“…oh vecchiaia maledetta / sei da tutti disprezzata / e vecchietta disperata / mi convien così crepar!”
Così si lamenta Berta, la governante di Don Bartolo nel Barbiere di Siviglia e con ragione, vedendo il proprio padrone fare, a tarda età, pazzie per assicurarsi l’amore della sua figlioccia Rosina.
Ma andiamo per ordine. Vecchiaia, parola che si pronuncia quasi sempre in silenzio, fissando con lo sguardo nel vuoto e concludendo quasi sempre il tutto con un lungo gemito di rimpianti. Il latino ci viene incontro precisandoci che il termine deriva da vetus, età avanzata in cui nel corpo dell’uomo avviene un decadimento dell’organismo. Questo passaggio si può chiamare anche senilità ma gli effetti negativi sono sempre gli stessi. In genere questo cambiamento comincia lentamente dai sessantacinque anni in poi, quasi senza che ce se ne accorga ma può iniziare anche molto tempo prima, dipende da come ci si è comportati in passato di fronte ai grandi vizi del mondo: fumo, sesso sfrenato, droga, alcool ecc.
Certo, una vita disordinata, senza pensare minimamente alle difese del proprio corpo, può dar via a un rapido deterioramento. Tra questi nemici, io aggiungerei, anche la mancanza costante del sonno ristoratore che è, come pochi sanno, uno dei più grandi riparatori naturali. Lo scadimento del corpo inizia dalla pelle la quale, a un certo punto, comincia a perdere la sua compattezza, diventando sempre più fragile, come carta velina e di conseguenza, esposta con più facilità a piccole ferite, che richiedono più tempo per rimarginare. È in questo periodo che si formano le “alette”, prolungamenti della pelle verso il basso, specialmente nella parte posteriore delle braccia (dalle spalle al gomito). Queste prime protuberanze sono altamente antiestetiche e tristi a vedersi, tanto è vero che le signore di una certa età coprono subito le braccia con maniche lunghe anche in estate.
Quando penso a queste alette mi viene in mente una storia un po’ fantastica di un pio fraticello: Padre Pietro, che viveva con pochi confratelli in un piccolo convento “all’Infernaccio” nei Sibillini marchigiani. Un giorno il medico, che passava raramente a controllare, gli diagnosticò dei tumori. Fra’ Pietro non si allarmò, anzi i suoi occhi s’illuminarono: per lui era una buona notizia, perché così poteva raggiungere al più presto il Suo Signore che amava, pregava e adorava nella maestosità della natura che lo circondava. “Anche io sono sua creatura!” andava ripetendo. Spesso, di notte, nonostante il freddo pungente, usciva per contemplare le altissime stelle, lassù, lassù… oltre le cime nevose e queste rispondevano palpitando di luce. Allora Pietro, rapito da una gioia incontenibile, cadeva in una tenerezza infinita.
Ben presto si accorse che il medico aveva avuto ragione; infatti sulle sue spalle due protuberanze si fecero evidenti ma senza tanto dolore. Il fraticello cercava di non farle notare ma i confratelli fingendo di non vedere, facevano lunghi sospiri di preghiera. Una notte, verso la fine dell’inverno, accadde il prodigio: le due prominenze improvvisamente scoppiarono e due masse umide, piumose, vennero fuori veloci, prepotenti, poi delicatamente sbocciarono come sanno fare i fiori, mostrando tutta la loro delicata bellezza. Erano due ali bianche, grandi, forti e vigorose che si aprirono maestose e lo sollevarono portandolo finalmente lassù, fra le sue stelle. Dopo giorni e giorni di ricerca fra i monti, i fraticelli afflitti, con grande dolore, dovettero rinunciare a cercarlo ma qualcuno lo vide guardando il cielo in una calda sera di agosto.
