Premessa – Carlo Martello era morto nel 741 dopo aver stabilito buoni rapporti in Italia coi Longobardi ed essersi impegnato al di là delle Alpi per unificare sotto il suo comando la Gallia e bloccare l’avanzata degli Arabi. Tredici anni dopo la sua morte, dopo che era stata detronizzata in Gallia la dinastia dei Merovingi, suo figlio Pipino veniva creato Re dei Franchi da papa Stefano II. Pipino dopo essersi impegnato in due guerre vittoriose contro Astolfo, Re dei Longobardi, moriva nel 768. Gli successe sul trono suo figlio Carlo Magno che, dopo quattro anni di regno, eliminò Desiderio, ultimo Re dei Longobardi e si proclamò Re dei Franchi, dei Longobardi e Patrizio dei Romani.
Mai nella storia si era vista una così rapida ascesa di una dinastia che dalla condizione di esuli era salita al controllo unitario della Gallia, della Germania e della Italia centro-settentrionale. Questa rapida ascesa aveva anche portato alla nascita in Val di Chienti di Aquisgrana, un centro militare/politico/culturale, che avrebbe presieduto allo sviluppo dell’attuale Europa. Questa dinastia pur essendosi affermata nel Piceno, cioè un territorio bagnato per tutta la sua lunghezza dal mare, non aveva mai sognato di estendere il suo domino in paesi oltre il mare, pur accogliendo in Francia, come allora fu chiamato il Piceno, maestranze e uomini di cultura provenienti da paesi d’oltremare. Furono essi a far nascere in Aquisgrana e nella Francia picena quell’importante evento di civiltà che va sotto il nome di rinascenza carolingia, e a costruire, per Carlo Magno, un Palatium e una Cappella palatina per la neonata dinastia. Il grande prestigio acquistato da Carlo Magno, non solo in Europa ma anche presso le corti di Bisanzio e di Bagdad, indusse gli ambienti della curia romana a consacrare Carlo Magno imperatore in Roma, la notte di natale dell’800. La Curia romana credeva di poter liberamente condizionare il nuovo imperatore, per di più illetterato. Le cose andarono diversamente. L’imperatore era abile, scaltro, non influenzabile nelle sue scelte politiche, capace di dominare da solo gli eventi.
La conferenza del 9/5/2009 di Carnevale e Morresi
La conferenza riguarda il periodo imperiale della vita di Carlo Magno, cioè a partire dall’anno 801 e in particolare il tentativo di aprire al suo impero anche le vie del mare. Ai pochi elementi che le fonti ci forniscono daremo un collegamento cronologico-logico che permetta di aprire un discorso storico con nuove prospettive, mai tentato in passato perché la collocazione di Aquisgrana nel Nord Europa e non sulle sponde dell’Adriatico lo impediva. Carlo Magno dunque fu fatto Imperatore la notte di Natale dell’800. Il suo biografo Eginardo dice che la cosa avvenne contro la sua volontà e gli storici si sono invano affaticati finora a cercarne una spiegazione. Nel volume “L’Europa di Carlo Magno nacque in Val di Chienti”, ne è stata proposta una e cioè che egli avrebbe voluto sì divenire Imperatore, ma nella sua sede di Aquisgrana e senza l’intromissione della Curia romana. Fece comunque buon viso a cattivo gioco impegnandosi subito per tutto l’801 a muoversi tra le principali città italiane del neonato impero.
Regolata la posizione del Papa filo franco a Roma raggiunse Aquisgrana divenuta nei suoi piani il vero centro dell’Europa, quindi si spostò a Spoleto, e di lì a Ravenna, da dove inviò ad Aquisgrana la statua equestre di Teodorico. Con la visita a Pavia consolidò il suo controllo sull’Italia, né si preoccupò molto della Gallia e della Germania che non erano ancora in condizioni di percepire l’importanza del rinato impero romano. Inviò invece ambasciatori a Bisanzio, ove sedeva sul trono imperiale una donna, l’imperatrice Irene. Si era infatti profilata la eventualità dei matrimoni tra l’Imperatrice di Bisanzio e il nuovo Imperatore di Aquisgrana come pure di Rotrude, figlia di Carlo Magno con Costantino figlio di Irene ed erede al trono di Bisanzio. Il piano era ambizioso: la fusione delle due dinastie avrebbe portato alla nascita di un unico impero e avrebbe permesso a Carlo Magno di riunire nelle sue mani quel che restava dell’antico impero romano. La missione, come si vedrà, tornerà a mani vuote nell’ 803, perché durante la presenza a Costantinopoli dei messi carolingi, Irene era stata deposta ed era salito al trono Niceforo.
