Popoli dell’Italia centro meridionale preromana: Pelasgi, Etruschi, Aborigeni o Piceni

NOTA – Il testo che segue è parte della conferenza “I popoli italici prima di Roma” tenuta a Pompei dal dott. Nazzareno Graziosi, studioso delle civiltà preromane, su invito della Università delle Tre Età APS e dell’Accademia Pompeiana.

Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. – 7 a.C.) in “Antichità Romane”, (libro primo traduzione Mastrofini, 1823) descrive l’arrivo dei Pelasgi sulla costa adriatica: l’oracolo di Dodona li spinse a recarsi in Saturnia  (Italia). Dionigi riferisce che “per imperizia o per il vento che spirava da sud ” approdano a Spineto (forse Lido di Spina)”. Fanno subito alleanza con i Piceni (“Aborigeni vicini agli Umbri”) al fine di cacciare i Siculi dalla penisola italica. Nel capitolo XIV tratta delle sorti dei Pelasgi dopo la vittoria sui Siculi: si stanziarono nella zona Sud-Ovest della fertile Campania (Agro Picentino). Attesta che i Pelasgi conquistarono città e ne fondarono altre. Crebbero in prestigio, potenza e ricchezze. Ma la pacchia durò poco. La loro floridezza provocò “l’ira de celesti” e le bramosie dei confinanti, tanto che “Pochi ne sopravanzarono nella Italia per cura degli Aborigeni”.

Le IRE dei celesti

1 – Un estremo cambiamento climatico: “La siccità intristiva la terra, talché non restava frutto alcuno fino al maturarsi negli arbori”; i semi non germinavano, le fonti e i pascoli erano aridi.

2 – Una gravissima pandemia: “Aborti delle bestie e delle donne nel generare… e quale dava figli, morenti nel parto, o fatali nell’utero ancora alle madri… se scampavano i pericoli del parto, mutili, o storpi, o manchevoli per altro disagio, non erano utili, onde si allevassero… L’altra moltitudine poi, specialmente la più vegeta era colta da mali e da morti frequenti più dell’usato”. I Pelasgi frastornati da quel cambiamento climatico epocale e dalla spaventosa pandemia (non avendo cassandre, tuttologi, specialisti e farmaci infallibili) consultarono l’Oracolo “per quali pratiche mai fosse da sperare una calma in tanti orrori”. L’Oracolo risponde che dovevano ancora agli Dei cose preziosissime. Imperocché li Pelasgi ridotti a penuria di ogni cosa, nelle loro terre, si votarono a Giove, ad Apollo e ai Cabiri (sacerdoti), decisero di santificare a essi le decime di ogni prodotto. Appagati nella preghiera “offerirono agli Dei parte delle messi e dei frutti…”. Ma siccome le disgrazie non vengono mai sole e per essere più realisti del re, ci fu chi si pose il problema se gli dei avrebbero gradito anche le decime degli uomini. Consultarono i sacri vati. Essi risposero che si facessero. “Quand’ecco sedizione fra loro sul modo di decimarsi”. Naturalmente si divisero in più fazioni con furore religioso; alcuni abbandonarono le abitazioni, altri migrarono, altri restarono tra i nemici e infine alcuni seguitarono a praticare il rito della decima degli alimenti e quella della popolazione. “Né i magistrati la sospendevano, ma sceglievano le primizie dei giovani più robusti pe’ Numi, quantunque nel proposito di soddisfare agli Dei temessero i moti di chi usciva a sorte per vittima”. Chi non ha il dono della fede nelle favole, nutre dubbi sul dogma che il “Ver Sacrum” (se pur edulcorato) sia stato praticato solo dai Sabini per popolare il Piceno. Ogni riferimento al Coronavirus e al cambiamento climatico è puramente casuale.

I Pelasgi

Tempio di Dodona

I Pelasgi (Πελασγο) erano una popolazione Pre-ellenica che, originariamente, abitava una vasta regione tra il Peloponneso e l’Asia Minore. La storiografia ufficiale non si è degnata di fare menzione di quel popolo evolutissimo, fornendo solo confuse notizie. I Pelasgi hanno subìto la stessa sorte dei Piceni. Nel nostro piccolo cerchiamo di rivalutare questi due popoli. In età preromana tra Piceni e Pelasgi dovevano esserci rapporti molto stretti, perché agevolati dalle correnti dell’Adriatico. Furono i Pelasgi a portare in Italia la tecnica delle mura poligonali (già dette pelasgiche), gli scudi Argolici; il tempio di Pico Marzio era una copia del tempio di Dodona. Il Monte Pelasgo ad Ascoli Piceno, forse non è un caso. I Pelasgi dovevano conoscere la nautica, Scilàce  (Cariànda in Asia Minore VI sec a. C.), cartografo del re persiano Dario, è l’autore del primo portolano (manuale per la navigazione costiera e portuale) anche delle coste italiane: “Periplo esterno alle colonne di Eracle”.

