L´Abbazia di Santa Maria in Potenza di Porto Recanati si presenta oggi come un massiccio e disadorno edificio, dotato a levante di un avancorpo semicircolare culminante in una serie di colonnine e archetti, elementi tipici dello stile romanico. La struttura, ampiamente rimaneggiata nel corso dei secoli, ha ospitato per lungo tempo un monastero/ospedale retto dall’Ordine dei Crociferi; l’atmosfera che pervade il sito ricorda ancora l’importante ruolo rivestito dal centro religioso, soprattutto in età medievale.
I monaci Crociferi osservavano la regola agostiniana. Il loro Ordine era stato fondato in Italia intorno al 1125, allo scopo di garantire l’assistenza a poveri, malati e pellegrini: non a caso, essi erano soliti insediarsi in prossimità di ponti e fiumi o lungo strade molto frequentate. Fondata negli anni tra il 1160 e il 1180, l’abbazia divenne il principale insediamento dell’Ordine nella Marca e in breve tempo fu dotata di numerosi e importanti possedimenti.
La documentazione attesta che, nel periodo a cavallo tra il XII e il XIII secolo, papi e imperatori vollero occuparsi direttamente dello stato di benessere dell’hospitalis pontis Potentie; nel 1184 i monaci ricevettero addirittura la visita di papa Lucio III che fu loro ospite durante un viaggio che da Roma lo conduceva ad Ancona. È stato ipotizzato che la fondazione fosse in grado di dare accoglienza fino a 150 persone, una quantità considerevole per quella epoca.
Dopo la metà del Duecento, il territorio in cui sorgeva il monastero fu sottoposto alla giurisdizione diretta del Comune di Recanati. Fu così che i potenti del tempo persero interesse per le vicende del centro religioso che finirà con il dover rinunciare alla sua funzione politico-amministrativa, pur conservando il ruolo di importante ente assistenziale. Nel 1656 l’opera dei Crociferi cessò a causa della soppressione del loro Ordine, decretata da una bolla del papa Alessandro VII. Negli anni seguenti i beni dell’abbazia finirono, per disposizioni dei Sommi Pontefici, proprietà di diversi prelati ecclesiastici e i suoi terreni, un tempo curati e fecondi, si trasformarono in zone paludose e malariche. Questa situazione perdurò fino all’arrivo dei monaci Cistercensi, che qui giunsero nella seconda metà del Settecento. Essi, infatti, essi risultano insediati ufficialmente nel complesso a partire dal 1794, quando l’abbazia venne loro concessa da Papa Pio VI, ma con ogni probabilità erano già insediati dal 1783, probabilmente anche da prima. Fatto sta che i monaci Cistercensi riportarono l’abbazia al precedente splendore, chiesa compresa.
Nel 1808 Napoleone Bonaparte confiscò beni e strutture assegnandoli al regio demanio e nel 1812 li concesse al viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais che ne sarà proprietario fino alla morte (1824). Nuovamente trascurata nella sua manutenzione la proprietà ridivenne presto preda delle esondazioni del fiume Potenza e la zona tornò a essere malarica. Nella seconda metà dell’Ottocento, l’ex abbazia e le terre che da essa dipendevano passarono in mano a un gruppo di esponenti della ricca nobiltà romana. Fu tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento che la famiglia Volpini, attuale proprietaria dell’abbazia, intraprese l’opera di bonifica dei terreni e, successivamente, attuò il restauro del complesso abitativo con la trasformazione dell’antica cripta nell’attuale chiesa.
Chi giunge dalla strada statale, nota subito l’abside semicircolare di quello che fu l’edificio chiesastico, ornata alla sommità da una loggetta realizzata nel più puro stile romanico. Il tempio in origine doveva avere tre navate: quella di destra è oramai scomparsa e la parete innalzata per chiudere il fabbricato presenta tre ordini di finestre con aperture ad arco a tutto sesto. La navata di sinistra, di cui è ancora leggibile il perimetro originario, è stata invece ristrutturata per essere adibita a uso abitativo; con ogni probabilità il monastero era stato costruito su questo lato. Il fronte dell’edificio è preceduto da un avancorpo, lungo nove metri e alto otto, caratterizzato da un portico con archi a tutto sesto. Dell’interno ci rimane ben poco.
Al di sotto della zona presbiteriale, in quella che un tempo fu la cripta, oggi è ubicata una suggestiva cappella, ottenuta risistemando gli spazi destinati in origine alla sepoltura dei monaci. L’ambiente venne ripristinato e restituito al culto nel 1946, a seguito di un restauro piuttosto complesso: basti considerare che fu necessario aprire un nuovo ingresso sulla parete semicircolare dell’abside. La cappella presenta linee alquanto sobrie ed è dominata dal senso di severità che generalmente caratterizza le strutture monastiche del XII secolo. La copertura è formata da volte a crociera, sostenute da archi a tutto sesto poggianti su colonne realizzate in laterizio; sono degne di nota le caratteristiche cornici decorative che si dispongono lungo le pareti.
Per quanto riguarda l’apparato ornamentale, si evidenziano due opere pittoriche realizzate dal professore Cesare Peruzzi, nato nella vicina Montelupone (MC) ma recanatese di adozione. Queste sono: il trittico custodito sull’altare in cui è rappresentata la Madonna col Bambino, affiancata da San Bernardo a destra e da Sant’Antonio Abate a sinistra; e il grande dipinto del Cristo crocifisso, collocato tra i due archi che separano la zona cultuale da quella riservata ai fedeli. Per non alterare l’essenza del luogo, l’artista ha scelto di ispirarsi a modelli figurativi che sono tipici del romanico. Esternamente la struttura, che è delimitata da una cinta muraria chiusa da un imponente cancello in ferro, presenta un ampio giardino con alberi di alto fusto, aiuole bordate da basse siepi, gazebo e una serie di scenografiche strutture in modo che tutto l’insieme risulta essere un suggestivo luogo d’incanto. Infatti oggi l’abbazia di Santa Maria in Potenza è divenuta un luogo ideale, una cornice perfetta per coronare, con il matrimonio, una storia di amore.
a cura di Fernando Pallocchini – foto per gentile concessione di Alberto Monti
25 ottobre 2023