Carlo Magno sognava di dominare anche sui mari e per cominciare senza insospettire Bisanzio, con cui voleva mantenere buoni rapporti, nell’anno 802, incaricò suo figlio Pipino di conquistare la costa adriatica dell’attuale Abruzzo, controllata dai longobardi di Benevento. L’esercito si spinse lungo la costa adriatica occupando le città costiere di Ortona, Chieti e Istonium, oggi Vasto, prima distrutta e poi ricostruita come città franca, senza alcuna contromossa da parte di Benevento. Quando però fu conquistata anche Lucera, in Puglia, Benevento reagì vigorosamente e la rioccupò. La ragione va ricercata nel fatto che in Puglia confluivano gli antichi tratturi, già usati dai Sanniti e dai Romani. Dai pascoli montani dell’Abruzzo scendevano le greggi che si fermavano in Puglia per tutto l’autunno, l’inverno e metà della successiva primavera. Evidentemente i Franchi volevano porre le mani sui grossi profitti derivanti dalla transumanza, come la commercializzazione delle lane e dei formaggi, né i Beneventani erano disposti a perdere una tale fonte di profitto. L’Abruzzo però restò in mano di Aquisgrana che controllava così gran parte della costa orientale della penisola, ma non per questo poté sviluppare una sua politica marittima e munirsi di una propria flotta sull’Adriatico.
I Franchi erano irresistibili per terra, ma non avevano alcuna esperienza o vocazione alla navigazione. Già dal 755 quando strapparono ad Astolfo l’esarcarto di Ravenna e le città delle Pentapoli, in realtà non ne ereditarono lo spirito marinaro ma imposero un controllo feudale sulle città di mare che impedì ai locali cittadini di continuare a svolgere la loro attività marinaresca. Sull’Adriatico restavano ancora, in una situazione di semi-indipendenza, solo le città della laguna veneta, dell’Istria e quelle della Dalmazia, delle quali Bisanzio rivendicava, almeno nominalmente, il controllo. Carlo Magno aveva già tentato di annettersi queste città nominando un Duca d’Istria che a suo nome le controllasse. Già una diecina di anni prima re Carlo Magno in una lettera a sua moglie Fastrada del 791 aveva scritto che il duca aveva partecipato alla guerra contro gli Avari e che bene fecit cum suis. Dal Placitum di Risano risulta che questo Duca non aveva la sua residenza in Istria ma a Civita Nova, nelle immediate vicinanze di Aquisgrana, perché possedeva, oltre ad altri poderi, il Casale di Petriolo (Provincia di Macerata), Petriolum sul documento, da cui ricavava vino e olio; percepiva anche una tassa dal cancellarius di Civita Nova cioè da chi era preposto ai locali cancelli per riscuotere il pedaggio da chi giungeva dal mare ad Aquisgrana. Il toponimo del carolingio cancelli è ancor vivo nella gola che dalla Umbria porta a Fabriano o sul valico di Colfiorito. Nel 803 Carlo Magno, ormai sessantenne guidò personalmente il suo esercito in Sassonia. A Salz fu raggiunto dai suoi messi di ritorno da Costantinopoli, accompagnati da ecclesiastici inviati a lui dal nuovo imperatore Niceforo. Si trattò con essi dei rapporti da stabilire tra Aquisgrana e Costantinopoli dopo la deposizione dell’imperatrice Irene. Da come si può capire dagli eventi successivi, a Carlo Magno premevano essenzialmente due cose:
1- che Bisanzio lo riconoscesse come Imperatore romano d’occidente; 2 – che Bisanzio riconoscesse ad Aquisgrana la sovranità sulle città costiere dell’alto Adriatico.
