per meglio capire il suo pensiero, bisogna ricordare che la Peretti fece una scelta “interventista” consapevole.
Scrive Gaspare Squadrilli (segretario particolare di Farinacci) ne “L’Italia di Mussolini e gli italiani nuovi” (1929): “l’indimenticabile Nada Peretti … fu nostra compagna di lavoro prima al Popolo d’Italia edizione Romana durante il grigio periodo quartarellesco e poi al Giornale d’Italia donde era uscita nel 1924 perché a una vecchia e provata fascista come lei ripugnava la mostruosa campagna di opposizione al Regime e al Duce fatta dal quotidiano liberale di Piazza Sciarra: vi rientrò nella primavera del 1926 con l’amministrazione e la direzione fascista auspice e capo Enrico Corradini”. “Quartarellesco” è il termine usato dai fascisti per classificare il periodo con cui la propaganda e i giornali fascisti indicavano l’ondata di indignazione sollevata in Italia dall’assassinio di Matteotti (10-6-1924) di cui il corpo fu trovato per l’appunto alla Quartarella.
Quindi nel 1922 dopo la chiusura del “Picenum”, la Peretti collaborò con il prestigioso “Giornale d’Italia”, fondato nel 1901 da Sidney Sonnino, prima testata a introdurre la “Terza Pagina”. Bisogna però precisare che il “Giornale d’Italia” non fece di certo come scrive Squadrilli, (ovviamente di parte), una “mostruosa campagna di opposizione al Regime” e pertanto si deve dedurre che la Peretti abbandonò il “Giornale” e passò al “Popolo” poiché voleva sostenere attivamente Mussolini scrivendo nella sua testata durante l’unico periodo in cui il Regime fu messo in crisi. La Peretti, di fede anarchica come si definisce lei stessa, dopo la guerra come anche diversi personaggi della stessa Sinistra, evidentemente aveva aderito al Fascismo.
Dall’annuario dei “Giornalisti e Pubblicisti” del 1926, la scrittrice risulta residente a Roma nella centrale via Di Pietra 70 e tra le sue collaborazioni risulta: “Ex-dir. del Picenum; red. del Popolo di Roma”. Non si menziona il “Giornale d’Italia” forse perché era rientrata solo nel 1926. Sono anche riuscito a trovare un suo articolo del giugno dello stesso anno relativo a un’intervista allo storico Corrado Ricci (1858-1934) su “Le navi di Caligola nel lago di Terni”. Riguardo al “Popolo”, è da intendersi ovviamente “Il Popolo d’Italia”. Da una lettera dell’agosto del 1906, scritta del poliedrico intellettuale e medico Licurgo Tioli, indirizzata alla rivista “La Riviera Ligure” per presentare la “brava e buona collega della Patria” Nada Peretti, si deduce ovviamente che la stessa abbia anche collaborato a “La Patria” di Roma. Interessante della Peretti anche la sua voluminosa pubblicazione di circa 200 pagine “Gli scritti letterari di Giuseppe Mazzini” (1904), che ottenne un discreto riscontro critico anche se non unanime (vedi a esempio Gaetano Gasperoni in “La Romagna”, 1905 e “Musica e Musicisti”, 1904). Muore a Morrovalle il 7 marzo del 1927, dove si era ritirata prossima alla fine colpita da una lunga malattia “per la quale la scienza ancora non ha trovato il rimedio” (necrologio in “Rassegna grafica”, 1927). Scrive Claudia Salaris (“Eredità di Saffo. Un caso letterario”, 1982): “Morì…nel 1927 chiedendo perdono a Dio dei suoi scritti giovanili peccaminosi … ironia della sorte, indubbiamente la sua avventura esistenziale sembrò ricalcare un iter molto letterario, degno di un’eroina di un romanzo di appendice qual’era stata Fede: dopo la trasgressione il pentimento e le opere di bene”.