Tirreni (Etruschi) Wikipedia: “Tirreni (in dialetto attico: Τυρρηνοί – Turrhēnoi) o Tirseni (in ionico: Τυρσηνοί – Tursēnoi; in dorico: Τυρσανοί –Tursānoi… È, inoltre, il nome con il quale i Greci chiamavano gli Etruschi, i quali, invece, chiamavano se stessi Rasenna…  L’origine  del nome è incerta… È stata messa in relazione con tursis… con il significato di “torre”, mentre è stato ipotizzato da Françoise Bader che Tyrsenoi/Tyrrhenoi derivi dall’antichissima radice indoeuropea “trh” che indica “attraversare”. Non è dato sapere se “attraversare” si riferisca al mare o al centro Italia. Nel secondo millennio a.C. attraversare il Tirreno doveva essere molto problematico; invece il mare Adriatico è quasi un lago interno, stretto, poco profondo e con correnti favorevoli.

Grecia – Micene, mura pelasgiche

CAP XVII. “L’epoca nella quale cominciarono i Pelasghi a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi la guerra di Troja, e durarono dopo di questa, finché si ridussero a un gruppo di gente. E, salvo la città di Crotone (Cortona?), famosa nell’Umbria, e tale altra, se pur v’ebbe, data loro ad abitare dagli Aborigeni, perirono tutte le rimanenti Città de’ Pelasghi…”. La maggior parte furono prese dai confinanti, “ma le migliori e le più si rimasero pe’ Tirreni. Quanto ai Tirreni v’è chi li dice naturali d’Italia e chi forestieri. E quei che li stimano propri della regione, affermano che si dié loro quel nome per gli edifizi sicuri, che essi, i primi di quanti vi erano, si fabbricarono: imperocché le abitazioni con muri e con tetto son tirseis chiamate dai Tirreni come da Greci”…

Fiesole – mura etrusche

Quando nascono gli Etruschi

Cap. XIX …”Ellanico di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi assunsero il nome che or hanno, quando abitarono la Italia;… Mirsilo dice tuttavia che i Tirreni quando erravano profughi dalla patria, furono detti Pelasghi per certa somiglianza loro con le cicogne, pelasgi chiamate; giacché passavano in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari: aggiunge che essi alzarono il muro detto Pelasgico intorno la rocca di Atene”…

Cap. XX “A me però sembra che s’ingannino quanti si persuasero che i Tirreni e i Pelasghi non sieno che una gente”…

Cap. XXI descrive piccole sottigliezze distintive: “Ma i Romani con altri nomi li chiamano Etruschi dalla Etruria, regione dove un tempo abitarono: ed ora li dicono Toschi… avendoli come i Greci, nominati prima con più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie del culto divino, nelle quali sorpassano tutti. Quei popoli inoltre distinguono se stessi dal nome di Rasenna, uno già dei loro comandanti”. “I Pelasghi che non perirono, né si disgiunsero per fare colonie, rimasero pochi di molti, con gli Aborigeni, sotto le leggi dei luoghi nei quali si lasciavano e nei quali col volger degli anni i posteri loro fondarono Roma”.

Cap. XXII “Dopo non molto tempo, nell’anno, al più, sessantesimo come narrano i Romani, prima della guerra trojana capitò nei luoghi medesimi un’altra spedizione di Greci (Evandro?)… Dominava di quei tempi sugli Aborigeni Fauno (Vallemont: 1296 /1259?), un discendente come dicono di Marte (Pico) uomo di azione e di prudenza, e riverito dai Romani con sagrifizi e con inni come un genio del loco”.

I brani riportati raccontano venti anni di storia dell’Italia centrale: dalla cacciata dei Siculi (ottanta anni prima della guerra di Troia) all’età del regno di Fauno (figlio di Pico), re degli aborigeni 60 anni ante Guerra di Troia. Forse sarebbe utile porsi dei dubbi sull’ancestrale antichità degli Etruschi. Dionigi era un grande storico greco e certamente conosceva le varie etnie greche. I Tirreni, prima di essere Etruschi, erano detti Pelasgi, sono vissuti in stretti rapporti con i Piceni (“aborigeni vicini agli Umbri”) e diventano visibili ben dopo la cacciata dei Siculi. Forse hanno avuto bisogno di anni di rodaggio per affacciarsi, prepotentemente, sul palcoscenico della storia. I Piceni già esistevano, vincevano guerre e si espandevano. Forse Dionigi di Alicarnasso, come tutti quelli che non fanno comodo, verrà messo all’indice…

Nota: Dionigi, cap. XII “Ebbero questi popoli ancora non poco del territorio detto Campano, fecondissimo e vaghissimo a riguardarlo, cacciatine in parte gli Aurunci… e quivi fondarono altre cittadi, e Larissa, denominandola da Larissa, metropoli loro nel Peloponneso… ma Larissa è distrutta già da gran da tempo”.

Sorge il dubbio: se Larissa prende il nome dalla Larissa Greca, perché no Picentia da Piceni? La storiografia ufficiale dichiara che Picentia fu costruita e (subito) distrutta dai romani; (ad Honor del vero qualcuno la vuole Etrusca). “Vuolsi così colà dove si puote /ciò che si vuole, e più non dimandare” (Dante Alighieri)…  Spero di non finire sul rogo, anche perché il fuoco della legna inquina.

Nazzareno Graziosi

11 ottobre 2023

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