I messi furono rinviati a Costantinopoli con delle proposte scritte di cui non conosciamo il preciso contenuto, ma che dovevano sostanzialmente contenere le due richieste di cui sopra. Le richieste di Carlo Magno furono respinte da Bisanzio. Non si giunse perciò a una pacifica convivenza tra Aquisgrana e Bisanzio ma si creò un clima da guerra fredda, premessa a un confronto armato tra le due potenze. A Salz Carlo Magno fu raggiunto anche da Fortunato che solo pochi mesi prima era stato nominato patriarca di Grado ma che aveva subito dimostrato di essere la longa manus di Carlo Magno congiurando contro Venezia. Entrato in contrasto con il Doge di Venezia Galbaio, per non fare la fine del suo predecessore che dai partigiani di Galbaio era stato precipitato da una torre, abbandonò la sede di Grado per informare Carlo Magno di quanto era avvenuto. L’imperatore lo incaricò di organizzare per l’anno dopo in Istria un placitum da tenere alla presenza di messi imperiali per risolvere i locali problemi. Gli mise anche in mano due diplomi per garantirgli una dignitosa esistenza. Poteva liberamente attingere ai beni delle Chiese Istriane e a disporre di quattro navi con cui poter attraccare in tutti i porti dell’impero.
Nello stesso anno 803 Carlo Magno, raggiunta la Sassonia convogliò tutta la popolazione sassone, residente sulla destra dell’Elba, uomini, donne e bambini verso la Francia Picena. Il territorio lasciato libero dai sassoni fu consegnato al popolo degli Abodriti e i Sassoni deportati crearono una enclave germanica sul territorio dislocato a nord del fiume Musone e comprendente il Conero e l’entroterra di Numana. Fu un evento gravido di conseguenze perché questo massiccio arrivo, che si sommava alle precedenti deportazioni, avrebbe creato gravi difficoltà ai franchi del Piceno, fino alla sostituzione, nel secolo X, della dinastia franca con quella sassone degli Ottoni. Fino a Pasqua dell’804 Carlo Magno risedette in Aquisgrana muovendosi nei dintorni. Aveva due problemi che lo preoccupavano. Il primo era quello della sistemazione, sull’agro della vicina Numana, dei clan sassoni deportati l’autunno precedente. Il secondo problema era quello del controllo dell’alto Adriatico e delle città istriane, senza urtare la sensibilità di Bisanzio e coinvolgendo il locale duca d’Istria. Per quest’ultimo aveva incaricato Fortunato di tenere il placito in Istria mentre lui era in Germania.
L’Imperatore, celebrata la pasqua in Aquisgrana, partì per la sua solita campagna militare in Sassonia. Fortunato, come d’accordo con l’Imperatore, organizzò il placitum a Risano in Istria, con la partecipazione del duca, dei 5 vescovi istriani, Pola, Trieste, Parenzo, Capo d’Istria. Il placido si svolse regolarmente a Risano. Oltre ai vescovi e al duca vi affluirono anche 172 rappresentanti delle città istriane. Di questo placido noi possediamo il verbale redatto da un diacono della Chiesa di Aquileia, che raccoglie le lamentele delle popolazioni istriane nei riguardi dei loro vescovi e soprattutto del Duca d’Istria. Questi rappresentanti lamentavano che da quando i Franchi si erano sostituiti ai Greci nel controllo dell’Istria, le città avevano perso tutti i diritti e l’esercizio delle libertà che avevano goduto coi Greci. I loro vescovi e il Duca d’Istria li avevano ridotti in tale povertà, che se Carlo Magno non avesse provveduto a ristabilire i primitivi ordinamenti, era meglio per loro mori quam vivere, morire piuttosto che vivere.