Ebbe solenni onoranze funebri organizzate dalla giunta municipale di Morrovalle e la tomba di famiglia è ancora visibile nel cimitero comunale. Ho potuto leggere un suo racconto breve, “Garofani rossi”, pubblicato nel libro “Dal salotto al marciapiede” (1905). La storia di un uomo che si strugge dal dolore per la partenza del suo amore, una donna sposata che torna dal marito dopo una lunga permanenza presso la villa della cognata del protagonista (“io l’amavo da folle”). I garofani rossi sono il mazzo di fiori che l’uomo disperato dona alla sua amata alla partenza del treno, gli stessi garofani che la donna, che aveva giurato perenne amore, getterà invece dal treno poco dopo la partenza facendo precipitare l’uomo, dopo la scoperta del gesto, nella disperazione totale (“dintorno a me agonizzarono tutte le cose”). La donna viene appena descritta: occhi azzurri, bionda dai capelli lunghissimi quando sciolti. Una lirica molto aulica, per certi versi eccessiva ma nello stile del tempo: in fondo un racconto disperato scritto in toni ridondanti, non disprezzabile valutato nella letteratura di inizio secolo.
Concludo con delle considerazioni. È interessante la riflessione di “Fede-Nada” sulla condizione della donna del suo tempo: “sospesa tra vecchi tabù in decomposizione e il miraggio di inevitabili capovolgimenti”. La Peretti era fortemente legata alla terra marchigiana di cui si vantava di essere figlia. Del resto lo stesso fine del “Picenum” era quello di divulgare fuori dalle Marche la cultura della regione. In un articolo della rivista del 1916, a firma Nediesda, risponde a un professore universitario marchigiano che rinnega con vergogna le sue radici. La Peretti mette in rilievo i grandi personaggi marchigiani e il contributo della regione allo sviluppo economico della nazione: una terra di grandi lavoratori che non si lamentano e nulla chiedono. E conclude: “Nelle Marche non esistono società industriali o comunali, ogni opificio è il prodotto di uno o di una famiglia”.
Avevo iniziato la ricerca per narrare degli articoli del pausulano Giuseppe Anghise Procaccini sul mensile “Picenum” ma poi, cercando notizie sulla redattrice Nada Peretti mi sono completamente perso nella sua figura. Ho tracciato una breve biografia, senza nessuna pretesa, non certamente con l’intento di essere esaustiva, cercando di cogliere lo spirito della donna, dell’artista, dell’intellettuale nella cultura di inizio secolo. Ho tralasciato invece volutamente quasi tutta la parte riguardante la storia e la critica letteraria dell’“Eredità di Saffo”, poiché, non lo dico con tono polemico, ultimamente è difficile toccare certi argomenti senza urtare la sensibilità di qualcuno e senza rischiare di uscire dal “politicamente corretto”. Spero che non me ne vogliate.
BIBLIOGRAFIA
Claudia Salaris, L’Eredità di Saffo. Un caso letterario, in L’Orsamaggiore, mensile di cultura e politica, 5/7/1982.
Maya de Leo, Mi morse le labbra, bevette il mio respiro, Vampirism and literary lesbianism in Homosexuality in Italian Literature, Society, and Culture, 1789-1919, Cambrige Scholars Publishing, 2017, pag.74-76.
Gaspare Squadrilli, L’Italia di Mussolini e gli italiani nuovi, Editore Pinciana, Roma 1929.
Fede, L’eredità di Saffo, Lux Editore, Roma 1908.
Lettera 38 di Licurgo Tioli a Mario Novaro in Riviera Ligure, II, 1906-1909, Roma 2002. Allegata lettera di Nada Peretti (Nadiesda) di presentazione.
Beppe Petrai, articolo in La quindicina teatrale a Milano e altrove in Il Teatro Illustrato, Anno IV, n.16, dall’ 1 al 15 settembre, Milano, 1908.
Gaetano Gasperoni in La Romagna, Rivista mensile di storia e di lettere. Editore: Tip.Coop Editrice, 1905.
Musica e Musicisti, Gazzetta Musicale di Milano, Rivista mensile illustrata, direttore Giulio Ricordi, gennaio 1904.
Necrologio di Nada Peretti in Rassegna grafica, Rivista mensile di Informazioni Tecniche, Industriali e Commerciali, Stabilimento Poligrafico Edit. Romano, 1927.
Nada Peretti, Garofani rossi, racconto breve nel libro Dal salotto al marciapiede, Roma 1905.
Archivio Mario Novaro, Genova. A cura dell’Università degli Studi di Genova. Scheda: 4095.
Nada Peretti, intervista a Corrado Ricci in Il Giornale d’Italia, 20 giugno 1926.
Annuario della stampa italiana ed europea 1926. Edito dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Roma.
Modestino Cacciurri
7 gennaio 2024