È noto che di fronte ai mali senili, le donne combattono più degli uomini, cercando di difendersi con tutte le armi che la scienza loro affianca: palestre, creme portentose, interventi chirurgici spesso dolorosi. Cosa è che non si fa per la propria immagine! Contrariamente, ai primi segni sul mio viso lasciati dal tempo che fuggiva, io non mi allarmai, anzi trovai che i capelli bianchi e le rughe, piccole vie del pensiero, volessero raccontare quello che il cuore aveva sempre tenuto intimamente nascosto: gioie, dolori, ricordi… Lasciai quindi che i miei capelli diventassero prima grigi, poi bianchi, considerando che con il loro candore, la loro fragilità e dolcezza, attutissero un poco le rughe. All’inizio di questo passaggio ero dell’idea che bisognasse arrendersi e cambiare colore, come fanno inconsciamente le foglie d’autunno; nello stesso tempo credevo nella importanza di aderirvi con consapevolezza senza paura. Non era facile.
Ricordo che da bambina mi arrabbiai moltissimo quando mia madre mi disse che tutti dobbiamo morire e trovai la cosa tanto ingiusta che mi buttai per terra gettando all’aria le mie scarpe (massimo gesto della mia disperazione). Mamma mi lasciava fare, sapeva che poi mi sarei calmata. Ora invece Qualcuno si china su di me, mi rialza, asciuga le mie lacrime e mi tiene stretta a sé sussurrandomi: “Coraggio, la vita è sogno” ed è proprio dalle mie preghiere quotidiane che, come una piccola ape, succhio il nettare della vita che mi rinforza e mi da “quel coraggio” che mi permette, sempre con gioia viva, di andare ancora avanti considerando il dono e la bellezza di un altro giorno.
Così ora è il mio respiro vitale, seguendo norme che mi sono imposta, alle quali non devo assolutamente rinunciare, come essere indipendente e cercare di fare da sola anche nelle piccole azioni come nel vestirmi, mettermi le calze sfidando i lupi che sotto forma di crampi cercano di mordermi, fare ogni giorno la mia passeggiata nel caro vecchio Borgo, salutare gli amici, telefonare alle colleghe e ricordare la scuola, il nome degli alunni, i tempi nei quali eravamo felici ma non lo sapevamo e, ancora, interessarsi di tutto, leggere i giornali, i buoni libri, ascoltare la musica classica, vibrare con Mozart e piangere con Chopin, non lasciarsi intimorire dai telegiornali ma ragionare con la propria testa su ogni argomento e soprattutto… non offrire il braccio alla Patria… per vaccinarsi.
È vero, siamo anziani, forse qualche volta un po’ assenti ma non per questo stupidi, ne tanto meno pecore! “Devi arrivare a cento anni!” Mi dicono esultanti i parenti a ogni compleanno. “Faremo una festa grandiosa, vedrai quanto sarà bello!” E infatti ho colto l’entusiasmo di queste nonnine che hanno raggiunto il secolo, l’ho osservato dalle foto dei giornali locali, sono faccette serie, pensose, contornate da parenti contenti di andare alle stampe e da nipoti e pronipoti chiassosi. La scena che si presenta è sempre la stessa, cambiano solo i nomi delle vecchiette e i paesi di appartenenza. La signora Maria di… La veterana di… Quasi sempre la festeggiata è immortalata davanti a una grande torta con 100 candeline (torta che probabilmente non mangerà per via del diabete). La centenaria tiene in grembo un bel mazzo di fiori colorato, dono del Sindaco che, pavoneggiandosi dentro l’onorata fascia tricolore, si è degnato di fare personalmente gli auguri alla nonnina la quale, visibilmente infastidita, non riesce a capire chi sia quell’intruso che viene a turbare la sua quiete. No, non voglio arrivare a cento anni ma desidero ardentemente che il mio Paese cambi, anzi che faccia un passo indietro e ritrovi la sua vera identità perduta; quella fede sincera, quella speranza viva con la quale i nostri cari sono vissuti guardando il cielo. Solo così sarò contenta e potrò serenamente prendere, all’aeroporto della vita, un altro volo.
Mariella Marsiglia
9 ottobre 2023