Quando Carlo Magno, terminata la campagna in Sassonia, rientrò ad Aquisgrana e gli fu messo in mano il verbale del Placitum di Risano, egli comprese che costituiva un pesante atto di accusa sui responsabili che aveva preposto al governo dell’Istria. Tale atto di accusa comprometteva anche i suoi rapporti con Bisanzio con cui intendeva stabilire una pacifica convivenza. Comprese che doveva correre ai ripari chiedendo al Papa che Fortunato esercitasse ugualmente i suoi poteri giurisdizionali sui vescovi dell’Istria dalla sede di Pola, che era rimasta priva del suo vescovo. Si tenga presente che l’episcopato bizantino dai tempi di Giustiniano si era visto assegnare anche i compiti di alti funzionari imperiali e lo stesso era avvenuto per i vescovi carolingi. Il rifiuto dei Dogi di Venezia a dover sottostare a un Patriarca di Grado filo-carolingio va capito proprio in questa prospettiva. Con Fortunato, patriarca a Grado, sarebbero stati compromessi gli ottimi rapporti commerciali tra Venezia e Bisanzio.
Rientrato ad Aquisgrana l’Imperatore ebbe notizia che il Papa si apprestava a raggiungerlo per passare il Natale con lui ovunque egli desiderasse. Al suo arrivo Carlo Magno accolse il Papa nella chiesa di san Remigio nella Remorum civitate. La storiografia erroneamente identifica Remorum civitatem con Reims. In realtà deve trattarsi di un gruppo etnico di franchi Remii che si era stanziato nel Piceno a Ornat (oggi Acquaviva picena ) e aveva dedicato la propria chiesa a San Remigio. Papa e Imperatore celebrarono il Natale dell’804 a Carisiacum oggi Carassai e di lì si spostarono per visite nei dintorni. Nell’805: celebrata insieme al Papa l’Epifania in Aquisgrana, si congedò da Lui e gli assegnò una scorta perché il Papa prima di rientrare a Roma voleva passare per Ravenna. Tra l’Imperatore e il Papa fu certamente discusso l’assetto da dare alle città istriane. Il Papa aveva accettato che Fortunato restasse provvisoriamente anche Vescovo di Pola. Pur non avendo testimonianze dirette possiamo immaginare che le città istriane poterono subito recuperare i diritti perduti con l’arrivo dei Franchi e che fu abolita la figura del Duca d’Istria. Infatti dopo il duca Giovanni non furono nominati altri duchi e le trattative politiche si svolsero direttamente tra Aquisgrana e il Doge di Venezia.
Nella prima metà dell’805 Carlo Magno non si mosse dalla Francia picena. Affidata la condotta della guerra contro i Boemi a suo figlio Carlo, a luglio si portò nel suo Palatium in Theodonis Villa che presto abbandonò per incontrare in Germania Carlo e il suo esercito che avevano concluso vittoriosamente la guerra contro i Boemi. Dopo l’incontro, congedatosi dall’esercito che rientrò ad Aquisgrana, si fermò a cacciare sui Vosgi ma verso la fine dell’anno era di nuovo nel Palatium in Theodonis Villa per svernarvi insieme con i figli Carlo e Ludovico. La storiografia identifica erroneamente la Villa Theodonis con Diedenhofen in Germania. Invece Villa Theodonis va certamente collocata nel Piceno ove esiste ancora Altidona (AP). Theodonis è un ablativo neutro plurale di Theodona. I termini antico e moderno sono dunque contigui. Si noti anche che nel medioevo per il distretto di Altidona è documentata la presenza di numerosi ministeria, come avveniva anche per il distretto di Aquisgrana in Val di Chienti. I ministeria risalgono sicuramente all’epoca carolingia perché già presenti nel “Capitolare de villis”. Altidona è anche in splendida posizione panoramica a 5 Km dal mare e quindi quanto mai adatta a trascorrervi l’inverno. Nelle vicinanze vi sorgono anche rovine di una villa considerata romana ma che Carlo Magno poteva aver adattato a sua residenza invernale.
Subito dopo Natale, mentre l’Imperatore svernava nel suo palatium di Villa Theodonis, fu raggiunto naturalmente via mare dai Dogi di Venezia Obelerio e Beato. I cambiamenti intervenuti nell’assetto dell’Istria dovevano avere convinto i Dogi che Venezia poteva ormai assumere, per meglio tutelare i suoi interessi, una posizione politicamente equidistante tra Aquisgrana e Bisanzio. Non conosciamo gli accordi che Obelerio concluse con l’Imperatore, ma Obelerio, rientrato a Venezia, permise che Fortunato nell’806 rioccupasse la sede patriarcale di Grado. Le notizie di queste trattative tra i Veneti e Carlo Magno non furono bene accolte a Bisanzio. Bisanzio considerava le coste venete e la Dalmazia di sua pertinenza e non ammetteva che un sedicente Imperatore non romano se ne fosse assunto la tutela. Intervenne militarmente inviando una flotta al comando di Niceta e riportò sotto il proprio controllo le città della Dalmazia, dell’Istria e della Laguna veneta. Fortunato, appena rientrato a Grado, dovette di nuovo fuggire dalla sua sede. In realtà non fu Bisanzio a godere della mutata situazione ma Venezia che aumentò sempre più il suo prestigio locale legando a sé le città istriane e della Dalmazia e incrementando i rapporti commerciali con Bisanzio.
Nell’810 la corte di Aquisgrana prese atto che non era tanto Bisanzio quanto Venezia a impedirle il controllo delle città istriane e dalmate. Carlo Magno inviò suo figlio Pipino con l’esercito per precludere le vie del mare a Venezia e obbligarla a scendere a patti. Venezia fu effettivamente assediata, Fortunato poté rioccupare la sua sede di Grado, ma Venezia non capitolò anche perché nell’810 Pipino moriva e Fortunato era di nuovo costretto a fuggire da Grado. Poté ancora tornarvi quando Obelerio fu eliminato da Particiaco che divenne nuovo Doge di Venezia. Avendo congiurato anche contro di lui fu di nuovo costretto a fuggire né mai più poté rimettere piede nella sua sede.
Si erano ormai create le premesse per un riavvicinamento politico tra Aquisgrana e Bisanzio. Si avviarono subito trattative che sfociarono nell’812 nella pace di Aquisgrana. In sostanza Carlo Magno riconosceva a Bisanzio la tutela delle città venete e dalmate e Bisanzio da parte sua riconosceva a Carlo Magno il titolo di Imperatore di occidente ma senza la qualifica di romano. In realtà questi contrasti avevano ulteriormente giovato alla crescita del prestigio di Venezia, che ormai si era praticamente affrancata dell’uno e dall’altro impero. Carlo Magno morì nell’814. Nell’815 suo figlio Ludovico il Pio riconobbe alle città istriane una relativa indipendenza ma nell’826 consentì che il patriarcato di Grado venisse soppresso e che le chiese dell’Istria passassero al patriarcato franco di Aquileia. Quando anche Ludovico morì nell’anno 840, suo figlio, l’imperatore Lotario, strinse un pactum con Venezia. Ne riconosceva la sostanziale indipendenza e le affidava il compito di provvedere da sola alla difesa del mare Adriatico e la autorizzava ad avere possedimenti e scali marittimi sulle coste adriatiche dell’Impero. Intanto la situazione sull’Adriatico era molto cambiata dai tempi di Carlo Magno, pirati slavi e scorrerie di Saraceni depredavano le coste con improvvisi sbarchi. Sia Bisanzio che Lotario avevano altro di cui occuparsi. Aquisgrana non era più il centro di un unitario impero carolingio, che si era frammentato in tre parti: la Gallia, la Lotaringia appunto, e la Germania. Anche Bisanzio incontrava grosse difficoltà per contrastare l’espansione degli Arabi, che proprio nell’840 completavano l’occupazione della Sicilia, strappata all’Impero d’Oriente.
Conferenza del 9 maggio 2009 , con relatori il prof. Giovanni Carnevale e l’ing. Alberto Morresi
12 ottobre 2023